Cannabis, gli Stati Uniti continueranno a guidare il cambio di politiche (nonostante Trump)?

Cosa è accaduto in questi primi mesi di presidenza Trump? Le politiche di legalizzazione e depenalizzazione della cannabis hanno subito uno stop o invece l’America continuerà ad essere un riferimento per chi nel mondo combatte per una diversa politica sulla droga?

NonMeLaSpacciGiusta
7 min readMar 23, 2017

di Federica Brioschi

L’elezione di Donald Trump a nuovo Presidente degli Stati Uniti e la conferma della nomina di Jeff Sessions come Procuratore Generale hanno posto molte domande sul futuro delle politiche sulle droghe che, a colpi di referendum popolari, sono state radicalmente cambiate in molti Stati durante le elezioni dello scorso novembre. Sia la società civile sia gli Stati stanno aspettando che l’amministrazione Federale riveli le sue intenzioni: cosa possiamo aspettarci da questo nuovo Governo?

Siamo tornati a parlarne con Diane Goldstein (che già intervistammo sul referendum in California) che per 21 anni ha servito nelle forze dell’ordine, di cui oggi è veterana, essendo stata la prima donna con il grado di tenente al Dipartimento di Polizia di Redondo Beach (CA). È rappresentante ed Executive Board Member del Law Enforcement Against Prohibition (LEAP).

Ciao Diane, subito dopo la vittoria di Trump parlammo con il tuo collega di LEAP Stephen Downing della legalizzazione della marijuana e delle possibili conseguenze di quel risultato elettorale. È già possibile vedere gli effetti di quel successo in questo campo?

Il problema principale oggi continua ad essere l’incertezza riguardo quello che succederà una volta che decideranno le loro politiche sulle droghe. La preoccupazione è che il Procuratore Generale cerchi di applicare le leggi Federali in quegli Stati che hanno legalizzato sia il consumo ricreativo che quello medico. Tuttavia lo stesso Sessions in diverse interviste ha dichiarato come questo sia un problema complesso e come non abbiano ancora preso alcuna decisione a riguardo. Ed è questo il motivo per cui non hanno ancora annunciato quello che intendono fare.

Un fatto interessante tuttavia c’è e riguarda quello che viene chiamato l’Office of the National Drug Control Policy (Ufficio delle Politiche Nazionali di Controllo delle Droghe): il loro sito internet è chiuso e lo è perché nemmeno loro sanno cosa devono fare e che cosa verrà sovvenzionato. Quindi è veramente un “aspetta e spera” per le politiche che verranno adottate sulle droghe. In generale, penso che la maggior parte dei riformisti stia lavorando sulle linee difensive da tenere e che il lavoro più difficile sarà quello di non permettere al Governo Federale di tornare indietro rispetto alle vittorie che abbiamo ottenuto finora sia sulle droghe che sulla giustizia penale.

Quali sono le possibili strategie del governo federale? Applicheranno leggi già esistenti o cercheranno di far passare altre leggi tramite il Congresso?

Penso che sarà una combinazione di queste due strategie.
Tuttavia non è detto che le leggi del Congresso siano forzatamente di segno negativo. Quest’anno abbiamo visto un caucus politico sulla cannabis, che includeva rappresentanti di entrambi gli schieramenti, cercare di introdurre nuove riforme delle politiche sulle droghe. È uno sviluppo positivo e degno di nota che sta accadendo proprio adesso a livello federale. Ci sono anche delle buone proposte di legge che devono essere ancora discusse; per esempio una di queste è la proposta di un Repubblicano della Virginia che decriminalizzerebbe completamente la cannabis e la rimuoverebbe dalla Tabella 1 (ne abbiamo parlato nelle nostre 5 must read).

Questo aprirebbe la strada alla legalizzazione e alla regolamentazione nei singoli Stati superando uno dei principali problemi: la cannabis continua infatti ad essere una sostanza inserita nella Tabella 1, che non permette l’uso medico perché è qualificata come una droga pericolosa. Anche se sappiamo che la cannabis può essere pericolosa come ogni altra sostanza, non si avvicina neanche lontanamente alla pericolosità di altre droghe presenti in quella categoria.

Jeff Sessions. Foto di Gage Skidmore (CC BY-SA 2.0)

Qual è lo scenario peggiore?

Non torneremo certamente al punto di partenza, questo è sicuro. Al momento tutti gli Stati che hanno legalizzato l’uso medico o ricreativo della marijuana stanno cercando di lavorare con il governo federale e stanno chiedendo chiarimenti e, soprattutto, il rispetto per le leggi dei singoli Stati.

