Affordance, istruzioni e fantasia

Ovvero, quando mille istruzioni non valgono una buona progettazione.

Marco Buonvino
UXthis!
10 min readNov 2, 2019

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In un articolo precedente abbiamo citato il concetto di affordance. Ripercorriamo l’origine del termine, per poter affrontare meglio la seconda parte dell’articolo.

Origine del termine

Nel 1988, Donald Norman pubblicò The Psychology of Everyday Things (modificato poi in The Design of Everyday Things e tradotto in: La caffettiera del masochista).

Partendo dal lavoro dello psicologo James Gibson e considerando il campo dell’Interazione Uomo-Macchina, Don Norman descrisse come molti oggetti quotidiani potessero essere in grado di trasmettere, in modo più o meno efficace, le cosiddette possibilità d’azione.

Un oggetto con una buona affordance è progettato in modo da suggerire, tramite le sue proprietà fisiche, le azioni appropriate per essere manipolato da un essere umano.

Esistono diversi tipi di affordance

Nell’articolo pubblicato nel 1991, intitolato Technology Affordances, l’autore William Gaver descrive tre tipologie di affordance:

  • Affordance falsa: l’oggetto presenta inviti a possibilità d’azione, che in realtà non esistono. Un esempio sono i pulsanti placebo che, anche se premuti, non producono alcun risultato.
  • Affordance nascosta: esistono delle possibilità d’azione per manipolare l’oggetto, ma queste non sono veicolate dalla progettazione e perciò non sono percepite dall’utente. Un esempio è la linguetta delle bibite in lattina, che può essere utilizzata per mantenere ferma una cannuccia mentre si beve, ma molte persone non ne hanno idea.
  • Affordance percepita: l’informazione circa le possibilità d’azione di un oggetto è chiaramente percepibile dall’utente e perciò viene veicolata in modo corretto.

Prendendo spunto dall’articolo intitolato Understanding Affordance in Digital Interfaces di Paula Borowska, è possibile mappare i tipi di affordance in una semplice tabella riassuntiva.

I diversi tipi di affordance. Fonte dell’immagine: https://www.paulolyslager.com/understanding-affordance-digital-interfaces/

L’affordance nel digitale

Molti articoli descrivono bene il tema, per esempio quello su UXblog.it di Matteo Camarota o quello su webdesignerdepot.com sempre di Paula Borowska, in cui vengono anche presi in esame i diversi tipi di affordance in relazione alle esperienze digitali.

La percezione delle possibilità d’azione è più complessa da veicolare nel mondo digitale perché manca la dimensione fisica degli oggetti rappresentati (es: link, menu di navigazione, file system, e così via).

Per questo, spesso nella progettazione del software si utilizzano metafore, come quello della scrivania per il sistema operativo, oppure lo skeumorfismo. Anche il contesto culturale ha una forte influenza nella trasmissione delle possibilità d’azione per gli oggetti digitali.

L’affordance può essere frutto di diverse iterazioni nel tempo

A volte si osserva una vera e propria evoluzione dell’oggetto nel corso degli anni.

Un esempio è il caso del martello. Lo strumento si è evoluto nel tempo in modo da essere sempre più semplice e versatile, adattandosi nella forma e nella funzione a sfide e contesti sempre diversi.

L’affordance dell’utensile si è perciò affinata gradualmente, raggiungendo una forma e un bilanciamento peculiari.

Rappresentazione dei diversi stadi di evoluzione del martello, da una semplice pietra fino all’utensile moderno.
L’ultima ‘iterazione’ rappresentata in basso a destra, il martello a vapore, esula un po’ dal nostro discorso. Fonte dell’immagine: https://togetherworking.com/ep-18-kevin-kelly/

Dopo questa premessa sicuramente non esaustiva, vediamo allora alcuni esempi quotidiani dei diversi tipi di affordance, per stimolare la nostra riflessione.

Affordance nascosta

Negli oggetti con questo tipo di affordance, la possibilità d’azione esiste ma non è percepita dall’utente.

Non è perciò semplice manipolare l’oggetto perché mancano le proprietà fisiche che suggeriscano il comportamento da adottare.

Quando l’oggetto non è stato progettato per suggerire bene le proprie possibilità d’azione, allora spesso vengono inserite delle istruzioni.

