Black & White — Capitolo 3

Irene Aprile
22 min readMar 18, 2018

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Eccoci qui con il terzo capitolo della mia fanfiction su Harry Potter! Se ti sei perso gli episodi precedenti, qui puoi leggere il Capitolo 1 e il Capitolo 2.

Photo Credit per l’immagine di copertina: Davide Baldanti

Disclaimer: This is a work of fan fiction using characters from the Harry Potter world, which is trademarked by J. K. Rowling. Characters from the Harry Potter world are created and owned by J.K. Rowling, and I do not claim any ownership over them or the world of Harry Potter. The story I tell here is my own invention, and it is not purported or believed to be part of J.K. Rowling’s story canon. This story is for entertainment only and is not part of the official storyline. I am grateful to Ms. Rowling for her wonderful stories, for, without her books, my story would not exist.

Capitolo 3

L’Archivio del Ministero della Magia assomigliava più a una cattedrale. Grandi arcate di pietra a sesto acuto suddividevano i settori. Enormi scaffali, carichi di documenti, scatole, faldoni, rotoli di pergamena andavano dal pavimento al soffitto. I passi di Sara riecheggiavano sul pavimento di pietra mentre avanzava sempre più in profondità.

Quando oltrepassò il primo settore, una voce disincarnata risuonò tra le pareti. “Buon giorno, Auror White. Benvenuta nell’Archivio. Può procedere fino al quarto settore.” Era una voce femminile, suadente e gentile.

Le autorizzazioni per l’accesso all’Archivio erano un sistema complicato che riguardava tutti gli uffici del Ministero, non solo il Dipartimento degli Auror. Più si saliva di livello, più i documenti erano segreti e importanti. Gli Auror Capo come lei potevano accedere fino al quarto livello, ma ce n’erano di superiori. E poi c’era l’archivio privato a cui si accedeva soltanto dall’ufficio del Primo Ministro.

I documenti che le servivano dovevano essere da qualche parte tra gli scaffali del terzo settore. Erano importanti, ma non segreti al punto da richiedere un’autorizzazione più elevata. Sara svoltò a destra e si addentrò tra gli scaffali. Trovò la lettera B e i faldoni con i rapporti che lei stessa aveva stilato sull’evasione di Black da Azkaban, ma stranamente non c’era altro su di lui. Provò sotto la S di Sirius e sotto la G di Godric’s Hollow, ma anche lì non trovò i documenti.

Non aveva mai controllato prima, si era sempre premurata di non vagare neppure con lo sguardo su quegli scaffali. Sapeva che l’archivio doveva contenere altro materiale su Sirius Black, ma non l’aveva mai cercato. Non voleva conoscere i dettagli, non le importavano, la sua immaginazione era più che sufficiente a farle provare tutto l’orrore possibile, non le serviva altro. Ma adesso era diverso, quelle informazioni le servivano, che le piacesse o meno.

Sara andò a controllare il quarto settore, ma anche lì non trovò niente. Pur sapendo che era inutile, tentò di andare oltre.

“Accesso negato, Auror White.” La voce echeggiò ancora nella sala mentre una sottile parete invisibile si frapponeva tra Sara e il quinto settore. “Non possiede l’autorizzazione necessaria.”

“Tu non ti distrai mai, vero?” Sara allungò il collo per sbirciare oltre, ma era inutile. Non sarebbe mai riuscita a vedere le etichette sugli schedari da quella distanza.

“Non è nella mia natura distrarmi, Auror White.”

“Va bene, allora magari puoi aiutarmi.” Sara si allontanò dalla barriera che le impediva di avanzare e si guardò intorno. L’Archivio era deserto. “Puoi ricercare la posizione di un documento?”

“Ma certo.”

“Mi serve la documentazione sulla strage di Godric’s Hollow.”

La Voce sembrò riflettere per un momento. “La documentazione richiesta non si trova entro i suoi livelli di autorizzazione.”

“Sì, questo lo sapevo già. Puoi dirmi in quale settore si trova?”

“Non sono autorizzata a condividere con lei queste informazioni, Auror White.”

Sara si posò le mani sui fianchi e sbuffò. “Se tu potessi dirmi in quale settore si trovano, saprei quale autorizzazione devo richiedere.”

“I documenti non si trovano in questo archivio.”

Sara restò interdetta. “In che senso?”

“I documenti richiesti non fanno parte della documentazione dei miei settori. Non ho corrispondenze.”

Era molto strano. Sara ringraziò la Voce e tornò verso il Dipartimento portando con sé i documenti sull’evasione di Black. Nel suo ufficio Frank stava sistemando tazze di caffè e pile di quotidiani dall’aria un po’ consunta.

“Capo, ho preso i giornali dell’epoca, come mi hai chiesto. E il caffè. Tu hai trovato tutto?”

