Cinque libri che mi hanno salvata nel 2019

consigli letterari per ricordarsi di cercare il bello anche quando sembra che tutto faccia molto schifo.

Federica Guglietta
uonnabi
6 min readDec 30, 2019

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Rieccomi qua, trafelata e totalmente in ritardo su qualunque tabella di marcia, per parlarvi dei meravigliosi Cinque libri che mi hanno salvata, sì, proprio loro, anche quest’anno.

Non posso nascondervelo: ci ho messo davvero un po’ di tempo, stavolta. Sono persino finita a dubitare (facendo molto, ma molto male, tra l’altro) dell’influsso salvifico della lettura sulla vita di chi si affida alle parole altrui per ritrovarci un po’ di sé e sopravvivere così.

Negli ultimi tempi ero arrivata a pensare che nessun libro (nessuno proprio, zero, niente) in questo lunghissimo ed estenuante Duemiladiciannove, fosse stato in grado salvarmi. Così avevo rimandato.

Penso spesso a Come scomparire completamente, come cantava qualcuno qualche tempo fa, e io volevo riuscirci. Perlomeno limitando la mia presenza online (ma-ccchi-ccce-cccrede, dai, Federì). Non aggiorno il blog da un po’, ed è un fatto, ma prometto che tornerò. A gennaio, ovvio, per non deludere quei quattro buoni propositi già stampati in testa da qualche settimana.

La verità adesso è un’altra. Non potevo sparire, non potevo abbandonare i miei amici di uonnabi e questa rubrichina che mi accompagna da anni, che ormai è un po’ come se fosse figlia mia.

Allora rieccomi (sì, lo so, l’ho già detto). Questi, signori miei, sono i Cinque libri che mi hanno salvata nel 2019, e magari è vero che possono salvare anche qualcun altro.

O almeno tenergli compagnia.

5. La lavoratrice, Elvira Navarro (LiberAria)

Il lavoro non c’è, di norma non si trova e siamo messi male. Questa cosa ci fa ammalare, è un fardello che conosciamo fin troppo bene e pure quest’anno non è stato clemente nel fare finta che la precarietà lavorativa non sia un problema della nostra generazione. Lo sa bene anche la scrittrice spagnola Elvira Nararro che, su questa cosa, nello specifico per quanto riguarda il mondo dell’editoriale, ci ha scritto un romanzo tanto spietato quanto vero.

La lavoratrice è la storia di Elisa, che di mestiere prova di giorno in giorno a barcamenarsi nel mare in tempesta dell’editoria, vivendo con il naso sempre ficcato tra mille bozze, ma viene pagata sempre di meno, viene declassata, non ha più garanzie. E la sua salute mentale ne risente.

“La lavoratrice” di Elvira Navarro è quel libro che mi salvata quando ho creduto di trovarmi nella stessa identica situazione e mi ha detto: apri gli occhi in qualche modo ne esci, magari non adesso, poi si vede.

Per chi volesse saperne di più della storia di Elisa, ho scritto qualcosa anche qui.

4. Future, Aa. Vv., a cura di Igiaba Scebo (effequ)

Undici storie per undici donne, tutte tostissime, che riflettono ognuna a suo modo sui concetti di identità e diversità. Le Future pubblicate da effequ, casa editrice indipendente che vi consiglio di tenere d’occhio, sono tutte afroitaliane. I loro racconti ci regalano una fetta di mondo che è bello, perché ci arricchisce, ci spinge a guardare oltre il nostro naso, e vogliono dirci anche: facciamo qualcosa, facciamola insieme, questo mondo sarà pure bello, ma a noi Future (e, insieme a noi, a tante altre persone) ancora ci discrimina per le nostre origini, per il colore della nostra pelle. Ancora, in molti casi, siamo senza cittadinanza.

“Future”, la raccolta di racconti curata da Igiaba Scebo, mi ha portato lontano, mi ha fatto sorridere e pure arrabbiare. Mi ha salvata perché dentro, nonostante tutto, c’è tanta speranza. Ci trovate pure una buona dose di sorellanza che, fidatevi, serve sempre.

