7 serie TV del 2018 da recuperare nel 2019

Tanto i vostri buoni propositi sarebbero comunque naufragati davanti al catalogo Netflix, lo sappiamo.

Chiara M. Coscia
uonnabi
6 min readDec 31, 2018

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Anche se probabilmente ci ricorderemo del 2018 seriale soprattutto per un’assenza più che per molte mirabili presenze (un anno senza Game of Thrones, che anno lunghissimo, che countdown infinito), quello delle liste di fine dicembre è un esercizio ossessivo compulsivo a cui non me la sento di rinunciare. Nell’attesa, quindi, che l’inverno arrivi davvero (pun intended) proviamo comunque a stilare un elenco in ordine sparso delle outstanding TV series dell’anno. E per outstanding intendo quelle serie che sono riuscite in qualche modo a seppellire sotto strati su strati di brillante narrazione e caratterizzazione dei personaggi quel temibile, invischiante e abusato doppio standard di genere, oltrepassando, riconfigurando e smantellando i cliché del patriarcato e della rappresentazione femminile stereotipata.

Sì, parlo ancora una volta di femmine. Get over it.

Ecco a voi la mia personalissima playlist più un bonus track.

1 — UnREAL

Comincio con una serie di cui ho già scritto qui e che quest’anno è terminata, lasciandoci nostalgici a gridare ogni tanto per casa:

And… panty drop! Thank you very much!

UnREAL, prodotto Lifetime di Marti Noxon e Sarah Gertrude Shapiro, ci racconta il dietro le quinte di un reality show attraverso il rapporto tra due donne che ci lavorano.
Avvincente, spietato e mai banale, UnREAL è un angolo di sollievo e decompressione dall’imperialismo del tropo del genio maledetto.
Perché se proprio dobbiamo continuare a sorbirci questi antieroi maschi genii maledetti e bastardi incommensurabili ma tuttavia perdonabili alla luce di tale genialità, per cortesia dateci altre dieci Quinn e Rachel.

Ne abbiamo davvero bisogno.

2 — Sharp Objects

Vedi alla voce UnREAL. Dovremmo ringraziare almeno una volta a settimana Gillian Flynn anche solo per quella meravigliosa pagina di Gone Girl. Sì, quella in cui ci alza uno specchio davanti e ci costringe a guardare la cool girl. Poteva bastarci come contributo a sempiterna memoria.
Tuttavia Gillian ci ha omaggiati anche di un’altra storia, sempre una di quelle storie che ci mettono a disagio, da cui vorremo distogliere lo sguardo: Sharp Objects. Diventata quest’anno una miniserie HBO diretta da Jean-Marc Vallée e scritta dalla stessa Flynn e (ancora) da Marti Noxon, questa Twin Peaks ambientata in Missouri rovescia lo stereotipo dell’angelo del focolare, sempre vittima indifesa, sempre in cerca dell’amore, e ci racconta una sessualità vorace e veritiera, una maternità spaventosa e distruttiva, e la violenza, in tutta la sua ubiquità.

3 — Dietland

La serie AMC, scritta (ma è un’ossessione, direte voi!) da Marti Noxon, si basa sull’omonimo romanzo di Sarai Walker uscito qualche anno fa.
La storia di Plum, ghostwriter obesa che scrive per una nota rivista di moda e che si ritrova coinvolta in una serie di attentati terroristici di matrice femminista, si muove al limite tra thriller e distopia e attraversa tutti i pilastri da abbattere della nostra personale guerra allo stereotipo.

Sessismo, cultura dello stupro, standard irraggiungibili di bellezza ed esasperazione della responsabilità personale di fronte alle richieste della società (perché se non riesci, la colpa è solo tua).

Pur essendo stata cancellata dopo solo una stagione, credo davvero che anche questa manciata di puntate abbia dignità e merito di essere vista, magari uno di quei giorni in cui avete voglia di piangere e incazzarvi insieme a Plum.