“Non proprio.” Sara posò le scatole che aveva tra le braccia sul pavimento. “Torno subito.”

Se i documenti non erano nell’Archivio, potevano trovarsi solo in un posto. Sara marciò verso l’ufficio del Direttore, bussò alla porta ed entrò quando sentì una voce invitarla dall’interno.

“Signore, mi perdoni per il disturbo ma ho bisogno del suo aiuto.” Sara spiegò quanto aveva scoperto e attese una reazione, stupore forse. Ma il Direttore si sfregò gli occhi con il dorso della mano e si appoggiò allo schienale della sua poltrona.

“I documenti che cerca si trovano nell’archivio privato del Ministro.”

“Come pensavo.” Sara fece un passo avanti verso la scrivania. “Crede che potrebbe — ”

“Sono stati riposti lì dietro richiesta diretta di Bartemius Crouch.”

Sara rimase interdetta per un attimo. Cosa c’entrava Barty Crouch con quella storia? “Signore, non credo di capire.”

Il Direttore del Dipartimento sospirò. “Forse non lo sa, ma all’epoca della strage di Godric’s Hollow, lui seguì personalmente le indagini e il procedimento a carico di Sirius Black. I documenti sono stati secretati.”

Sara incrociò le braccia. “Beh, mi serve l’autorizzazione ad accedervi.”

“Per quale ragione? Non le servono per trovarlo.”

“Questo non lo può sapere. Se vuole che mi occupi di questa storia, lo farò a modo mio e io riprenderò tutto da capo. Non ho intenzione di basare il mio lavoro su conclusioni tratte da altri. E poi non capisco. Come mai quei documenti sono stati secretati.”

Il Direttore sospirò ancora, ma questa volta il suono assomigliava più a uno sbuffo. “Si sieda.”

Sara obbedì con malagrazia. La reticenza la irritava.

“Non molti ne sono a conoscenza, ma le alte cariche del Ministero all’epoca della strage di Godric’s Hollow decisero di mandare Black in prigione senza passare attraverso un vero e proprio processo.”

“Prego?” Sara deglutì. Aveva sentito bene? “Che significa senza un vero e proprio processo?”

“Il caso fece talmente scalpore e le prove erano così schiaccianti che si decise per una soluzione rapida.”

“Una soluzione rapida.” Sara sollevò un sopracciglio. Non riusciva a crederci. Era una violazione così palese di così tante leggi che sembrava assurdo.

“La colpevolezza di Black non era in discussione. Il Ministro dell’epoca e Crouch decisero che era inutile prolungare l’inchiesta e convocare un’udienza del Winzengamot per questo. Chiusero il caso e sbatterono Black in prigione.”

“Senza processo.” Sara aveva i palmi sudati e la bocca asciutta. Si infilò le mani sotto le cosce per impedir loro di tremare e tradirla. Sirius era stato sbattuto ad Azkaban senza neppure passare sotto il giudizio del Winzengamot. “C’è qualche possibilità che riesca ad ottenere il permesso di vedere quei documenti?”

Il Direttore la osservò intensamente per qualche momento. “Non so che cosa ha in mente, ma farò in modo di farglieli avere.”

Sara tornò nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle.

“Qualcosa non va, Capo?” Frank la guardava con le sopracciglia aggrottate.

“Non ne sono sicura.” Sara appoggiò la schiena alla porta. Che cosa aveva voluto nascondere Bartemius Crouch?

Lily Potter lottava per tenere a freno l’angoscia. Aveva la sensazione di aver appena fatto un terribile errore. Seduta al tavolo della grande cucina di Grimmauld Place, catapultata in un futuro che non avrebbe mai conosciuto davvero, guardava il profilo di suo marito, seduto accanto a lei. James, come sempre, cercava mostrarsi coraggioso, ma lei vedeva che era triste e abbattuto quanto lei.

Harry era partito da poco per tornare a Hogwarts. La decisione era stata difficile e sofferta. Nessuno in quella casa avrebbe biasimato Harry se avesse deciso di non tornare a scuola e di restare con loro, ma Silente l’aveva sconsigliato. Non dovevano destare sospetti e trovare una scusa plausibile per l’assenza di Harry da scuola sarebbe stato difficile. Avrebbe sollevato domande, attirato l’attenzione, una cosa di cui nessuno di loro aveva bisogno.

Lily aveva sorriso, abbracciato suo figlio e l’aveva rassicurato promettendo che si sarebbero scritti spesso usando dei nomi in codice. Quando le mani del ragazzo avevano stretto il suo maglione mentre l’abbracciava, le ci era voluta tutta la determinazione di cui era capace per staccarsi da lui e sorridere ancora, per indurlo a tornare a scuola.

