“L’Interaction design é un compromesso”

marcello
UX Italics
Published in
5 min readDec 12, 2018

Elisabetta, 33, Barcellona, Senior UX designer

Betty (che scrivere Elisabetta anche solo una volta è stato strano abbastanza) é un’altra degli estranei che abbiamo intervistato per questo progetto.

Il suo percorso é uno dei più interessanti fra quelli degli ex DAC, innanzitutto perché è riuscita a sfatare due miti: quello dello “stare in Italia” a combattere contro clienti, mentalità e budget risicati; ma anche quello dell’andare a farsi le ossa “al nord”, quasi sempre in Inghilterra o una socialdemocrazia scandinava a caso, come unica alternativa all’Italia. Dopo la laurea si é infatti trasferita a Barcellona, dove vive e lavora ancora oggi.

Ciao Betty, anche a te chiediamo, come mai avevi deciso di fare il DAC?

Appena ho saputo dell’esistenza del DAC ho capito che era quello che volevo fare. Venivo da Scienze della comunicazione, curriculum in analisi e produzioni di testi. Mi é sempre piaciuta la tecnologia e volevo studiare qualcosa di più pratico e meno teorico. Oltretutto la mia amica Valentina stava facendo il primo anno del DAC e mi appassionava tutto quello su cui lavorava.

A quel punto sapevi già cosa fosse l’interaction design?

Sí, a grandi linee. Ovviamente non sapevo come fosse applicato al mondo del lavoro.

E una volta iniziato, il DAC si é rivelato la scelta giusta?

Già dal primo corso di Analisi dell’attività e definizione dei requisiti ho capito quanto fosse entusiasmante poter lavorare e plasmare idee e soluzioni per il futuro, avere la possibilità di creare qualcosa di nuovo ascoltando le necessità degli utenti. Ogni progetto ti da l’opportunità di imparare cose nuove, approfondire nuovi campi di studio.

Immaginiamo quindi che quel corso sia stato uno di quelli che ti sono piaciuti di più

La verità è che sono stati tutti belli. Oltre a quello ricordo Prototipazione e produzione web. Entrambi mi hanno aiutato molto nel mondo del lavoro. Il primo é la definizione di UX. Tutta la parte di ricerca e analisi sugli utenti e base del nostro lavoro. Il secondo é la parte in cui questa ricerca si applica in maniera tangibile, per così dire. Quindi dallo studio di un argomento e la formazione di ipotesi, a quando quelle ipotesi vengono sviluppate sotto forma di prototipi e testate.

Una volta finita l’università, come abbiamo detto, ti sei trasferita in Spagna, dicci un po’ come é andata

Appena dopo la laurea sono venuta a lavorare a Barcellona come Junior interaction designer per l’HP. Quando mi hanno chiamato per dirmi che mi avevano preso, non lo dimenticherò mai, mi hanno dato solo una settimana per andare lì ed iniziare a lavorare, io non ci ho pensato neanche un minuto. Era una di quelle opportunità che non puoi lasciar scappare. Molti mi dicono che ho avuto coraggio nel decidere su due piedi di partire e rivoluzionare la mia vita. Io gli dico che ci sarebbe voluto molto più coraggio nel restare. Stavo facendo molti colloqui in quel momento, ma le aspettative lavorative non erano delle migliori, ricordo ancora le offerte di stage non retribuiti con le responsabilità di un lavoratore normale.

Le tue esperienze successive invece come sono state?

Ho lavorato per un periodo in una piccola azienda di design che si chiama Workplane design, fino a quando ho avuto l’opportunità di poter entrare alla Roche Diagnostics dove adesso lavoro come Senior UX designer. Ho molte responsabilità, mi trovo in un mondo multiculturale e multidisciplinare, con colleghi fantastici e avendo l’opportunità di fare qualcosa di buono, quindi ogni fatica viene ripagata. Facendo diagnostica e ricerca nei laboratori di analisi e ospedali infatti, abbiamo sempre il bene dei pazienti in mente come priorità.

Sin dalle tue risposte precedenti si capisce quanto tu abbia riflettuto sul ruolo che gli studi hanno avuto sulla tua carriera professionale. Quanto è cambiata la tua opinione sull’Interaction design dopo l’università?

Più che cambiata direi che si é delineata meglio. L’università, per quanto pratica possa essere non é un’azienda e non fa i conti con business, clienti, scadenze serrate, documentazione ufficiale. Non c’è poi quella varietà che trovi quando lavori per clienti o aziende che hanno diversi modelli di business, budget, vision. Lavorare per una compagnia che si rivolge ad una audience globale è molto diverso da un’azienda che si occupa esclusivamente di design. Il focus é differente, quindi per forza di cose cambia anche il modo in cui dobbiamo fare il nostro lavoro.

Quindi che cosa é oggi per te l’Interaction Design?

Io preferisco il termine User experience design per quello che faccio. Il ruolo di interaction designer é limitato alla creazione di wireframes e prototipi. Mentre l’UXD applica tutta la metodologia dello User centered design per la raccolta di dati sulle necessità degli utenti che poi vengono applicate nella creazione di nuovi concetti.

In generale direi che l’Interaction design o lo UXD é un compromesso. Un compromesso del progetto con le limitazioni tecnologiche, di tempo, di soldi, con quello che i clienti vogliono e quello di cui gli utenti hanno bisogno.

E credi che ci siano differenze tra fare Interaction Design in Italia e farlo in un altro paese?

Sinceramente non lo so, dato che non ho mai lavorato in Italia.

Ci sono delle cose che cambieresti se ne avessi la possibilità?

Personalmente, faccio sempre del mio meglio per migliorare e gli errori che ho commesso mi hanno comunque fatto crescere. In generale invece, credo che noi UX designers dobbiamo imparare a parlare diversi linguaggi: il linguaggio business, quello degli sviluppatori, quello del marketing.

Questo é un punto davvero fondamentale se da designers vogliamo davvero diventare influenti all’interno del processo decisionale.

A volte facciamo fatica come UX designers a parlare il linguaggio business soprattutto. Per poter mostrare l’importanza del nostro lavoro, é necessario poterla spiegare anche con dati quantitativi e con un linguaggio che non é immediatamente associato al design. È una cosa che per me é importante soprattutto adesso, dato che Roche é una multinazionale con una storia di applicazione dei principi UX relativamente recente. Saper discutere in un linguaggio familiare all’azienda é stato fondamentale, per potersi poi focalizzare sul lavoro di UX Designer al meglio.

Vivi a Barcellona dal 2011, hai mai pensato di tornare in Italia?

No. Tornerei solo se avessi le stesse condizioni sia lavorative che di vita quotidiana che ho qui. Io vengo da un posto bellissimo della Toscana in cui torno sempre volentieri in vacanza. Purtroppo però non sarebbe facile né per me né per mio marito trovare lavoro lì nei nostri rispettivi campi. Qui a Barcellona c’è moltissimo lavoro, tante aziende ed opportunità di crescere e migliorarsi.

Ti vedi a fare il tuo attuale lavoro per tutta la vita o pensi di cambiare ad un certo punto?

Mi piace molto quello che faccio ma sono anche aperta ai cambiamenti. Vedremo.

Dovre vorresti essere fra 5 anni?

In una spiaggia di Antigua a bere piña colada :)

Perfetto, facciamo che ci vediamo lì allora, il primo giro lo offriamo noi!

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