Episodio 7

Testi di Lorenzo Peroni, illustrazione di Davide Gratziu

Cinquantadue
3 min readSep 8, 2016

Alessandro non capiva. Cosa c’era di così sconvolgente che Roberto non potesse dirgli a voce? Se ne stava così, in ginocchio, per terra, con quel foglietto accartocciato tra le mani. Lo odiava, odiava Roberto con tutte le sue forze, avrebbe voluto prenderlo a pugni, non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, fissava le proprie mani. Non voleva sapere. Roberto, in piedi di fronte a lui taceva. Nella casa era calato un silenzio surreale. Sembra sempre facile sapere qual è la cosa giusta da fare quando si guarda da lontano, pensò Alessandro. Voleva sapere la verità, ma non sopportava il modo in cui Roberto gli stava scaricando addosso quell’incombenza così cupa, opprimente. Sentì uno spasmo allo stomaco, un brivido lungo la mandibola; gli veniva da vomitare. Aprì il foglietto, sembrava una pagina di un diario, aveva una grafia femminile. Lo lesse ad alta voce.

Se solo i muri potessero parlare… Direbbero — ti voglio ancora. Direbbero — non mi sono mai sentita così prima. E ora che te ne sei andato cosa mi resta? Solo un ricordo, questo probabilmente quello che pensi. Sarò solo un’ombra che si sbiadirà nei suoi ricordi da sciocca liceale — ti sarai detto — un giorno si ricorderà solo che ero l’uomo col cappello, e nemmeno più il mio viso le sarà chiaro; è questo che pensi? Te ne sei andato senza nemmeno chiedermelo. Oh, ma ti assicuro che non è così! Oh, lo so! Non mi hai lasciata da sola come credi…

Alessandro non capiva. “Me l’ha dato Luca — gli spiegò Roberto — l’aveva trovato in camera di sua madre, sai, dopo che lei era morta. Dopo il funerale fu l’unico della famiglia che ebbe la forza di mettere mano alle cose della madre e sistemando vestiti e scatoloni trovò anche un diario. Parlava di cose abbastanza sciocche, ma questa pagina lo turbò molto, divenne paranoico”.

“Cosa dovremmo fare adesso?” gli chiese Alessandro. “Non so”, rispose quell’altro, si chinò e allungò la mano per riprendere quella pagina di diario. Le sue dita esitarono tra quelle di Alessandro un istante di troppo, i loro sguardi si incrociarono per un lasso di tempo indefinito, erano arrossati e umidi. Un secondo dopo le loro lingue si stavano intrecciando con violenza.

Quando Alessandro tornò a casa trovò Lorenzo che lo aspettava. Se ne stava davanti al portone, cercando riparo dalla pioggia sotto uno dei balconi del primo piano. Nelle orecchie le cuffie dell’iPod.

“Tin can at my feet, I think I’ll kick it down the street, why not? That is the way to treat a friend…”

Si guardava i piedi. Alessandro non riuscì a capire se quelle sul suo viso fossero gocce di pioggia o lacrime. Forse entrambe. Lasciò il proprio ombrello per terra e lo abbracciò. Lorenzo scoppiò allora in un pianto violentò e affondò il viso tra le spalle dell’amico per soffocare i singhiozzi. “Dai, andiamo su”, gli disse con tono rassicurante Alessandro. Lorenzo piagnucolò: “Scusa, mi viene il singhiozzo quando sono agitato”.

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Cinquantadue

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