Mariano Rajoy (PP), Albert Rivera (Ciudadanos), Pedro Sánchez (PSOE), Pablo Iglesias (Podemos). Via El Confidencial

Elezioni in Spagna: tutti sconfitti, nessun governo

Valigia Blu
Valigia Blu
6 min readJun 27, 2016

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Non essendo riusciti a formare un governo in seguito alle elezioni del 20 dicembre 2015, gli spagnoli sono tornati alle urne sette mesi dopo, ma i risultati non sono per niente confortanti. Il partito di destra che attualmente governa il paese (PP) recupera voti ma è ancora lontano dalla maggioranza, mentre i socialisti del PSOE, i neo-centristi di Ciudadanos e la coalizione ‘antiestablishment’ Podemos+Izquierda Unida perdono elettori. La situazione è analoga a quella di sette mesi fa: l’unica maggioranza assoluta verrebbe da una “grande coalizione” tra PP e PSOE, ma è possibile investire un presidente anche con la maggioranza semplice alla Camera. Come? Marco Nurra, dalla Spagna, analizza il risultato elettorale.

L’effetto Brexit che non c’è (aggiornamento 28 giugno)

Che parlare di “effetto Brexit” il giorno dopo le elezioni sia azzardato, dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i sondaggi. Eppure molti giornali italiani hanno fatto la prima pagina seguendo questa narrazione. Senza un rilevamento posteriore al voto, che confermi (o smentisca) tale ipotesi, qualsiasi considerazione in questo senso è campata in aria. Inoltre, come spiega Kiko Llaneras, editor di Politikon, in un articolo pubblicato martedì, i sondaggi posteriori al risultato del referendum britannico non avevano mostrato nessuna variazione nelle intenzioni dell’elettorato. Una ragione sufficiente per essere prudenti e non saltare a facili conclusioni.

Secondo l’analista politico, la discrepanza tra sondaggi e risultato elettorale (stiamo parlando di variazioni tra il 3% e il 4%, è bene ricordarlo) deve essere imputata ad altri fattori. L’astensione può essere uno di questi. Non avendo a disposizione dati storici sui nuovi partiti, i sondaggisti potrebbero non aver previsto correttamente l’astensione che si sarebbe concentrata su Unidos Podemos. Un’altra ipotesi ha a che vedere con il metodo di raccolta dei dati e la gestione della non-risposta. “E se non stessimo più raggiungendo un certo tipo di votante — meno espressivo, discreto, assente — che preferisce i partiti tradizionali?”, si domanda il politologo.

Podemos inchiodato in terza posizione

È forse il dato più interessante, e questo la dice lunga. Sondaggi ed exit-poll facevano presagire un “sorpasso” di Unidos Podemos (l’alleanza elettorale di Podemos e Izquierda Unida) sul partito di centro-sinistra, il PSOE. Subito dopo la chiusura dei seggi si parlava addirittura di maggioranza assoluta di podemiti+socialisti, ma l’illusione è durata poco meno di due ore. La formazione di Pablo Iglesias accorcia le distanze ma non riesce ad assaltare la seconda posizione, anzi, se confrontiamo la somma dei voti raccolti da Podemos e Izquierda Unida a dicembre (quando si presentavano separati) con quelli di ieri, scopriamo che nel complesso hanno perso circa un milione di elettori, anche se il numero di deputati è rimasto invariato (dovuto al sistema di redistribuzione stabilito dalla legge elettorale).

La paralisi di Podemos rispecchia quella del Parlamento: il voto non ha risolto lo stallo che ha obbligato il paese a ripetere le elezioni. Lo sblocco della situazione passa per l’accettazione, una volta per tutte, della fine del bipartitismo e la formazione di nuove alleanze di governo.

Grafico de El País

Cosa dicono i numeri: chi scende e chi sale

⬆ Il PP vince le elezioni con il 33,03% dei voti (contro il 28,72% di dicembre) e porta alla Camera 137 dei suoi (123 a dicembre), con il consenso di 600.000 spagnoli in più rispetto alle elezioni del 2015. Il candidato Mariano Rajoy ringrazia tutti durante il suo discorso (e qualcuno gli suggerisce all’orecchio di ricordare che hanno vinto le elezioni).

⬇ Il PSOE difende il secondo posto dall’assalto di Podemos con uno stiracchiato 22,66% (22,01% a dicembre), perde però cinque deputati, conquistando solamente 85 poltrone (90 a dicembre). Con 100.000 voti in meno, Pedro Sánchez porta a casa il peggior risultato della storia del Partito Socialista, però non è andata così male: arrivare davanti al partito di Pablo Iglesias gli permette di resistere alle pressioni interne che lo vorrebbero fuori dai giochi.

