Io che credevo, io che speravo: Smoke di Dan Vyleta

Di come ho imparato che certe volte anche chi mi ha sempre consigliato dei bei libri può toppare.

Marta Corato
The Book Girls
Published in
3 min readAug 26, 2016

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C’è una frase che non mi sentirete mai dire, e quella frase è “consigliami un libro”. Ormai sono bravissima a farmi strada tra le raccomandazioni spontanee, le newsletter, i podcast, e scegliere cosa andrà effettivamente inserito nella mia listona infinita di cose da leggere.

Smoke di Dan Vyleta mi era stato consigliato da diverse fonti di cui mi fidavo, quindi la delusione di trovare un libro bruttino è resa ancora più intensa dal fatto che dovrò mettere in dubbio un paio dei miei suggeritori di libri preferiti.

Smoke parte con una premessa piuttosto avvincente: in un’Inghilterra vittoriana parallela, i peccati si manifestano sotto forma di fumo che essuda dai corpi dei peccatori. I giovani protagonisti Thomas, Charles e Livia si trovano impelagati in un denso mistero che riguarda l’origine di questo fumo.

Nonostante la variazione dal mondo “reale” sia minore, Smoke si arena su una delle piaghe dei libri con un universo alternativo: lo Spiegone. Quel che è peggio è che gli Spiegoni non partono dall’inizio del libro; i primi capitoli lasciano la beatifica illusione di un mondo le cui regole diventeranno chiare senza dover essere esplicitate. Da un terzo del libro in poi, la frequenza degli Spiegoni e dei Contro-Spiegoni diventa praticamente soffocante, con la trama che va così lenta che è praticamente crioconservata.

A peggiorare la situazione c’è il cambio continuo di punti di vista che non fa spostare solo la voce narrante; si salta dalla prima alla terza persona come grilli impazziti, una narrazione senza soluzione di continuità che magari avrebbe funzionato in altri contesti, ma non in questo.

In retrospettiva, avrei dovuto vedere la cosa che mi avrebbe dato più fastidio sin dalla sinossi. Il fatto che l’intero libro ruoti attorno alla manifestazione fisica dei “peccati” porta inevitabilmente ad avere un bizzarro sottotesto di morale cristiana. Per quanto sia adatto all’epoca in cui Smoke è ambientato, trovo stridente che un libro scritto nel 2016 sia così radicalmente attaccato alle definizioni di “giusto” e “sbagliato” date dal cristianesimo.

Questo diventa evidente in maniera particolarmente raccapricciante nelle evitabilissime scene romantiche — il mio motto “il triangolo no” non andrà mai a morire con la letteratura YA — che hanno un retrogusto puritano non avvistato dai tempi dell’ultimo Twilight.

La lezione che ho imparato da Smoke è quindi doppia. Devo stare lontana da qualsiasi cosa abbia la parola “peccato” nella sinossi, e devo imparare che talvolta anche chi mi ha sempre suggerito bei libri toppa in maniera colossale.

Smoke, Dan Vyleta (Doubleday, 2016)

(La citazione del titolo è, per l’ennesima volta, tratta dal grande classico della musica italiana che è Tapparella degli Elio e le storie tese.)

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