Esempio di istruzioni aggiunte su un ATM, in modo artigianale. Dopotutto, è un tentativo di risposta a un problema di interazione, no? Ma perché si verifica in prima istanza, per una funzione così basilare per un ATM: il prelievo di contante? Foto originali.

Perché si è rivelato necessario inserire delle istruzioni in un prodotto progettato per relazionarsi con il grande pubblico? Forse non sono stati effettuati abbastanza test di usabilità con gli utenti finali? Oppure, forse è cambiato lo scope dell’oggetto nel corso del tempo?

Quando non si ha tempo e/o budget per condurre degli user test (sebbene non sia una scusa, dato che esiste il guerrilla testing!), si può provare a iniziare a validare la progettazione effettuando delle analisi esperte di usabilità.

Ad esempio, prendendo ispirazione dalle 10 euristiche di Nielsen, circa l’esempio dell’ATM sopra rappresentato è possibile considerare che:

  • #6: Recognition rather than recall
    l’utente dovrebbe poter riconoscere lo stato del sistema e le possibili azioni da intraprendere, anziché utilizzare risorse cognitive più dispendiose come la memoria a lungo termine. In questo caso però, l’unica scorciatoia per evitare ogni volta di leggere le istruzioni è ricordarsi a memoria il particolare funzionamento di quell’ATM.
  • #10: Help and documentation
    l’invito dell’euristica è limitare l’utilizzo di istruzioni e la documentazione al minimo possibile. Una funzione fondamentale come il prelievo di denaro contante per un ATM non può proprio essere spiegata con delle istruzioni.

L’importanza dei Significanti

I significanti sono dei suggerimenti appositamente progettati per ridurre la distanza di interpretazione fra la possibilità d’azione e la percezione da parte dell’utente, migliorando così l’affordance di un prodotto.

Possono essere delle etichette, dei suggerimenti visivi o anche delle “spinte gentili” (citando la Nudge Theory alla base dell’opera di Richard Thaler e Cass Sunstein). Ad ogni modo, tutti i significanti sono sempre chiaramente percepibili da parte dell’utente.

Quando ben progettato, l’uso dei significanti consente di ridurre al minimo ambiguità del sistema e di massimizzare l’usabilità dell’interazione uomo-macchina. Quando invece l’uso dei significati è un po’ più selvaggio (volendo essere gentili), allora è bene domandarsi perché si è giunti ad averne bisogno.

Molti bottoni di questo ascensore hanno un significante specifico. Una soluzione po’ troppo artigianale e incompleta. Fonte della foto: Luca Magarò

L’esempio di quest’ascensore evidenzia come la bottoniera, un’interfaccia potenzialmente universale, in realtà non si adatti bene a tutti i contesti d’uso.

In un’ospedale, spesso ogni piano è dedicato a uno o più reparti specifici: dei significanti sarebbero quindi molto utili per evitare ambiguità di interpretazione durante gli spostamenti.

Perché allora creare un oggetto minimo-comune-multiplo per tutti i possibili contesti d’uso in cui si può trovare un ascensore, quando invece si potrebbe creare un oggetto che abbia la possibilità di essere personalizzato senza grande impiego di energie (per esempio, uno spazio appositamente progettato per inserire delle etichette)?

Esistono molti modi per sbagliare la progettazione di oggetti come gli ascensori: per ottenere una soluzione migliore bisogna invece tenere in considerazione parametri di universalità di accesso e di flessibilità ai diversi contesti d’uso.

Affordance falsa

Negli oggetti con questo tipo di affordance, la possibilità d’azione non esiste eppure viene percepita dall’utente.

Alcuni oggetti non prevedono una funzione specifica e perciò non possono nemmeno avere una possibilità d’azione corrispondente… eppure possiedono quelle caratteristiche fisiche che attraggono l’utilizzo da parte delle persone. Il caso già citato è quello dei pulsanti placebo: assomigliano a dei bottoni ma, se premuti, non determinano alcun risultato.

Talvolta si può anche creare una corrispondenza errata: l’utente fraintende una possibilità d’azione che non esiste con un’altra esistente, ma che appartiene a un oggetto diverso con proprietà fisiche simili.

