Transumanesimo, ‘fashonology’ e supereroi: la trasformazione dell’uomo

Aggiungere pezzi di tecnologia al nostro corpo, è come andare incontro ad un’ibridazione — su cui si fonda il pensiero transumanista.

Nel periodo di preparazione di questo articolo, ho cercato di ragionare il più possibile su come un uso sempre più esteso di wearables potrebbe modificare la nostra esperienza di noi stessi e del mondo. C’è stato un giorno della settimana scorsa che ricordo con particolare attenzione: camminavo per il centro di Milano dopo una giornata di lavoro come le altre, mi guardavo attorno osservando le case, i dettagli, ne studiavo le finestre cercando di intravedere l’interno per scoprire come una casa con quella facciata poteva essere arredata, o chi ci potesse abitare. Guardavo anche il cielo, lasciando che il filo dei miei pensieri si assottigliasse sempre di più, sino a perderne le tracce. Avevo il cellulare nel taschino alto della giacca, sul pettorale sinistro.

Mentre mi guardavo attorno, mi arrivò un messaggio, segnalato dalla vibrazione del telefono: l’aver percepito questa vibrazione mi ha bruscamente strappato da quello stato di contemplazione spensierata, dal cosiddetto ‘state of flow’.

Per qualche secondo, non ho potuto fare a meno di avvertire la tentazione di prendere il telefono e guardare chi e cosa mi avesse scritto. Sono riuscito a resistere a questo impulso, con uno sforzo non indifferente, e a immergermi nuovamente nel mio stato mentale. Questa mia reazione non dovrebbe lasciar pensare che abbia un uso compulsivo dello smartphone, quanto piuttosto rappresentare una realtà che accomuna molti di noi: i dispositivi stanno diventando sempre più parte della rappresentazione corporea del sè, con possibilità e conseguenze di diversa natura.

L’ENTUSIASMO DEL TRANSUMANESIMO

I devices tecnologici indossabili presenti in commercio sono di varia natura e di nascita più o meno recente: basti pensare agli apparecchi acustici, ai lettori mp3, alla GoPro, fino ad arrivare ai più moderni smartwatch e ai Google Glass. Il perché questi strumenti abbiano conquistato rispettivamente nella loro epoca importanti fette di mercato non sorprende troppo, soprattutto a posteriori: oltre alla funzionalità che sicuramente ha catturato gli utenti, la facilità d’uso e la comodità ne hanno fortemente incoraggiato la diffusione. Ciò che gli wearable rappresentano è il passaggio da dispositivi con una funzione a estensioni delle funzioni del nostro stesso sistema mente-corpo, come già accennato nel mio precedente articolo sull’impatto psicologico della blockchain.

La mission quindi non è solo creare un’interazione tra umano e macchina sempre più immediata e immersiva, permettendo di risparmiare tempo ed essere sempre più smart e prestanti, ma azzardare ad annullare, o quantomeno sbiadire, il confine tra i due.

Il progresso è un processo in continua evoluzione alimentato da curiosità e passione, ma anche da timori e angosce. Oltre a cercare di migliorare certi aspetti della vita, della salute e del lavoro, un numero importante di scoperte scientifiche punta ad aumentare le capacità fisiche e cognitive dell’essere umano. La visione quindi si estende, inglobando l’idea di modificare alcune condizioni esistenziali indesiderabili, tra cui invecchiamento, povertà, ignoranza, malattia, sofferenza. È quindi importante comprendere cosa propongono a livello globale movimenti come il transumanesimo, dichiarandosi a favore del superamento dell’umano e della sconfitta dei suoi limiti biologici e strutturali: l’obiettivo in questione è l’emancipazione dell’umanità da se stessa, il cui perseguimento richiede sicuramente un atto di fede e anche diversi anni di lavoro per essere messo in atto.

Il passaggio dal computer allo smartphone e, infine, agli wearable è sicuramente legato a un avanzamento a livello di design tecnologico, ma va in parallelo con una modificazione delle esigenze di vita delle persone. L’offerta infatti si muove laddove si sposta la domanda: la nostra vita ci richiede sempre più multitasking, produttività e gestione del tempo, cose che ancora ci riescono piuttosto difficili, soprattutto considerando l’impatto che lo stress ha sul nostro sistema psicofisico. Siamo spaventati dai nostri limiti e sentiamo il bisogno di abbatterli, di lottare per il controllo e per l’emancipazione da noi stessi, e la tecnologia può aiutarci. Se un giorno avremo dei corpi ‘aumentati’, potremo contare su esoscheletri per potenziare la nostra forza fisica, su interfacce cervello-macchina che velocizzino la comunicazione e la condivisione; addirittura, attraverso l’editing genetico, saremo in grado di selezionare le caratteristiche delle generazioni a venire, arrivando anche ad eliminare le malattie ereditarie.