4 — Killing Eve

Questo gioiello di BBC America l’ho recuperato pochi giorni fa (grazie a Giovanni), e sono davvero contenta di averlo fatto.
La serie di Phoebe Waller-Bridge riesce a rovesciare ogni tipo di stereotipo e cliché sessista abitualmente abusato nel genere noir.
E non solo perché sia l’agente segreto che l’assassino sono entrambe donne.
La nostra psicopatica assassina, Villanelle, non tentenna neanche per un attimo nel portare a termine il suo lavoro, senza inciampare nel prevedibile inghippo della donna che in quanto donna deve per forza avere un’emotività ingombrante che le impedirà di essere così violenta. E l’agente Eve si muove nella sua quest eroica con la testardaggine e l’ossessione di un eroe epico, viaggiando di città in città, lasciando a casa un marito lagnoso (e sessualmente frustrante) che non può competere con il fascino della caccia.

5 — The Deuce

Forse la mia serie preferita dell’anno, di cui ho scritto di recente qui.
Ultimo prodotto di David Simon e George Pelecanos (maschi degni di entrare in questa lista), ancora HBO, The Deuce è ambientata in una New York anni settanta in piena esplosione del mercato del porno, di cui ci rappresenta alla perfezione le dinamiche interne fortemente mascolinizzate e lo sforzo femminile di sovvertire tali dinamiche.
Una serie in cui James Franco interpreta ben due personaggi restando comunque in seconda linea rispetto alle meravigliose Candy, Lori, Darlene, Ashley, e Abby.

6 — Seven Seconds

Prodotta per Netflix da Veena Sud. I primi 15 minuti di questa serie TV sono un esempio perfetto di incipit da manuale di scrittura. Impeccabile ogni fotogramma, ogni riga di dialogo, ogni secondo di tensione, tutto volto a impostare una storia che man mano che procede per strati successivi cambierà forma, da thriller a procedural passando per il dramma familiare.

Più che ribaltare lo stereotipo Seven Seconds ci mostra come funziona.

E non solo lo stereotipo di genere, dove la donna avvocato viene accolta tra battute sessiste e svilenti, ma anche quello di classe invischiato nel razzismo endemico presente in ogni briciola della società statunitense.
È una storia triste, come triste è la realtà. Preparatevi a incazzarvi moltissimo.

7 — BoJack Horseman

Netflix merita di esistere anche solo per la serie TV animata di Raphael Bob-Waksberg (un altro maschio meritevole), probabilmente il prodotto più riuscito e originale della rete. Le serie animate in generale hanno la dote di restituirci una narrazione del reale iper-attenta e attendibile, nei loro mondi immaginari e bidimensionali dai colori acidi. Poche serie TV sono riuscite a darci un quadro preciso dell’America suburbana come c’è riuscita The Simpsons, tanto per dire. La grandezza di BoJack Horseman sta nella narrazione dell’abuso, della depressione e dei meccanismi di autodistruzione di un cavallo-attore holliwoodiano, che diventano la narrazione universale della depressione e dell’autodistruzione endemici in una certa fetta di società tardo capitalista. La nostra.

Tra le molte cose che hanno fatto gridare al capolavoro alla vista di questa quinta stagione (l’episodio del funerale, the Angsty Zebra, la spirale della dipendenza da oppiacei-problema reale e dolorosissimo negli USA oggi), c’è una linea di rappresentazione costante dei livelli continui di marginalizzazione a cui sono sottoposte le donne. Riguardate l’intera stagione, ma fatelo dal punto di vista di Diane, Princess Carolyn, e Gina.

Bonus track — The Chilling Adventures of Sabrina

I want freedom and power.
Una storia che comincia con questo grido non poteva non guadagnarsi un posto nel mio cuore e in questa classifica. La serie TV che avrei voluto vedere a dodici anni (e invece mi è toccata Beverly Hills 90210, fate un po’ voi).
Mamme, curate le ferite lasciate aperte da Thirteen Reasons Why con una dose massiccia di Sabrina.
Le vostre figlie ve ne saranno grate.

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Chiara M. Coscia
uonnabi

I’m a close watcher: apro le serie TV per guardarci dentro (una vita SUB-ITA)