Questo può avvenire perché la possibilità d’azione “errata” viene percepita prima o in modo più potente, a causa di possibili bias, distorsioni del giudizio dell’utente, o perché viene richiamato più velocemente dalla memoria un modello mentale compatibile.

Se una cosa assomiglia a una sedia, prima o poi qualcuno ci si siederà sopra.

Questo è quello che è avvenuto per questo sventurato condizionatore.

Peccato non aver letto prima il cartello: il condizionatore non si sarebbe rotto! Ma gli utenti leggono davvero l’ennesimo avviso posto sotto una bacheca già molto affollata? Foto originale.

L’affordance dell’oggetto come e fosse una sedia è molto forte perché:

  • è posto alla stessa altezza di una sedia
  • è profondo e largo tanto da potercisi sedere comodamente
  • si trova nella sala d’attesa di un ufficio pubblico (ovvero, là dove c’è in genere molta domanda di sedie)

Tutte queste caratteristiche fisiche del condizionatore invitano a una possibilità d’azione che invece è tipica di una normale sedia. Tralasciando temi di inciviltà delle persone, si può quindi creare una corrispondenza errata fra i due oggetti e, perciò, anche un comportamento sbagliato.

Per limitare ai danni da parte degli utenti, di nuovo si ricorre alle istruzioni che in questo caso diventano avvisi e divieti.

Volendo risolvere la situazione ambigua, potrebbe non essere necessario cambiare la progettazione dell’oggetto in sé. Invece, sarebbe utile rivederne la disposizione all’interno dell’ambiente: un posizionamento diverso del condizionatore all’interno dell’ufficio pubblico aiuterebbe a ridurre i casi di impiego errato.

Vediamo un altro esempio di oggetti che assomigliano in qualche misura ad altri artefatti e che ne ereditano la possibilità d’azione proto-tipiche.

Tralasciando un’altra volta l’inciviltà delle persone, le aiuole e i vasi di piante sono spesso scambiati come dei posacenere.

Povere piante: sono spesso scambiate come dei posacenere! Prima foto originale. Fonte della seconda foto: https://www.instagram.com/p/Bi87TH2jMkJ/

Le caratteristiche fisiche di queste aiuole, così come la loro disposizione vicino ai luoghi in cui le persone fumano, rappresentano un’erronea offerta al problema dei fumatori di disfarsi dei mozziconi di sigaretta.

Perché allora tutte queste persone semplicemente non buttano a terra i loro mozziconi? Purtroppo perché le aiuole e i vasi hanno la caratteristica fisica di essere in grado di contenere vari materiali, un po’ come i cestini. Questo aspetto purtroppo li rende un forte invito a depositare materiali non previsti come, appunto, i mozziconi.

La strategia più comune è sempre aggiungere divieti scritti, per tentare di arginare il comportamento errato. Ma l’affordance è più forte delle regole scritte, perché agisce a un livello più profondo ed è anche più semplice da elaborare a livello cognitivo.

E se la soluzione fosse inserire nell’ambiente un artefatto con un’affordance ancora più forte, stavolta a favore di una possibilità d’azione più corretta e civile? Oppure si potrebbe adottare dei significanti specifici in modo da guidare un comportamento più socialmente accettabile e sostenibile… magari attraverso meccanismi di gioco.

In questo caso i significanti consentono di giocare con le possibilità d’azione del posacenere, attraendo il comportamento corretto da parte degli utenti. A proposito, sembra che Obi Wan stia più in alto di Yoda. Fonte della foto: Reddit. Qui invece una versione più italiana della stessa soluzione.

Affordance percepita

Negli oggetti con questo tipo di affordance, la possibilità d’azione esiste ed è correttamente percepibile. Questo è il caso in cui va tutto bene e l’oggetto è semplice da usare.

Esistono numerosi casi di oggetti semplici da utilizzare. Spesso sono le esperienze più comuni e quotidiane: spazzolini, posate, maniglie e rubinetti… Donald Norman ne ha analizzate parecchie in The Design of Everyday Things.

Alcuni oggetti possono presentare numerose possibilità d’azione, ciascuna chiaramente percepibile

Un esempio è la Pattada (o Resolza): un coltello sardo che, grazie alle sue caratteristiche fisiche, può essere utilizzato efficacemente in diversi contesti.

