I meta-misteri di OneShot

Aurelio Maglione
The Shelter
Published in
5 min readJan 17, 2017

OneShot non è il primo videogame dove l’utente viene visto come un’entità distinta rispetto il personaggio di cui può guidare le azioni. Lifeline, per esempio, essendo un’avventura testuale per iOS e Android, sfrutta le peculiarità dei cellulari di ultima generazione per metterci in contatto con Taylor, superstite di un’astronave precipitata su un pianeta apparentemente disabitato. I consigli che gli forniremo su come affrontare le difficoltà cui andrà incontro ne determineranno la sorte, seguendo una struttura a bivi affine a quella dei libri-game. In Contact, GDR realizzato da Grasshopper Manufacture per Nintendo DS, il Professore si accorge immediatamente della nostra presenza al di là del doppio schermo della console. Rompendo la quarta parete, ci chiede di fornire a Terry (un ragazzino il cui destino si è intrecciato con quello dello scienziato) l’aiuto necessario per sgominare il CosmoNOTs.

Come già accennato, anche in OneShot il monitor del computer ci permette di aprire una finestra su un mondo dove l’esistenza del giocatore è riconosciuta da ogni singolo personaggio non giocante. Sia chiaro, il termine finestra va inteso in senso letterale nella sua accezione informatica, visto che l’eseguibile non può venire avviato in modalità a tutto schermo.

Non è difficile intuire a cosa allude il titolo del gioco, vero?

Nel caso mi chiedeste di descrivervi OneShot con un’unica parola, ricorrerei senza ombra di dubbio a “bizzarro”. L’aggettivo ben si presta per connotare l’ambientazione che fa da sfondo alle vicende raccontate, un atollo brullo le cui forme di vita stanno lentamente perendo in seguito alla scomparsa del Sole. Altrettanto precipui sono i suoi abitanti: un esercito di androidi-operai in disarmo, una manciata di creature dai poteri soprannaturali e una cerchia relativamente ristretta di individui assimilabili agli esseri umani.

Con ogni probabilità un ritratto di Niko, un giovane dalle sembianze di un gatto antropomorfo, non sfigurerebbe in un’enciclopedia illustrata sotto la definizione di “stravagante”. Pur non risultando fuori luogo in un simile contesto, Niko non è nativo di questo pianetucolo ma ci si è ritrovato dopo essersi addormentato nel letto di casa propria, nello stesso istante in cui abbiamo avviato la nostra partita. Come se non bastasse, i locali vedono in lui il messia che li avrebbe salvati restituendo loro la Luce, come annunciato da un’antica profezia. Non è necessario sottolineare che non può esistere un messia senza un dio, ed è qui che veniamo chiamati in causa.

Il gioco permette di ricorrere al fast travel per recarsi nelle location già esplorate.

È interessante osservare come la dicotomia dio — messia descriva con precisione il rapporto fra utente e protagonista nella stragrande maggioranza di quelle opere dove il primo, per necessità narrative, si identifica completamente nel secondo. In fin dei conti il Giocatore è il padre onnipotente dell’universo videoludico, unico essere immortale in un cosmo piegato al suo volere. Similmente, il protagonista altro non è che il mezzo con cui viene fatta la sua volontà, il figlio prescelto di un padre lento all'ira e grande nell'amore (o viceversa). Quando necessario, per resuscitarlo non è necessario nemmeno attendere i tre giorni prescritti dalle Scritture, gli hard disk odierni (per non parlare degli SSD) garantiscono tempi di caricamento miracolosi.

Tuttavia, la relazione con Niko si sviluppa in una dimensione maggiormente intima visto che il felino può rivolgersi a noi in prima persona nei momenti di sconforto, quando le vie attraverso cui il nostro operato si manifesta appaiono fin troppo misteriose. Del resto entrambi, dalle quattro mura delle rispettive camerette, siamo stati catapultati in una realtà così lontana dalla nostra e al contempo così disperatamente bisognosa di aiuto. Siamo poi così diversi?

Quanti gatti antropomorfi servono per avvitare il Sole in cima a una torre sconfinata?

Niko non è l’unico personaggio con cui interloquiremo direttamente. Ogni volta che avremo accesso a un computer verremo contattati da un losco figuro che ci si rivolgerà chiamandoci per nome. Attenzione, non intendo lo pseudonimo scelto su Steam, ma proprio il nostro nome di battesimo. Non solo, l’anonimo amico sembra avere piena coscienza del fatto che stiamo interferendo con il suo (?) mondo tramite una finestra aperta sullo schermo del PC.

Quanto vi sto dicendo non costituisce spoiler, tanto sullo store di casa Valve (dove è acquistabile al prezzo di dieci euro) quanto sulla sua pagina ufficiale, OneShot viene descritto come un meta-game a base di enigmi la cui risoluzione richiede di pensare “out of the box”, espressione da non prendere in senso figurato. Non voglio rovinarvi il piacere della scoperta, visto che i trucchi usati dal gioco per sorprendervi sapranno ogni volta regalarvi un sorriso di meraviglia. Mi limito a considerare come questa caratteristica lo renda un’esperienza non replicabile su altre piattaforme sia per la natura delle interazioni necessarie per risolvere alcune prove, sia per i permessi di cui il programma si avvale per interfacciarsi direttamente con noi.

Per il resto OneShot, nonostante sia stato sviluppato con il mai abbastanza lodato RPG Maker, si presenta come un’avventura grafica dalla forte componente narrativa. Se state pensando a To the Moon siete fuori strada, qui l’esplorazione degli ambienti e la presenza di puzzle basati sul saper combinare sapientemente i manufatti rivenuti nel corso delle nostre peregrinazioni rivestono un ruolo fondamentale. Nondimeno, sarebbe inutile negare che il principale stimolo che terrà viva l’attenzione nel cammino verso l’epilogo risiede nello scandagliare i misteri nascosti fra i risvolti della trama.

Pur non proponendo una scrittura raffinata come un Undertale a caso, l’epopea di Niko riuscirà a conquistarvi con il suo cast di personaggi deliziosi e — a dispetto della caratterizzazione degli stessi che oscilla fra l’adorabile e lo strampalato — a regalarvi momenti di riflessioni non banali sui grandi temi che da sempre tormentano le umani genti: senso della vita, caducità dell’esistenza, fede nel divino.

Nel complesso, l’esperienza risulta così piacevole da farci chiudere un occhio su uno stile grafico non particolarmente ispirato (complici anche le limitazioni imposte dal tool di sviluppo) e una colonna sonora dimenticabile. Se avete apprezzato il già citato Undertale e Pony Island non esitate a farlo vostro, non riesco a immaginare un modo migliore per iniziare con il piede giusto questo 2017.

Ho giocato OneShot su consiglio dell’immarcescibile Stefano Talarico grazie a un codice gentilmente concesso da Degica.

8

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