4. Gya

Federico Ruysch
Planetarium
Published in
2 min readDec 4, 2015

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Come credete che furono costruite le città che popolarono — in ere lontane — la Gya? Dove credete che si procurarono tutti i materiali necessari per la costruzione gli umani? Dove credete che reperirono i marmi per le chiese, e il fango per le capanne, e i giunchi per le amache e i canestri? E la malta? E la creta? E il pongo?

E quando fu esaurita ogni cava, e prosciugata ogni pozza di fanghiglia da essiccare in forma di casa, e rasa al suo ogni foresta… ebbene… cosa credete che accadde?

Semplicemente, gli umani iniziarono a scavare nelle profondità del pianeta, in cerca di nuovi materiali da costruzione.

E scava, scava, scava… Gya si ridusse ad un guscio vuoto, ampio come la più grande delle caverne, all’interno della quale rimbombava il ruggito delle ultime ruspe…

Oltre al rombo dei motori delle scavatrici, però, gli umani iniziarono ad avvertire sommessi scricchiolii, dapprima, e veri e propri scoppi, poi.

Ogni suono, nel ventre di quella sfera cava, pareva preannunciare un crollo imminente.

Sulla superficie del pianeta, nel frattempo, erano sorti palazzi altissimi, le sommità dei quali perforavano — con i loro pennoni — l’invisibile conchiglia dell’atmosfera…

Gli esseri umani capirono ben presto di dover puntellare in qualche modo quel loro immenso scavo. Tuttavia, non avendo più materiale da costruzione a disposizione, nella pancia di Gya, essi iniziarono ad importarli dall’esterno, riciclando le colonne dei templi, gli architravi dei centri commerciali, le slanciate strutture delle torri e quelle oblunghe dei menhir, facendone puntelli, appoggi, zeppe, sostegni…

Unicamente dopo un lunghissimo lavoro, fatto di un infittirsi di strutture di sostegno via via più complesse, gli esseri umani pervennero ad una assoluta forma di equilibrio.

E vi giunsero riportando la Gya allo stato in cui era, prima che a loro fosse venuto in mente di mettervi mano.

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