2. Ghénos

Federico Ruysch
Planetarium
Published in
1 min readDec 4, 2015

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Era notte come solo nell’Universo può essere notte, quando ogni Sole è eclissato ed ogni Luna non può più specchiare che l’ombra del nudo spazio. Era notte ed io ti vidi sfrecciare, con la tua coda di luce… con il tuo strascico di vapore brillante — di sposa e di cometa — sopra l’arida distesa della mia pelle — fratta e crepata — di pianeta deserto e desolato.

E sentendo nel mio nucleo un fremito remoto, ti ho pregata di discendere, con il tuo carico di vita e mistero, a ferire il mio vergine corpo.

Deviasti la corsa, corteggiata dal mio campo di forza; ti legasti ad un’orbita sempre più stretta, ch’era la gravità insita nella leggerezza d’ogni attrazione.

Mi baciasti con un’esplosione di fuoco; lasciasti morsi e crateri sulla mia pelle, e sollevasti lava e lapilli, nell’aria rarefatta che mi racchiudeva in un’atmosfera diafana e vitale.

Sono passati miliardi di anni da quel bacio. Da quel germe con il quale tu contaminasti il mio spirito immoto, eppure — io lo so per certo — esso è ancora in ogni albero, in ogni lupo, in ogni forma di vita (o pensiero) che mi abita e mi dà gioia, mentre il vento leviga la cicatrice del cratere che fu… e che, oggi, è nel cerchio della pupilla d’ogni occhio che hai fatto sì che si schiudesse sul cosmo.

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