James gli aveva dato una pacca sulla spalla e aveva sorriso a sua volta, ma Lily sapeva, dalla piega della sua bocca e dal modo in cui dilatava le narici, che era stato sull’orlo del crollo per tutto il tempo dei saluti.

Non stava gestendo bene la cosa.

Era arrabbiato, sconvolto, turbato e soprattutto non riusciva a parlare con Harry come avrebbe voluto. Lily non sapeva come aiutarli, era come se ci fosse un muro invisibile tra loro. Entrambi volevano disperatamente abbatterlo, ma non sapevano come.

E ora Harry era andato via.

Lily fece scorrere lo sguardo sulla cucina. Remus sembrava così invecchiato, e non era solo per le trasformazioni mensili che doveva subire. Sembrava essere invecchiato nello spirito. Era sempre stato pacato e riflessivo, ma adesso sembrava addirittura chiuso, una cosa strana per lui che era sempre stato comunicativo.

Il cambiamento di Sirius era ancor più sconcertante. Lily si voltò a guardarlo. Era seduto in un angolo, fissava il vuoto e fumava una sigaretta dopo l’altra, guardando cose che solo lui vedeva. Non c’era traccia del ragazzo allegro e sicuro di sé che aveva imparato ad apprezzare quando aveva iniziato a uscire con James. Era diventato cinico, cupo, duro. Gli unici istanti in cui Lily aveva visto qualcosa del vecchio Sirius balenare dietro la maschera che Azkaban gli aveva cucito addosso erano stati quando parlava con Harry.

Era evidente che era affezionato a suo figlio. Lily ne era felice e sollevata. Era bello che Harry avesse qualcuno come Sirius nella sua vita.

Poco prima aveva assistito al loro saluto. Entrambi pensavano che lei si fosse già tornata in cucina, ma si era fermata dietro la porta ad ascoltare. Non ne andava fiera, ma qualcosa nel tono di Sirius l’aveva fermata. C’era un affetto e un calore quando parlava con Harry che era scomparso dal resto delle sue interazioni.

Sbirciando da dietro la porta, Lily aveva visto Sirius accompagnare Harry alla porta e posargli una mano sulla spalla. “Ti prometto che quando tornerai per le prossime vacanze saranno ancora qui.”

Harry non aveva detto nulla, ma aveva sorriso. Poi aveva seguito gli altri verso il Nottetempo, che li avrebbe riportati a scuola.

E ora che i ragazzi erano partiti e i signori Weasley erano tornati per un po’ a Ottery St. Catchpole, a Grimmauld Place erano rimasti solo loro. La rimpatriata però era incompleta. Lily ancora non riusciva a credere a quello che le avevano raccontato di Peter. Era sempre stato un ragazzo debole di carattere, ma non lo avrebbe mai creduto un traditore.

E poi mancava Sara.

Erano diventate amiche fin dal primo momento del suo arrivo a Hogwarts, anche se c’erano diversi anni di differenza tra loro. Sara aveva iniziato il primo anno quando lei stava per cominciare il sesto. Era Prefetto di Grifondoro e uno dei suoi compiti era far sentire benvenuti i nuovi arrivati. Come l’anno precedente, il suo primo da prefetto, si era premurata di sedersi con le sue amiche, ma lasciando un po’ di spazio attorno a sé.

La Sala Grande quella sera sembrava particolarmente splendente. Forse era perché qualcosa nell’atmosfera del mondo esterno aveva iniziato a cambiare, a incupirsi. Forse era perché aveva sentito la mancanza delle sue amiche e del castello durante l’estate. Tutto sembrava più bello e luminoso.

I ragazzini del primo anno entrarono in fila indiana alle spalle della McGrannitt. Avevano un’aria giovane e spaurita. Lily era sorpresa di essere stata come loro un tempo. Attraversarono la sala da parte a parte per sottoporsi al giudizio del Cappello Parlante. Alcuni tremavano visibilmente, altri sembravano preoccupati. Solo una ragazzina coi capelli scuri che le ricadevano sulla schiena in onde disordinate si guardava intorno con aria curiosa.

Lily aveva sempre amato lo Smistamento. Era un momento importante, in cui si decideva il destino di quei ragazzini, le persone con cui avrebbero stretto amicizia e i valori che avrebbero coltivato nella vita. Non tutti però la pensavano a quel modo. Un brusio arrivò dal capo del tavolo più lontano dagli insegnanti. Lily si voltò, infastidita.

Naturalmente.

James Potter era voltato verso il suo amico Sirius Black e confabulavano a bassa voce, le teste vicine. Remus Lupin cercava di non farsi coinvolgere, con scarsi risultati, mentre Peter Minus era teso in avanti sopra il tavolo per ascoltare. Quei ragazzi erano impossibili. Brillanti, certo, ma sprecavano le loro capacità in stupidaggini e ragazze invece che applicarsi negli studi. E nonostante questo riuscivano a ottenere ottimi voti.