🔃 Podemos e Izquierda Unida, sotto il nome “Unidos Podemos”, deludono le aspettative più ottimiste: prendono un misero 21,1% (20,66+3,67% a dicembre). Sebbene il numero di deputati sia rimasto invariato rispetto a sette mesi fa (71), in totale perdono quasi un milione di elettori. I vertici del partito riconoscono il cattivo risultato: “Questi non sono dei buoni risultati” e “Ci aspettavamo molto di più”, le due frasi più significative della notte, pronunciate rispettivamente da Iñigo Errejon e da Pablo Iglesias.

Ciudadanos perde deputati ed elettori: 32 eletti (40 a dicembre) con il 13,05% (13,93% a dicembre), ossia 480.000 voti in meno. Albert Rivera non parla di sconfitta e, anzi, si dice disposto a dialogare col PP e col PSOE per “cambiare il paese”. Sembra che la campagna elettorale per lui non sia ancora finita.

Elettori: aumenta l’astensione. Vota il 69,84% degli aventi diritto, contro il 73,2% che si erano presentati alle urne il 20 dicembre 2015.

Alla luce di questi risultati, esistono tre scenari possibili: la “grande coalizione”; il governo di centro-destra con l’astensione del PSOE; il governo di centro-sinistra con l’astensione di Ciudadanos.

La grande coalizione: un patto col diavolo?

Febbraio 2016, Mariano Rajoy (PP) rifiuta di stringere la mano a Pedro Sánchez (PSOE)

L’analisi post-voto è molto simile a quella che avevamo fatto dopo le ultime elezioni. Non esiste una maggioranza assoluta (176 deputati) né a destra (PP+Ciudadanos=169), né a sinistra (PSOE+Unidos Podemos=156) e tantomeno rievocando l’alleanza fallita nei mesi scorsi tra socialisti e Ciudadanos (che oggi mettono insieme appena 117 deputati).

Un’alleanza tra i due antagonisti ideologici della storia democratica spagnola, il PP e il PSOE, (unica maggioranza assoluta possibile) è impensabile (lo hanno detto e ripetuto più volte i rispettivi candidati), ma c’è chi prova a immaginare un (improbabile) governo tripartito PP+PSOE+Ciudadanos (254 deputati), in nome dell’emergenza nazionale e per cambiare la legge elettorale (per cui serve il Senato, dove il PP ha la maggioranza assoluta). Una scusa, quella della legge elettorale, che i socialisti potrebbero utilizzare come giustificazione di un imperdonabile “patto col diavolo”.

Governo di minoranza: nelle mani di Ciudadanos?

Inés Arrimadas (Ciutadans) e Albert Rivera (Ciudadanos)

La Costituzione spagnola prevede la possibilità di eleggere un presidente con maggioranza semplice nella seconda votazione di investitura in Parlamento. Detto in altro modo, per essere eletti alla guida del paese è sufficiente ottenere più voti a favore che contrari alla Camera. L’astensione di almeno uno dei quattro partiti è determinante, ma il meccanismo dei veti incrociati che abbiamo osservato negli ultimi mesi potrebbe ripresentarsi. Ciudadanos ha dichiarato in più occasioni che i suoi deputati si asterranno durante tutte le sessioni di investitura che non riguardino il suo partito, ma questa affermazione non è ancora passata per la prova dei fatti.

La maniera più semplice per spiegarlo è presentando due esempi concreti, nonché le due ipotesi più accreditate:

  • PSOE+Unidos Podemos possono governare se Ciudadanos si astiene (il PP voterebbe sicuramente contro).
  • PP+Ciudadanos possono governare se il PSOE si astiene (Podemos ha dichiarato che voterà contro).

Il PSOE afferma che non voterà mai a favore di un governo del PP (negando quindi la possibilità di una grande coalizione) e Pedro Sánchez ha promesso in diversi incontri pubblici che, finché ci sarà lui, farà di tutto per “impedire al PP di governare”.

E allora cosa rende così difficile la nascita di un governo di sinistra?

Da una parte, la difficoltà di trovare un accordo tra il PSOE e Podemos, come abbiamo visto pochi mesi fa. Dall’altra, la cosiddetta “questione catalana”: all’indomani delle ultime elezioni, Pablo Iglesias aveva fatto saltare il tavolo delle negoziazioni col PSOE pretendendo la promessa di un referendum indipendentista in Catalogna (dove Podemos era primo partito). Se anche Iglesias dovesse rinunciare a questa pretesa è difficile immaginare che Ciudadanos, un partito nato 10 anni fa in Catalogna proprio con l’obiettivo di opporsi all’indipendentismo, permetta a Podemos di governare. Alla luce di tutto questo, quanto varrà la promessa di astensione fatta da Ciudadanos? E quella del PSOE?

Cosa accadrà domani?

Per adesso questo è tutto quello che possiamo dire sul risultato delle elezioni spagnole. La fine dello scrutinio è l’inizio di una tappa d’incertezza la cui dinamica è descritta nell’articolo 99 della Costituzione, il processo di investitura del presidente del Governo è descritto in questo articolo. Per scoprire in che modo si sbloccherà l’impasse dovremo aspettare che i giocatori scoprano le proprie carte.

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