Ne ho parlato, non molto tempo fa, anche qui.

3. La straniera, Claudia Durastanti (La Nave di Teseo)

Due giovani s’incontrano e si salvano l’un l’altro. Ognuno, nel raccontare questo fatto, rivendica di aver salvato l’altro. Non è importante chi dei due sia stato veramente, quanto il legame che si instaura tra i due. Due ragazzi non udenti, ostinatissimi, fuori dagli schemi e bellissimi.

Ne La straniera Claudia Durastanti racconta, nella forma ibrida del memoir che si fa saggio e anche storia bellissima e commovente, la storia dei suoi genitori, viaggiando tra l’America e la Basilicata, e anche la sua. Stranieri sono sua madre e suo padre, straniera è la stessa autrice. Un libro che scava nell’animo delle persone che racconta per mostrarcele sempre luminose mentre si scontrano con i propri limiti per superarli, quando cadono, quando spariscono, quando si mostrano per quello che sono: persone fragili.

Nella cinquina finalista del Premio Strega 2019, “La straniera” è un libro pubblicato quest’anno che aspettavo e che so che porterò nel cuore. Mi ha salvata quando ho avuto paura di misurarmi con i miei limiti.

Trovate tutto il mio amore per questo memoir anche qui.

2. Meglio l’assenza, Edurne Portela (Edizioni Lindau)

Un’altra bella storia che l’orrido Duemiladiciannove ha avuto il buonsenso di regalarmi è quella della piccola Amaia Gorostiaga e della sua famiglia, raccontata da Edurne Portela in Meglio l’assenza. Amayita ha solo cinque anni quando comincia ad annotare nel suo diario di cose che vede accadere davanti suoi occhi a casa e che non sa spiegarsi. C’entrano una madre depressa e alcolizzata, un padre assente di cui sa poco e che vede altrettanto raramente, una grande perdita in famiglia. Sullo sfondo, ma neanche tanto, c’è la situazione nei Paesi Baschi tra gli anni Ottanta e Novanta, dovendosela vedere con terrorismo, lotta armata, spaccio di eroina, disoccupazione e disastri ecologici.

“Meglio l’assenza” è un romanzo che mi ha salvata perché è scritto in un modo che non avrei mai creduto possibile e, in più, leggendolo, si impara sicuramente qualcosa. La scrittura di Edurne Portela è una calamita.

Trovate altro riguardo la storia e i suoi personaggi qui.

La tua vita e la mia, Majgull Axelsson (Iperborea)

Vi ricordate di Majgull Axelsson? L’avevamo conosciuta insieme tra i Cinque libri che mi hanno salvata nel 2016. A tre anni dalla sua prima pubblicazione in Italia per Iperborea, la Axelsson dimostra di nuovo di tutta la sua bravura nello scrivere romanzi partendo da un dato reale. Questa volta, con La tua vita e la mia, indaga sugli esperimenti portati avanti tra il 1945 e 1955 ai danni dei pazienti nel manicomio di Vipeholm, a Lund, in Svezia, e lo fa raccontandoci la storia di Märit, della sua famiglia e del suo passato, che rivive nel ricordo del suo fratellone, il povero Lars-lo-Svitato, che da quel manicomio, purtroppo, non è mai uscito vivo.

Sono sincera: leggere Majgull Axelsson mi salva sempre. Fatevi un regalo, leggetela pure voi. Io continuerò a consigliare i suoi lavori e ad aspettare con ansia che venga pubblicato altro di suo in Italia.

Se, per caso, non vi ho ancora fatto una capoccia così con quest’autrice e vi va di approfondire, trovate altro qui.

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Federica Guglietta
uonnabi

Leggo, scrivo, faccio cose. Mi piacciono le storie che finiscono male. Su Instagram e altrove come @fdifrantumaglia