La facevano imbestialire.

Sirius, che era voltato nella sua direzione, incrociò lo sguardo di Lily e diede una gomitata a James, che si voltò verso di lei. Lily sbuffò e tornò a guardare lo Smistamento. Non aveva intenzione di assecondare James Potter o fargli credere che lo stesse guardando per un motivo che non fosse disapprovarlo. Sperava che con il nuovo anno scolastico la smettesse di tormentarla per uscire con lui. Non voleva cedere.

Non poteva cedere.

Lo Smistamento era quasi finito, erano arrivati alla lettera W. La ragazza di prima, quella dallo sguardo curioso, venne chiamata a sedere sotto il Cappello Parlante. Salì i gradini fino allo sgabello con passo sicuro e sedette continuando a sbirciare la sala mentre il cappello le calava fin sugli occhi.

Il Cappello impiegò diversi minuti a decidere, sembrava combattuto, ma alla fine strillò “GRIFONDORO!”. Lily applaudì insieme agli altri e fece scorrere lo sguardo sul tavolo della sua Casa. L’unico posto libero era quello accanto a lei.

La ragazza era l’ultima smistata di Grifondoro. Percorse il tavolo con lo sguardo e Lily si fece da parte per rendere più evidente il posto libero sulla panca accanto.

“Scusa, questo posto è libero?”

“Certo, siediti pure.

“Mi chiamo Sara White.” La ragazzina tese la mano con un sorriso e Lily la strinse.

“Lily Evans.”

Sara aveva un sacco di domande. Sulla scuola, sui corsi, sulle Case, sui professori, ma anche sul mondo magico, le sue leggi, le sue regole. Lily quasi non si accorse del tempo che passava, da tanto era immersa nella conversazione. Le portate si susseguivano sulla tavola davanti a loro e gli studenti banchettavano mangiando a quattro palmenti.

Ad un tratto l’attenzione di Sara fu catturata da qualcosa in fondo al tavolo. “Chi è quel ragazzo che ti fissa?”

Suo malgrado Lily si voltò. “Quale?” Sapeva già di chi si trattasse, ma lo chiese lo stesso.

“Il ragazzo coi capelli neri e gli occhiali.”

Lily tornò a guardare Sara. “Oh, è solo James Potter. Lo fa per infastidirmi.”

“Davvero?” Per un attimo sul viso di Sara passò uno sguardo acuto che la fece sembrare molto più matura dei suoi undici anni, ma non aggiunse altro e si accontentò della spiegazione.

A Lily ci era voluto quasi tutto l’anno per capire meglio James Potter e fare i conti con i suoi sentimenti, ma col senno di poi si era resa conto che Sara aveva capito molto più di lei fin dall’inizio. Il ricordo le fece sfuggire un mezzo sorriso.

“Ehi, stai sorridendo.” La voce di James, accanto a lei, la riportò al presente. “Cosa ti fa sorridere?”

Lily guardò suo marito e gli strinse una mano sotto il tavolo. “Ricordi.”

“Bei ricordi?”

Lily annuì. “Pensavo a Hogwarts. E a Sara.”

Quando pronunciò il nome, con la coda dell’occhio, Lily vide Sirius uscire dalla sua trance. Avrebbe dovuto immaginarlo, Sirius doveva sentire il bisogno di parlare di lei.

“È strano pensare che sia diventata un’Auror.” Era un modo come un altro per avviare la conversazione.

“Non sembrava il tipo, vero?” Remus incrociò il suo sguardo e sollevò le sopracciglia. Forse avevano avuto lo stesso pensiero.

“No, non lo sembrava. Però è sempre stata molto determinata. Non mi sorprende che ce l’abbia fatta. Mi chiedo come mai abbia deciso di intraprendere questa strada.” Sirius non aveva ancora detto una parola, ma seguiva la conversazione con molto interesse. Dallo sguardo di Remus, Lily capì che quello non era un buon argomento. Non sapeva che cosa fosse successo dopo che loro — dopo che lei — dopo l’arresto di Sirius, ma Remus doveva saperne di più.

Doveva parlargli a quattr’occhi appena possibile. Nel frattempo, meglio restare nel campo dei ricordi.

“Vi ricordate quella volta che…”

Frank Parker non sapeva che cosa pensare. Che Sara White avesse delle stranezze l’aveva sempre saputo, fin da quando lei era stata il suo Auror Guida anni prima, ma il suo comportamento per quell’ultimo caso era più strano del solito. Sara era un’Auror eccezionale e fuori dal comune e aveva i suoi metodi. Metteva nel lavoro una dedizione e un’abnegazione straordinaria, sempre, ma in quel caso rasentava l’ossessione.