In California è stata appena introdotta una legge che prevede che le forze di polizia dello Stato non cooperino con il governo federale, cosa che permetterà di proteggere le nuove industrie che stanno nascendo dopo la legalizzazione dello scorso novembre. Questo non significa che Washington non possa mandare i propri corpi di polizia e applicare la legge, ma certamente si manda un forte segnale facendogli intendere che gli lo Stato vuole difendere le proprie scelte. In più sappiamo bene che il governo centrale non ha le risorse per andare in ogni Stato a interrompere l’uso medico o ricreativo della marijuana: avrebbero bisogno della cooperazione dei governi locali statali.

Questo può significare che negli Stati dove il processo di legalizzazione è già avvenuto forse le cose non cambieranno molto, ma che negli altri Stati sarà più difficile legalizzare?

No, perché accadrà comunque Stato per Stato. Questa è una peculiarità del nostro Paese che, nella propria Costituzione, al Decimo Emendamento permette agli Stati di decidere le loro leggi e politiche. Questo non ferma l’applicazione della legge da parte del Governo Federale, ma gli Stati non devono per forza aiutare il Governo ad applicarle.
Il punto è che non sappiamo ancora cosa faranno perché non l’hanno ancora detto.

Quindi se anche il Governo volesse interrompere tutto, sarebbe estremamente difficile, se non impossibile farlo.

Esatto.

Venendo alla situazione in California, le nuove leggi sono già state implementate o ci sarà una data specifica in cui entreranno in vigore?

Per quanto riguarda la California alcune disposizioni della Proposition 64 sono già entrate in vigore, ovvero quelle che decriminalizzano alcuni comportamenti. Quindi se sei un adulto già non puoi più essere arrestato per il possesso in pubblico di un’oncia (circa 28 grammi) di cannabis o di otto once di concentrato poiché ora è una quantità legale da possedere. È anche già possibile coltivare piante in casa propria. I minorenni non possono più essere spediti negli istituti minorili per il possesso di un’oncia di cannabis.

Le disposizioni che non sono ancora entrate in vigore sono quelle che implicano la discussione di altre regolamentazioni e la messa in atto di un sistema di licenze che permettano lo sviluppo e la distribuzione sul mercato. Le discussioni sono in atto e si prevede che entrino in vigore il 1 gennaio 2018.

Pensi che gli Stati Uniti potranno continuare ad essere un elemento trainante nel cambio di politiche?

Penso di sì. Siamo sicuri che lo faremo a partire dalla legalizzazione Stato per Stato, all’interno del nostro Paese, per porre fine alla guerra alla cannabis. In almeno cinque Stati si sta già parlando di iniziative popolari per il 2018.

Ho appena letto che la città di Berlino comincerà a utilizzare la marijuana a scopo medico. Ci sono anche altri Paesi che stanno cominciando a parlare apertamente di legalizzazione e ignorare i trattati ONU che ci impedirebbero di procedere in tal senso.

E proprio i trattati ONU sulle droghe rappresenteranno una sfida per noi. Proprio alla fine dell’anno ci sono stati diversi incontri all’ONU della Commission on Narcotic Drugs (Commissione sulle Sostanze Stupefacenti) e per l’International Narcotics Control Board (Organo Internazionale di Controllo degli Stupefacenti) durante le quali gli Stati Uniti, il Canada e altri Paesi sono stati nuovamente attaccati per aver violato i trattati sulle droghe.

Ci vorrà del tempo, ma penso che la nostra risposta Stato per Stato a questo problema aiuterà molti altri Paesi a fare passi avanti.

L’ultima domanda riguarda un elemento collaterale alla guerra alle droghe. Dopo la vittoria di Trump le azioni delle prigioni private sono schizzate alle stelle. Pensi che anche questo abbia a che fare con un presunto cambio di politiche sul tema droghe?

Ci sono un paio di elementi che influiscono. Intanto la politica principale della nuova amministrazione è diretta verso la deregolamentazione e la riduzione dei costi. Da questo punto di vista le prigioni private sono un modo per ridurre i costi del governo centrale.

Ma penso che ci sia anche una connessione diretta. Infatti, è risaputo che i condannati per crimini relativi alle droghe sono solitamente mandati nelle prigioni private. Negli Stati Uniti le prigioni private non si assumono il rischio di prendere i criminali violenti, solitamente ospitano criminali minori, come quelli che commettono reati contro la proprietà o reati di droga.

La preoccupazione è che il Presidente Trump voglia agire, come ha già fatto, tramite ordini esecutivi. Ha già firmato un ordine esecutivo con il quale vuole dare battaglia ai cartelli e ai trafficanti di droga transnazionali. Il che significa che stanno percorrendo la stessa strada delle politiche sulle droghe di Nixon, che finora non ha mai funzionato.

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Campagna della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili - per un dibattito informato e una riforma delle politiche sulla droga.