“Ho la sensazione che gli interaction designer siano un po’ troppo concentrati a fare cose fighe (per pochi grandi nomi)”

marcello
UX Italics
Published in
5 min readAug 14, 2018

Francesco, 33 anni di Abbadia San Salvatore, Junior project manager

Qui si parlava di estranei, ecco, Francesco era uno degli estranei. Anzi, era un super estraneo, in quanto arrivato un mese abbondante dopo l’inizio del corso, insieme a qualche altro, credo che dovesse ancora discutere la tesi triennale, la famigerata poca comunicazione sul fatto che il DAC esistesse fece il resto.

Ciao Francesco! Iniziamo chiedendoti come mai avevi deciso di fare il DAC, pur avendo fatto una triennale diversa?

Il mio percorso di studi è stato a dir poco tortuoso: dopo essermi diplomato in ragioneria mi ero reso conto di dover cambiare totalmente percorso. La laurea triennale in scienze della comunicazione mi sembrò al tempo un’ottima scelta per uno che non aveva fatto il liceo e in più ero appassionato di giornalismo allora. Finita la triennale, e capito che anche il giornalismo non faceva per me, mi sono guardato intorno molto perplesso fino a scovare questo corso che fin dalla prima descrizione mi ha veramente conquistato.

Al momento dell’iscrizione sapevi che cosa era l’interaction design?

Onestamente no, ero un totale neofita, l’unico mio punto di forza, al momento di intraprendere il DAC era il fatto che sono sempre stato appassionato di nuove tecnologie, in particolare ero appassionato a tutto il mondo open-source (per dire, al tempo non eravamo in molti ad usare GNU-Linux come sistema operativo, e trovare dei colleghi che lo conoscevano e usavano quotidianamente mi galvanizzava molto). Ricordo anche che molti dei colleghi provenivano da un diverso curriculum ed erano molto più sgamati di me sotto molti aspetti, quindi inizialmente stare al passo non era molto facile.

Quale e’ stato il corso che ti e’ piaciuto di più?

Scienze cognitive, un po’ per la grande capacità di Antonio Rizzo di farti appassionare al tema, un po’ perché ho trovato la materia interessantissima anche a livello personale. Studiare le capacità cognitive umane a un livello così basilare è sicuramente utile nella progettazione di “cose per umani” ma cambia anche la percezione stessa che hai del mondo.

Quale e’ stato il corso che ti e’ servito di più?

Quello di produzione video, Nell’azienda dove lavoro realizziamo molti prodotti video, dai semplici brevi documentari didattici, a più complessi progetti con attori o ricostruzioni in CGI. La stesura delle sceneggiature e in generale la gestione di questi progetti video mi occupa per una buona parte della giornata lavorativa.

Al corso di produzione video abbiamo lavorato assieme, venendo fuori quasi per caso con il soggetto per il nostro cortometraggio…

Ricordi bene! Proprio da una nostra chiacchierata a mensa uscì fuori il soggetto del cortometraggio che poi presentammo all’esame, fu veramente un lavoro appassionante e divertente!

Se tu dovessi tirare le fila della tua esperienza al DAC cosa diresti?

La sensazione che mi ha lasciato il corso una volta uscito è che l’università dovesse essere fatta in quel modo, con laboratori, progetti e ricerche ad ogni esame. Ovviamente aveva molti difetti, era un corso ancora embrionale che non ha avuto il tempo di maturare come meritava, ma onestamente cancellarlo credo sia stato un’assurdità.

Dicci brevemente cosa hai fatto dopo la laurea.

Dopo la laurea ho iniziato a far girare un po’ il mio curriculum e ho fatto un po’ di attività di webdesigner freelance, lavoretti da poco ma già un primo assaggio di “realtà”. Nel giro di sei mesi ho poi trovato lavoro, in modo un po’ fortuito, presso l’azienda dove lavoro tuttora, la Space Spa di Prato, che opera nella valorizzazione dei beni culturali e realizza perlopiù allestimenti museali a livello nazionale. La mia posizione attuale è di Junior project manager e redattore di contenuti per la comunicazione museale.

Hai trovato differenze particolari fra il contesto universitario e “la vita vera”?

Chiaramente il passaggio dal mondo dell’università a quello del lavoro è stato tutt’altro che facile, mi sono scontrato e mi scontro tuttora con le logiche a volte un po’ perverse del mercato, ma nel complesso sono felice perché lavoro nel settore dei beni culturali, che dal punto di vista personale mi permette di studiare e arricchirmi molto al livello culturale.

La tua opinione su cosa e’ l’Interaction Design e’ cambiata una volta finita l’Università?

Per me l’interaction design è un approccio strutturato utile ad affrontare un problema, a cercare una soluzione per risolverlo, a volte anche a mettersi in discussione e ponendosi paradossalmente nuovi problemi. Sicuramente questa visione molto universitaria è cambiata, o meglio non l’ho trovata più di tanto nella mia esperienza lavorativa

Spiegaci meglio

Quello che mi delude un po’ dalla situazione dell’interaction design nel mondo del lavoro — almeno nella mia personale esperienza — è che se ne abusa un po’ nella terminologia progettuale, senza che questo approccio sia sempre veramente utilizzato nel concreto. La cosa positiva è che molte pratiche, conoscenze e principi dell’interaction design e dello user centered design sono ormai nella cassetta degli attrezzi dei professionisti più bravi (ad esempio molti miei colleghi con una formazione meno specifica spesso ne sanno quanto e più di me), però sicuramente a volte si sente la mancanza di un po’ di progettazione “pura”

Insomma, i concetti di base rimangono gli stessi.

Esatto, al di là del fatto che nel mio lavoro, appunto, non sempre questi principi vengono adottati.

Quindi che cosa vuol dire fare Interaction Design in Italia per te?

Credo sia un modo di lavoro ancora troppo poco diffuso, se vai in giro a dire che sei un interaction designer la gente alza le sopracciglia e aspetta una qualifica diversa, insomma il campo è poco valorizzato. Onestamente non mi definisco un interaction designer, io e i miei colleghi ci definiamo spesso “architetti dell’informazione” che rende un po’ meglio quello che facciamo nell’ambito della realizzazione di progetti museali.

Ci sono delle cose che cambieresti se potessi?

Sicuramente mi piacerebbe vedere più corsi di laurea e una maggiore percezione di cosa è questa disciplina. Ancora di più, mi piacerebbe che esistessero professionisti interaction designer nei campi più disparati, dalla comunicazione pubblica all’edilizia, ad oggi ho la sensazione che gli interaction designer siano un po’ troppo concentrati a fare cose fighe per pochi grandi nomi (perché sono gli unici che li assumono, ovviamente).

Come e dove ti vedi tra 5 anni?

Direi a fare lo stesso lavoro, perché mi piace

Hai mai pensato di andare all’estero?

Dopo l’università ho pensato di andare all’estero, poi mi sono trovato bene a Firenze, oltre al lavoro convivo con la mia compagna e con un cane, quindi sono felicemente stanziale!

Ti vedi a fare il tuo attuale lavoro per tutta la vita o pensi di cambiare ad un certo punto?

Onestamente non mi vedo a fare lo stesso lavoro tutta la vita, non so bene ancora quale sarà la prossima direzione, ma credo che cambierò sicuramente strada ad un certo punto

Francesco vive a Firenze e lavora a Prato per la Space SPA.

Qui lo potete vedere nel ruolo del padre del protagonista del cortometraggio, sfortunatamente non ha più rivestito i panni della nocciolina.

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