Era così concentrata sui documenti che la circondavano che non si era accorta di essersi tracciata una riga d’inchiostro sulla guancia. Aveva ignorato l’ora di pranzo, ora si stava avvicinando rapidamente l’ora di cena e non sembrava avere intenzione di muoversi dalla scrivania.

Ore e ore prima, il Direttore del Dipartimento si era presentato nell’ufficio di Sara con alcune scatole di documenti. Non aveva detto altro che “Non me ne faccia pentire.” Poi se n’era andato. Da allora Sara era immersa nella lettura di quei documenti e aveva lasciato a lui il compito di revisionare i fascicoli sull’evasione di Black e dei dieci Mangiamorte.

L’orologio alla parete scandiva il tempo con il ticchettio della lancetta dei secondi. La stanza era così silenziosa che Frank sentiva quel ticchettio martellargli nelle orecchie. Le parole sui fogli che aveva sotto il naso non avevano più senso.

Aveva bisogno di fare una pausa.

Si schiarì la voce, “Capo.”

“Uh?” Sara non sollevò neanche lo sguardo.

Frank stiracchiò le braccia sollevandole sopra la testa. “Capo, io vado a prendere dell’altro caffè. Tu vuoi qualcosa?”

Sara finalmente alzò la testa e guardò l’orologio. “Non mi ero resa conto che fosse così tardi. Andiamo a mangiare un boccone.”

Si diressero in silenzio verso gli ascensori del Ministero. Frank non riusciva a capire che cosa frullasse per la testa del suo capo. Si era chiusa a riccio ed era strano. A lei piaceva lavorare condividendo idee e informazioni, ragionava ad alta voce, coinvolgendo i suoi collaboratori.

Era brava a insegnare, anche se non lo voleva ammettere. Frank aveva visto diversi gruppi di giovani reclute penderle letteralmente dalle labbra, perché Sara incarnava la passione per il lavoro di Auror e i giovani appena usciti dall’Accademia lo percepivano, anche se inconsciamente.

Quel silenzio lo disturbava. Frank attese fino a quando non furono seduti da Lucilla con un piatto fumante davanti, poi parlò. “Capo, va tutto bene?”

Lo sguardo che Sara sollevò verso di lui aveva qualcosa di sperduto, come se la sua domanda l’avesse tirata fuori da un sogno non esattamente piacevole e fosse leggermente disorientata. “Sì, tutto bene Frank. Perché?”

“Mi chiedevo cosa ci fosse in quelle scatole che ha portato il Direttore. Non hai detto una parola su quei documenti.” Non gli piaceva essere tenuto all’oscuro. Credeva che ormai Sara si fidasse di lui. Da quando Prosperus se n’era andato, era diventato il suo collaboratore più stretto.

Sara finì di masticare lentamente il boccone e sospirò. Poi posò la forchetta e alzò lo sguardo verso di lui. Lo sguardo non era cambiato rispetto a poco prima. Era forse più vigile, ma non meno fosco.

“Sono documenti che provengono dall’archivio del Ministro. Riguardano l’indagine sulla strage di Godric’s Hollow. Quando Black fu arrestato, Crouch si occupò dell’inchiesta, personalmente.”

“Sì, mi pare di ricordare qualcosa dai giornali.”

“Crouch era noto per essere un funzionario meticoloso e spietato con i Mangiamorte. Sicuramente gli fu affidata l’inchiesta per chiudere la faccenda al più presto. Voldemort era appena stato sconfitto e nessuno voleva più parlare di stragi e Mangiamorte.”

“Aspetta,” Frank sollevò una mano. “La cronologia è un po’ confusa. La strage di Godric’s Hollow è avvenuta dopo la caduta di Tu-Sai-Chi?”

Sara strinse le labbra e guardò in basso verso il piatto. “Poco dopo. La stessa notte.” Sara aveva una strana espressione che Frank non le aveva mai visto in volto. “Tu eri troppo giovane, ma cerca di capire la situazione. Era appena finito un incubo, e con appena intendo da poche ore, che subito si è ripresentato un rigurgito di tutta quella violenza e quell’orrore scatenato dai Mangiamorte. Sotto due forme, una è stata la strage di Godric’s Hollow e l’altra l’attacco ai Paciock.”

“I Paciock?”

“Frank e Alice. Furono attaccati e torturati dai Mangiamorte fino alla follia.”

“Merda.”

“Già. In questa atmosfera, Bartemius Crouch si occupò delle due inchieste. Portò i Lestrange e il suo stesso figlio davanti al Winzengamot e sbatté Black in galera.”

“Aspetta… hai detto suo figlio?” Frank si rese conto di essere rimasto con la bocca aperta per l’orrore e si affrettò a richiuderla. Come Auror aveva imparato a non farsi coinvolgere dai casi, ma quella storia dava i brividi.