Osservando questo scenario da un punto di vista antropologico, possiamo concepire la tecnologia come uno strumento adattivo che permette la sopravvivenza della nostra specie nel contesto socioculturale che abbiamo costruito, e che può aiutare anche ad espanderne la vita al di fuori questo pianeta. Oggi stiamo assistendo a un periodo di profonda trasformazione che rappresenta un passo importante nella storia della nostra evoluzione; il transumanesimo non fa altro che invitarci a lasciare andare il nostro passato, in favore di un futuro non privo di difficoltà, ma ricco di importanti cambiamenti fuori e dentro di noi. Il prossimo decennio vedrà uno sviluppo esponenziale di tecnologia a diretto contatto con il corpo che, poco a poco, si sposterà sottopelle, sempre più dentro di noi e fino ad essere visceralmente legata alla nostra identità. Non sono ovviamente da sottovalutare diversi aspetti legati alla desiderabilità di alcune implicazioni di questa trasformazione e, soprattutto, quali saranno i criteri per valutare la validità delle nuove caratteristiche umane da perseguire. Un importante dibattito su questi temi è fondamentale per creare una visione comune e per evitare l’innescarsi di pericolose dinamiche totalitarie.

‘FASHIONOLOGY’ E MITOLOGIA MODERNA

Al di là di ottiche storico-evolutive, ci sono tante altre dinamiche psicologiche coinvolte nell’adozione di nuove tecnologie e, in particolare, degli wearable. Alcuni ricercatori usano il termine fashionology per indicare l’importanza di aspetti legati al design, alla familiarità a determinati dispositivi o simili e allo status sociale che questi rappresentano. Gran parte delle persone infatti vede gli smart glass e gli smartwatch sia come devices che come accessori di moda (Hui-Wen Chuah et. al, 2016).

Gli accessori e in generale gli abiti comunicano la nostra identità, posizione sociale e appartenenza a particolari gruppi oltre a rivelare dettagli sull’epoca storica e il contesto culturale. Sono come una seconda pelle, a cui il nostro cervello risponde attivandosi anche in termini propriocettivi, generando sensazioni di sicurezza e vulnerabilità in base alle circostanze. La nostra rappresentazione corporea infatti è plastica e non limitata ai nostri tessuti biologici, ma può inglobare diverse porzioni ed elementi dell’ambiente. Oltre ai vestiti, anche il cellulare adesso può considerarsi parte della nostra rappresentazione corporea e, sulla stessa linea, presto ne saranno parte anche una serie di tecnologie indossabili. Idealmente, sarà un po’ come trasformarsi in Tony Stark e avere a ‘portata di corpo' una serie di funzioni che ci consentiranno di portare a termine più compiti e più velocemente: insomma, avremo dei poteri che adesso non abbiamo, solo grazie alla tecnologia e al lavoro che abbiamo fatto per svilupparla.

In effetti, il riferimento ad Iron Man non è casuale, seppure lontano dal voler creare aspettative irrealistiche rispetto alle prospettive a breve/medio termine del progresso tecnologico. Il tema dei supereroi infatti domina la cultura popolare del mondo occidentale e, rappresentando ormai la mitologia moderna, va preso in esame nell’analizzare questo argomento. Non possiamo dimenticare come i miti e le storie di una cultura ne influenzano gli usi e costumi e incoraggiano certi valori. Per questo motivo occorre specificare chi sono i supereroi: solitamente si tratta di persone (in gran parte prevalentemente umani) con un problema, una condizione iniziale limitante che li porta più o meno direttamente ad acquisire dei poteri. Lo script narrativo quindi è quello del superamento di un ostacolo, andare oltre il limite e sviluppare nuove capacità. Dunque, non sorprende troppo pensare come il progresso stia spingendo in questa direzione, cercando di renderci sempre più simili a dei super-umani, non tanto in termini di valori, quanto più in termini di capacità cognitive/tecniche consentite da uno strumento. Le tecnologie infatti si sviluppano di fronte a una mancanza e richiedono uno sforzo congiunto che, nel migliore dei casi, permette il superamento della stessa. Inoltre, anche i supereroi giocano molto sull’abbigliamento, che gli conferisce quella visibilità e quell’unicità tale da renderli diversi dagli altri. Non è quindi il solo aspetto tecnologico ad essere coinvolto nella graduale ma sempre più inevitabile esplosione degli wearable, ma ci sono anche aspetti psicologici di identità e status sociale e questioni filosofiche legate all’approccio con i limiti della natura umana.

