Arabia pigliatutto: calcio, expo e tanta geopolitica

Donatello D'Andrea
3 min readDec 1, 2023

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Fonte immagine: Google Immagini

L’Arabia Saudita ospiterà i Mondiali di calcio nel 2034 e, come si è visto due giorni fa, anche l’Expo nel 2030. Roma, a cui tutti davano almeno una cinquantina di voti, ne ha presi a malapena 17, scatenando la classica reazione di pancia in tutto il Paese. Tra chi accusa l’attuale governo e chi invece se la prende con i petroldollari, nessuno pare averci capito nulla. Come al solito, quando si parla di politica estera.

Ridurre tutto questo solo a qualche petroldollaro è una spiegazione parziale, così come dire “colpa di questo governo”. I sauditi erano strapieni di miliardi di dollari anche negli anni ‘90 e 2000. L’Italia non ha una politica estera da almeno vent’anni.

Tornando all’Arabia Saudita, cosa è cambiato da vent’anni a questa parte? L’ascesa di un leader, Bin Salman, e di una serie di nazioni che usano lo sport e gli eventi internazionali per promuovere la propria immagine.

Ne abbiamo parlato in occasione dei Mondiali in Qatar. Ora tocca all’Arabia Saudita.

Classe 1985, il giovane Bin Salman ha praticamente azzerato la vecchia classe dirigente, ha imposto un cambio di atteggiamento netto in politica estera, fra interventismi militari (Yemen), omicidi di giornalisti dissidenti (Jamal Khashoggi), caute riforme interne e un attivismo diplomatico-commerciale su più livelli.

Da un lato un massiccio investimento su un sistema politico fortemente autoritario, dall’altro la volontà di estendere il potere saudita su scala globale. Da qui anche l’attivismo per avere sportivi europei, campagne mediatiche amichevoli, aziende hi-tech e scambi tecnologici.

Il tutto giocando su più tavoli, grazie alla crisi egemonica dell’Occidente e all’ascesa dell’Africa e dell’Asia. Ma l’Arabia Saudita non è l’unica nazione mediorientale in crescita, dato che anche Qatar, Emirati Arabi, Iran e Turchia sono diventati più forti, più influenti.

Così forti da riversare fiumi e fiumi di dollari su tutto il continente europeo. Dagli investimenti finanziari, a quelli immobiliari – e scandali annessi (Qatargate). Senza considerare l’aumento repentino dell’influenza geopolitica di nazioni come l’Iran nel Medio Oriente “post-americano”.

I “petroldollari” e le risorse energetiche sono diventate l’arma prediletta di queste nazioni per esercitare “pressione geopolitica ed economica” in diverse parti del mondo. Una fonte di potere incredibilmente efficace.

Questo è (e sarà) uno dei motivi per cui sarà davvero difficile attuare una “svolta climatica” globale.

Anzi, secondo l’indagine del «Centre for Climate Reporting» (Ccr) l’Arabia Saudita si sta impegnando per estendere l’uso delle fonti fossili.

Al di là della pressione dei singoli stati, chiaramente, ci sono anche quelle esercitate dagli imprenditori i quali stanno acquisendo sempre piú influenza nei “posti che contano”.

Prendiamo la COP28, presieduta da due giorni dal petroliere emiratino Sultan Ahmed Al-Jaber. Per intenderci, la COP28 è la conferenza che teoricamente dovrebbe combattere la crisi climatica ma che, in realtà, è stata colonizzata da petrolieri e lobbisti dell’energia fossile.

Tutto questo accade mentre a Roma ci si lamenta dei 17 voti senza, in realtà, concentrarsi sul motivo per cui da vent’anni a questa parte l’Italia non abbia la minima consapevolezza di cio che le sta succedendo attorno.

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Donatello D'Andrea

International Relations analyst, political scientist, dreamer, AC Milan supporter.