“Sì, uno degli accusati per l’attacco ai Paciock era Bartemius Crouch Jr.” Sara si appoggiò all’indietro allo schienale della sedia. “Sai che Bellatrix Lestrange e Black sono parenti?”

“Ora che mi ci fai pensare, nei documenti sull’evasione di Black c’è una scheda con il suo albero genealogico. Sono cugini, vero?”

Sara annuì. “E tu pensi che Crouch sia stato obiettivo nel giudicare il cugino della donna che riteneva responsabile di aver trascinato suo figlio nell’infamia?”

Frank si sfregò una mano sul collo. “Non dev’essere stato un momento facile per Crouch.”

“Suppongo di no.” Sara poggiò i gomiti sul tavolo e si sporse in avanti. “Ma questo non era una buona giustificazione per mandare un uomo in prigione senza processo.”

“Senza processo?”

“Senza processo.” Sara rimase in silenzio per un momento, forse per dargli il tempo di digerire la notizia. “Anche Crouch doveva esserne consapevole. Infatti ha archiviato i documenti nell’archivio privato del Ministro. Per questo ho dovuto chiedere al Direttore per averli.”

“E cos’hai scoperto?” Ora Frank cominciava a capire perché Sara si fosse immersa nella lettura di quei documenti.

“Per ora non molto, a parte il fatto che le indagini sono state frettolose e superficiali.”

“Sembra che Crouch avesse fretta di chiudere.” Frank non aveva idea cosa avrebbero potuto fare dopo tutti quegli anni, ma sembrava che ci fosse davvero qualcosa che non andava in quella storia. “Che cosa facciamo?”

Sara sospirò. “Io ho iniziato a farmi un’idea, ma ora mi servono anche i tuoi occhi.”

“Va bene. Rientriamo.” Finalmente cominciavano a ragionare.

Sara si masticava l’unghia di un pollice mentre Frank passava in rassegna i documenti di Crouch. Non voleva influenzare il suo giudizio con le proprie considerazioni, ma avrebbe voluto che si sbrigasse. Voleva conoscere la sua opinione.

Mai prima di allora aveva dubitato tanto del suo stesso giudizio. Non riusciva a capire se il suo subconscio le facesse vedere delle cose che non c’erano oppure se delle stranezze c’erano davvero. Una parte di lei continuava a trovare cose che non andavano, l’altra parte di lei non faceva che trovare giustificazioni plausibili per quelle lacune.

Era snervante. E non arrivava da nessuna parte.

Dopo un secolo, Frank sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia. “In effetti ci sono parecchie cose che non quadrano.” Sara tirò mentalmente un sospiro di sollievo, ma non lo interruppe. Forse non stava impazzendo. “Tanto per cominciare non c’è uno straccio di relazione tecnica sulle prove raccolte. C’è una specie di elenco, ma non sembra molto completo. È difficile credere che con una scena di quella portata non abbiano trovato altro.”

Era una delle prime cose che Sara aveva notato. Era come se la scena della strage di Godric’s Hollow fosse stata esaminata frettolosamente, senza prestare attenzione ai dettagli. “È difficile da credere. Ma è anche vero che dev’essere stata una scena caotica.”

“Hai già esaminato le fotografie?”

“No.” Sara aveva rimandato quel momento il più possibile. Non era sicura di riuscire a mantenere la compostezza davanti alle immagini, ma se voleva scoprire qualcosa doveva decidersi a farlo. “Possiamo farlo adesso. Prendiamo la lavagna.”

Presero la grande lavagna bianca dalla stanza per l’esame delle prove e la trascinarono fino all’ufficio di Sara. Insieme iniziarono a smistare e appendere tutte le foto magiche che erano state scattate sulla scena della strage. Piano piano prese forma un quadro agghiacciante, di distruzione e morte.

Lavoravano in silenzio e Sara non riusciva a non pensare alla mano che aveva causato tutta quella distruzione. Non riusciva ancora a credere — nonostante avesse passato più di un decennio a convincersi del contrario — che Sirius avesse potuto compiere un gesto simile.

A un certo punto, nella sua mente Sirius era diventato due persone diverse. Il ragazzo che lei aveva conosciuto e conservava come un bellissimo ricordo, e l’assassino. Uno era rimasto il suo modello, un ideale, il metro su cui inconsciamente misurava tutti gli uomini. L’altro era il mostro, crudele e spietato, che aveva ingannato tutti, che aveva ingannato lei.

E non si trattava solo della morte di dodici persone, né dell’assassinio di quello che sarebbe dovuto essere uno dei migliori amici di Sirius. C’era di più.