UNA RISTRUTTURAZIONE DEL CORPO E DELLA COGNIZIONE UMANA

All’interno delle scienze cognitive, esiste una prospettiva teorica molto interessante denominata ‘embodied cognition’, secondo cui le caratteristiche del nostro corpo modellano il nostro sistema cognitivo. Un lieve cambiamento nella postura del corpo ad esempio implica una serie di aggiustamenti che coinvolge un gran numero di muscoli, modificando come il sé sta e agisce nello spazio e, conseguentemente, come percepisce l’ambiente e gli altri: questo perché il corpo viene considerato l’origine del senso dello spazio e anche della socialità. Tale visione, oltre a comportare diverse considerazioni estremamente interessanti riguardo l’interazione tra le persone, ci porta a domandarci come in questo momento storico viviamo il rapporto tra mente e corpo. La verità è che l’umanità si sta distaccando sempre di più dall’intelligenza corporea. Siamo sempre più mente, come un computer. Il corpo sta rimanendo “indietro”, per questo lavoriamo per equipaggiarlo con degli wearables. Stiamo diventando qualcosa di profondamente diverso, ma sembra che non molte persone ne siano davvero consapevoli. Il cervello sta cambiando, così come il corpo, sempre più debole, meno resistente e più bisognoso.

Inoltre, viviamo le caratteristiche di alcune aree del nostro cervello come dei vincoli. Basti pensare alle emozioni: altro non sono che programmi di reazione o valutazione a stimoli/situazioni generate esternamente o internamente all’individuo e con una corrispondente attivazione fisiologica. È sicuramente vero che si tratta di aspetti legati alle aree più arcaiche del nostro cervello e, forse per questo motivo, le consideriamo ostacoli al libero arbitrio. Eppure trattandosi di risposte adattive di valutazione, potremmo vederle anche come qualcosa che lo rende possibile. Tuttavia, essendo focalizzati sull’essere più performanti, l’idea che nel lungo termine queste possano essere percepite come qualcosa di svantaggioso, e quindi da rimuovere, non è da escludere, piuttosto da comprendere e valutare.

Le emozioni vengono vissute come qualcosa di caotico e che rifugge l’ordine: per una specie che vive e progredisce nella ricerca dell’ordine e nel fetish geometrico-matematico possono in effetti rappresentare qualcosa di scomodo, forse.

Pur essendo la radicalità di queste osservazioni fastidiosamente evidente, spero si comprenda lo spirito con cui vengono fatte a partire dalle premesse ad oggi esistenti: l’obiettivo ultimo è stimolare una comprensione della direzione del progresso. Affinchè questo avvenga, è necessario aver chiaro le relazioni tra le cose, osservare i pattern che nella storia dell’uomo si ripetono e domandarsi come cambieranno le vite delle persone in futuro. C’è chi teme in una eccessiva spinta alla tecnologizzazione e quindi alla scomparsa dell’uomo: dovrebbero però prima scomparire la cultura, la religione e l’ambivalenza della vita umana per spazzarci via completamente, il che è un po’ difficile. La cultura è nei gesti, nei riti quotidiani e negli sguardi, si nutre di relazioni e di condivisione. L’unica seria minaccia è una crescente incapacità delle persone a comunicare, condividere e instaurare relazioni di fiducia. Fortunatamente per evitare il realizzarsi di questo scenario non serve l’intervento di nessun supereroe: si tratta di qualcosa che forse possiamo evitare a partire dalla vita di tutti i giorni, con i nostri comportamenti, i nostri pensieri e modi di stare al mondo.

Centrale adesso è ricordarsi chi saranno le vittime e i beneficiari di queste innovazioni tecnologiche, stimolando un dibattito etico riguardante la realisticità e la desiderabilità di questi cambiamenti per le generazioni future. Per comprendere a fondo da dove ha origine l’ideazione e la progettazione dei dispositivi tecnologici e, in particolare, gli wearables che li sostituiranno, occorre domandarci a quale desiderio/(bi)sogno la loro esistenza risponderebbe. Dobbiamo anche tenere a mente che ogni tecnologia risolve un problema ma ne crea un altro di conseguenza e, per questo motivo, è importante scegliere cos’è davvero importante e a cosa rinunciare, se al bisogno di monitorare o ‘aumentare’ ogni aspetto della nostra vita o se imparare ad affrontare l’incertezza e le minacce che sono parte della vita per sua definizione. Noi di VISIONARI abbiamo a cuore il futuro delle prossime generazioni e vorremmo stimolare un discorso sui reali bisogni psicologici dell’essere umano, che purtroppo stiamo rimandando da ormai troppo tempo.

Niccolò Manzoni, Dottore in Clinical Psychology for Individuals, Families and Organizations presso Università degli Studi di Bergamo

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Niccolò Manzoni
VISIONARI | Scienza e tecnologia al servizio delle persone

Keywords: Psicologia, Neuroscienze, Scienze cognitive, Robotica Sociale, Tecnologia, Business.