Dòna zóena e vin vècio — parte 6

Aleksander Wolinski Cecchin
2 min readFeb 24, 2018

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Saliamo tutti e tre in macchina, passiamo il ponte sul Nistro e ci lasciamo alle spalle i posti di blocco.
«Eleganti come al solito!» esclamo lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore.
«L’Unione Sovietica non è morta,» fa Dymitro, «si è solo trasferita in Pridnestrovie.»
A giudicare dalle vecchie divise del personale di frontiera, così come dalla sopravvivenza di un certo corpo di polizia che risponde al nome di KGB ed altre amenità marchiate falce e martello, non si poteva certo dargli torto.

Pic by Julia Autz

Le voci terribili che giravano sulla Transnistria in generale, e sui controlli di frontiera in particolare, contribuivano a creare quell’aura sinistra ed esotica che ricercavano qui i giornalisti di mezzo mondo. Arrivavano in giornata da Chișinău con il loro pezzo già scritto, facevano quattro foto alla Casa del Soviet col busto di Lenin in bella vista e tornavano a casa.

Anche le aspettative dei turisti in cerca di emozioni forti venivano puntualmente deluse. Certo ogni tanto qualche coglione si metteva nei guai e veniva fermato dalla polizia, ma nel complesso era un posto ben più tranquillo di tante città europee.

«Benvenuta in Toscana!»

Con il cemento di Tiraspol e la fortezza di Bender ormai alle spalle siamo ufficialmente entrati in Moldova.

Rita ride mentre spingo sull’acceleratore e i campi coltivati a vigne si aprono a perdita d’occhio.

«Dovrebbero venire qui a girare le pubblicità delle auto, senz’altro risparmierebbero.»

«Certo per la Duster va più che bene come scenografia haha», mi canzona Dymitro.

«Scusa se non vado in giro in Hummer come gli sceriffi, non vorrei dare troppo nell’occhio.»

Mi riferisco alla Sheriff, la famosa azienda-monopolio che aveva costruito, oltre all’omonimo stadio, tra le altre cose anche canali televisivi, stazioni di rifornimento, panetterie e il nuovissimo Hotel Russia. I figli delle famiglie ammanicate con il governo e l’industria in Transnistria erano soliti girare sul quelle costose macchine americane, mentre per le strade era più facile scorgere carretti trainati da cavalli.

Dopo aver lasciato il confine da circa un paio d’ore, arriviamo al lungo viale alberato che conduce alle Cantine di Stato della Moldova.

«Regatul vinului!» annuncio leggendo l’iscrizione sull’imponente arco d’ingresso alla città di Cricova, «Il Regno del vino».

Ogni volta che passavo lì sotto, per non so quale motivo, mi veniva da pensare al ciclopico Arco della Vittoria di Bagdad. Il grottesco monumento voluto da Saddam è alto una quarantina di metri e composto da due enormi braccia che spuntano dai lati della strada incrociando spadoni ottenuti fondendo gli elmetti dei soldati nemici morti nella guerra contro l’Iran negli anni ‘80.

«Stasera ragazzi ci prendiamo una sbronza colossale» annuncia Dymitro.

«Io mi limiterò al kompot» fa Rita smorzando gli animi.

Taglio corto con una battuta veneta che suona curiosamente come in moldavo: «Dòna zóena e vin vècio

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Aleksander Wolinski Cecchin

Nasce a Padova nel 1981 da padre polacco e madre italiana. Giornalista pubblicista attento ai complessi rapporti tra Est e Ovest.