Era stato Remus a dirglielo, pochi giorni dopo la strage. Era arrivato a Hogwarts una mattina ed era andato a trovarla in infermeria. Sara non ricordava come ci fosse arrivata, chi l’avesse portata lì e non sapeva nemmeno esattamente da quanto tempo ci stesse. Fuori pioveva a dirotto, da giorni, cosa che comunque non sembrava intaccare il buonumore che aveva avvolto tutta la scuola dopo la caduta di Voldemort.

Dio, anche pensarne il nome la faceva stare male. Era stato Sirius a insegnarle a non chiamarlo Tu-Sai-Chi. Riferirsi a lui come Voldemort, anche solo nella sua testa, glielo faceva ricordare e ogni volta che ci pensava era come se qualcuno la accoltellasse allo stomaco.

Le chiacchiere e l’euforia dei festeggiamenti, per fortuna, non riuscivano ad entrare in infermeria. Madama Chips faceva in modo che fosse così e Sara le era grata per questo. Era già abbastanza dura sentirli filtrare attraverso la porta.

Era sola lì dentro, sembrava che anche le malattie stessero facendo festa. Le sole persone che passavano tra i letti erano l’infermiera della scuola e Rebecca, che andava a trovarla ogni giorno.

Rebecca cercava di distrarla, di farla parlare di altre cose, ma non capiva che lei non poteva. Parlare avrebbe reso tutto reale, finché fosse rimasta in silenzio avrebbe potuto fingere che fosse tutto un incubo tremendo, avrebbe potuto continuare a guardare fuori dalla finestra, verso il parco subissato dalla pioggia, senza pensare ad altro che al grigio che sembrava aver avvolto ogni cosa.

Quella mattina sentì la porta dell’infermeria aprirsi, ma non si voltò. Rebecca era in anticipo. Di solito andava a trovarla prima di pranzo per cercare di convincerla ad andare a mangiare con lei. Ma anche mangiare era difficile, richiedeva troppo sforzo.

Sara continuò a guardare fuori. La sola cosa importante erano le gocce che scorrevano sul vetro della finestra. Fino a che si fosse concentrata sul loro percorso, la sua mente non avrebbe indugiato sul disastro che aveva travolto la sua esistenza.

“Sara?”

Non era la voce di Rebecca, ma conosceva quella voce. Chiuse gli occhi e deglutì.

Non poteva affrontare Remus Lupin, non adesso, non ancora.

Tenne gli occhi chiusi e rifiutò di girarsi. Sentì il letto scricchiolare e abbassarsi quando Remus sedette accanto a lei. Tirò le ginocchia fin sotto il mento e strinse le braccia attorno alle gambe. Aspettò che le chiedesse come stava, ma la domanda non arrivò.

“Sembra incredibile, non è vero?” Remus sospirò. Gli tremava la voce. “Che il mondo sia andato avanti mentre loro sono morti.” Sara sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Non credeva di averne ancora da piangere. “Eppure noi siamo ancora qui, come se niente fosse. Siamo rimasti solo io e te.”

Sara finalmente si voltò. Remus era a pochi centimetri da lei, aveva il volto pallido, profondi cerchi bluastri sotto gli occhi. Sembrava che non dormisse da giorni e all’improvviso sembrava più vecchio. Sara avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma scartava ogni pensiero prima che potesse raggiungere le sue labbra.

C’era qualcosa che potesse dire che non suonasse vuoto o che non peggiorasse la situazione?

Remus doveva sentirsi esattamente come lei. Distrutto. Sgomento. Ferito. Tradito. Era l’unica persona al mondo che potesse comprendere quello che stava passando, perché lo stava passando anche lui.

Le lacrime ormai avevano raggiunto il mento di Sara e le gocce le ricadevano sulle mani, che teneva strette in grembo. Aveva senso asciugarle? Tanto ne sarebbero arrivate altre. Di sicuro non valeva la pena fingere di non aver pianto. Chi ci avrebbe creduto?

“Hai saputo di Harry?” Lo sguardo di Remus era distante mentre le faceva quella domanda.

“Sì, ho saputo.” Parlare le faceva dolere la gola. Forse era rimasta in silenzio troppo a lungo.

“Ora è coi suoi zii.”

“Ho saputo anche questo.” Sara si aspettava che Remus aggiungesse qualcosa, ma rimase in silenzio. “Lo trovi giusto?”

“Silente pensa che sia la cosa migliore.”

“Ci ho parlato, con Silente.” Sara avrebbe voluto poter temperare un po’ il disprezzo che sentiva nella sua stessa voce ma non ci riusciva. “Ha mandato Harry a vivere con Petunia, santo dio. Lei odia Lily, come credi che si prenderà cura di suo figlio?”

“Non c’era altra soluzione. Sono i suoi soli parenti in vita.”