Una tipica Resolza Pattadesa. Fonte della foto: Ricce — Opera propria, Pubblico dominio. Qui la foto originale.

Questo coltello è stato studiato in un articolo scientifico di Giorgio De Michelis intitolato The Swiss Pattada. È voluto il gioco di parole che sottolinea la differenza di approccio fra questo coltello e un tipico coltellino svizzero (Swiss Army Knife).

La Pattada ha una forma unica e si adatta al contesto in modo flessibile: basta variare il modo con cui la si impugna o la forza che si imprime. Gli utilizzi per gli allevatori sardi sono vari: dalla caccia alla pulizia delle carni, dalla difesa personale alla cura della salute delle pecore partorienti.

Il coltellino svizzero è invece un oggetto multi-uso che però non eccelle in nessun campo. Spesso è stato citato come un esempio di approccio fallimentare alla progettazione di oggetti e sistemi complessi.

Il coltellino svizzero è buono in tutto, ma ottimo in niente. Fonte immagine: https://twitter.com/intercom/status/529932327871610880

Anche gli artefatti digitali hanno un’affordance

Come già accennato, sebbene molte proprietà fisiche in questi casi non esistano (non stiamo parlando di maniglie o rubinetti), quasi tutte le esperienze digitali possono essere manipolate dagli utenti.

Siti web, app, assistenti vocali, intelligenze artificiali, realtà aumentata: per interagire con questi sistemi esistono regole e vincoli, che spesso determinano quelle caratteristiche “fisiche” necessarie per trasmettere le possibilità d’azione.

Una fra le esperienze digitali più consolidate in termini di affordance sono i videogiochi.

Queste elaborate interfacce digitali vengono continuamente riprogettate fin dal 1962, con l’obiettivo di diventare sempre più immersive per gli utenti finali. Nel corso degli anni si sono stabilite vere e proprie regole che ogni buon giocatore deve padroneggiare per superare i diversi livelli.

I primi dieci minuti di Megaman X sono stati analizzati da Arin Hanson (alias Egoraptor). Nell’analisi vengono considerati tutti gli aspetti di scoperta progressiva dei meccanismi di gioco da parte del giocatore.

L’analisi di MegaMan X per SNES, fatta da Egoraptor. Fonte del video: YouTube.

In ciascun esempio, viene identificata una possibilità d’azione e quali sono i suggerimenti di percezione che vengono veicolati verso l’utente per il superamento di un ostacolo o per l’esecuzione di un’azione complessa (come il wall jump).

Come sottolinea più volte Egoraptor, non vengono mai presentate istruzioni per eseguire queste azioni. Al loro posto vengono rilasciati numerosi pseudo-significanti (in modo sottile e quasi subliminale), così da permettere al giocatore di arrivarci da solo.

L’utente riesce quindi ad aumentare le proprie abilità e a superare gli ostacoli via via più difficili, senza mai cadere nella noia o nella frustrazione. La dinamica di gioco resta all’interno dell’area del flusso di gioco, senza mai sbilanciare troppo l’esperienza complessiva.

Il Gamer flow, descritto nelle teorie di Gamification, prevede che un buon gioco non sia né noioso né frustrante, ma anzi cresca al crescere del giocatore stesso. Fonte dell’immagine: Janaki Kumar and Mario Herger. Copyright: CC-Att-ND (Creative Commons AttributionNoDerivs 3.0 Unported).

In questo caso, la relazione fra possibilità d’azione, significanti e percezione ruota attorno al meccanismo di gioco, in cui l’interfaccia deve essere chiara ed essenziale, ma deve nel contempo seguire un percorso di continua scoperta da parte del giocatore.

Chiudiamo la carrellata con un piccolo esempio di come sbagliare praticamente tutto nella progettazione di un videogioco: Dr. Jekyll and Mr. Hyde per NES, recensito da Angry Video Game Nerd.

Un raro esempio di come si possa sbagliare praticamente tutto nel design di un videogioco. Fonte: YouTube.

La morale? Ogni oggetto progettato ce la mette tutta a raccontarsi e a fornire inviti al corretto funzionamento. Poi, accettare l’invito è cortesia.

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Marco Buonvino
UXthis!

Sketcher, UX and Service designer, videogame and comics lover.