“C’era invece. Ci siamo noi. Ci sono io. Lily mi aveva chiesto se sarei stata disposta a prendermi cura di Harry, se le fosse successo qualcosa. L’ho detto a Silente, ma non mi ha ascoltato.”

“Sara, come potresti fare?” La compassione nella voce di Remus le faceva venire voglia di picchiarlo. Ma picchiare qualcuno richiedeva un’energia che non aveva. “Devi finire la scuola, come faresti a mantenere un bambino.”

“Non ho intenzione di finire la scuola. Ho i GUFO. Qualcosa farò. Non riesco a resistere qua dentro.”

“Non puoi buttare via la tua vita come se — ”

“La mia vita? Quale vita, Remus? Cos’è rimasto della mia vita? Voi eravate la mia famiglia. Lily era più di una sorella per me. E Sirius — ”

Sara dovette tornare a voltarsi verso la finestra. Non ci riusciva. Parlarne era davvero troppo. Non poteva farlo. Strinse i denti per fermare il gemito che l’ondata di dolore le stava facendo sfuggire.

“Che cosa fai qui, Remus?”

“Sono venuto a vedere come stai.” Remus sospirò. “E a parlarti di una cosa.”

Il cervello di Sara, annebbiato dal dolore e dalla stanchezza, faticava a processare le sue parole. “Di cosa mi devi parlare?”

Remus si alzò dal letto, prese la sedia, che in genere occupava Rebecca, e sedette in modo da poterla guardare in faccia. “Ci ho pensato molto. Ho riflettuto a lungo se fosse il caso di dirtelo o meno. Mi sono chiesto, ha senso parlarne ora che tutto è già successo? Ma poi ho pensato,” Remus scosse la testa, come per scacciare un dubbio fastidioso, “che cosa succederebbe se lo venissi a sapere da qualcun’altro? È una cosa che sanno in pochi, ma non si può mai sapere. Detesto l’idea di farti soffrire di più, ma credo che tu debba sapere tutta la storia.”

Sara deglutì. “Tutta la storia?” Cos’altro poteva farla soffrire di più?

“Il coinvolgimento di Sirius non è quello che tutti pensano. È… peggio.” Sara non rispose. Faceva fatica a respirare. Cosa poteva esserci di peggio? “Lily e James erano in pericolo e hanno dovuto prendere delle decisioni. Sirius ha ingannato tutti, una cosa che non credevo possibile. E alla fine è stato proprio Peter a capire la verità.”

Le parole di Remus avevano smesso di avere senso. Non la guardava più, teneva gli occhi puntati lontano su qualcosa che solo lui riusciva a vedere. Forse, come Sara, continuava a ripercorrere nella mente i ricordi per cercare di capire come avesse fatto a farsi fregare. Continuava a girare intorno al punto, senza arrivarci mai.

Sorprendendo perfino se stessa, Sara sbottò. “Remus, dillo e basta!”

Nell’infermeria calò il silenzio. Sara riusciva a sentire il battito del suo cuore nei timpani. Un battito. Due battiti.

“Sirius era il Custode Segreto di Lily e James.”

Quell’informazione aleggiò nella stanza. Sara non sentì niente per un attimo, non il battito del cuore nelle orecchie, né il ticchettio della pioggia sul vetro, non sentì neppure il dolore, lo sconcerto, lo shock. Poi arrivò tutto insieme.

“Tu sai che cosa significa, vero?”

Lo sapeva. Ma la sua bocca non funzionava più, il respiro non prendeva più la via giusta, i brividi le scuotevano la spina dorsale. Sirius aveva venduto Lily e James. Aveva venduto Lily e James a Voldemort. E poi aveva ucciso Peter e tutte quelle persone.

Sara non si era accorta subito che Remus aveva abbandonato la sedia ed era tornato a sedersi accanto a lei sul letto, né si era accorta di singhiozzare contro il suo maglione sgualcito, finché quel nuovo dolore non era andato a sommarsi a quello vecchio, diventando un ammasso sordo e pulsante al centro del suo petto.

Quello stesso pomeriggio aveva fatto i bagagli ed era andata via con Remus. Non poteva sopportare di restare in quel posto pieno di ricordi un minuto di più. Era andata via da Hogwarts e non ci era più tornata.

Mentre l’immagine della scena della strage si componeva nelle fotografie davanti ai suoi occhi, Sara si domandò se dovesse raccontare a Frank quella parte storia. Da un lato Frank ne aveva il diritto di saperlo, era giusto che avesse tutti gli elementi a disposizione. Ma d’altro canto pochissime persone ne erano al corrente. Come avrebbe fatto a spiegare che lo sapeva?

Al Lettore

Grazie mille per aver seguito la mia storia fino a questo punto! Non dovrai aspettare molto per il quarto capitolo, lo pubblicherò mercoledì.

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A prestissimo per il quarto capitolo!

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