Black & White — Una fanfiction su Harry Potter — Capitolo 1

Irene Aprile
22 min readMar 11, 2018

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Qualche tempo fa ho scritto un post sul perché scrivere fanfiction sia divertente e liberatorio. Questo dunque è il mio momento di divertimento.

Cover image photo credit: Davide Baldanti

Disclaimer: Questa è un’opera di fantasia creata usando i personaggi del mondo di Harry Potter, che è un marchio registrato creato da J. K. Rowling. I personaggi del mondo di Harry Potter sono stati creati e appartengono a J.K. Rowling, e io non rivendico la proprietà su di essi o sul mondo di Harry Potter. La storia che racconto qui è di mia invenzione, e non si propone di far parte del canone delle storie di J.K. Rowling. Questa storia è solo per intrattenimento e non fa parte della storyline ufficiale. Sono grata alla Signora Rowling per le sue storie meravigliose perché, senza i suoi libri, la mia storia non esisterebbe.

Capitolo 1

Sara White era preoccupata.

Era nell’ufficio del Direttore del Dipartimento degli Auror, su una poltroncina sistemata davanti alla scrivania. Teneva le gambe accavallate e una copia della Gazzetta del Profeta spiegata davanti a sé. Gli occhi scorrevano rapidi sulle parole in prima pagina, mentre un piede dondolava nervosamente. Man mano che procedeva nella lettura, la ruga sulla sua fronte diventava sempre più profonda.

Terminata la lettura dell’articolo, chiuse il giornale con uno scatto. “Idioti.”

L’orologio che portava al polso segnava le nove passate. Il Direttore era in ritardo, sembrava che l’incontro con il Ministro stesse andando per le lunghe. Quella convocazione, arrivata tramite un biglietto lasciato alla segretaria del Dipartimento, era inaspettata e aveva qualcosa di ufficiale che non le piaceva.

Aveva passato la notte a lavorare con la sua squadra per chiudere l’ultimo caso, poi aveva cercato inutilmente di dormire qualche ora sullo scomodo divano del suo ufficio, solo per essere svegliata dal bussare insistente di Shira, la segretaria del Dipartimento. Quando aveva aperto la porta, scompigliata e con gli occhi ancora mezzi chiusi, si era trovata davanti il braccio teso della ragazza che le porgeva un biglietto.

Nel mio ufficio alle 9. Importante.

La voce squillante di Shira era penetrata oltre la nebbia del suo cervello ancora mezzo addormentato e le aveva comunicato che il Direttore era dal Ministro e che sarebbe potuto essere un po’ in ritardo.

Così, alle nove e dieci Sara era nell’ufficio del suo capo a domandarsi cosa ci fosse di così importante. O meglio quale delle molte cose che stavano succedendo in quel periodo fosse la più importante.

Era un brutto periodo, come Sara non ne aveva mai visti. Stavano accadendo un sacco di cose strane. Sparizioni inspiegabili, fughe di notizie, insoliti movimenti. Albus Silente e Harry Potter andavano in giro a dire che Voldemort era tornato. Erano da poco evasi dieci tra i più pericolosi Mangiamorte ospitati ad Azkaban e nessuno aveva la più pallida idea di dove fossero finiti.

Sara non era mai stata tra coloro che pendevano dalle labbra di Albus Silente, ma dargli del pazzo visionario sembrava un po’ troppo. D’altra parte, credere che Voldemort fosse tornato era una cosa grossa, più grossa di quanto la maggior parte della gente potesse sopportare. Eppure, più cose accadevano più Sara si convinceva che dovesse esserci qualcosa di vero, il che rendeva il tutto ancor più spaventoso.

Il Ministro Caramell cercava di negare l’evidenza o forse si era davvero convinto che Silente fosse impazzito a causa dell’età. In ogni caso le spiegazioni stiracchiate che dava alla stampa non stavano in piedi. L’unico a crederci davvero sembrava il suo assistente.

L’articolo che aveva appena terminato di leggere era un esempio lampante.

Il Direttore irruppe nell’ufficio interrompendo le considerazioni di Sara, che si alzò in piedi per salutare.

“Buon giorno”

“Ah, è qui.”

“Sì, Shira mi ha detto che voleva vedermi.”

Il Direttore fece avanti e indietro un paio di volte alle spalle della scrivania. Prese una pila di carte, fece per riordinarla, poi la posò dov’era prima. Era strano vederlo così agitato.

“Capo, cosa succede?” Sara era ancora in piedi.

Il Direttore smise di fare avanti e indietro e sedette sulla sua poltrona. Fece cenno a Sara di tornare a sedersi. La guardò per un momento, esitò, poi iniziò a parlare.

“Ho appena ricevuto una lavata di testa dal Ministro. Ne immagina il motivo?”

“Posso azzardare qualche ipotesi.”

“Il motivo sono quei maledetti Mangiamorte evasi. Caramell dice che non stiamo facendo abbastanza, che stiamo qui a grattarci il mento mentre quelli fuggono indisturbati, che non possiamo far fare una tale figuraccia al Ministero.”

“È la solita musica. Ma lei lo sa, io e la mia squadra abbiamo fatto il possibile. Non hanno lasciato alcuna traccia. Una volta fuori dai confini di Azkaban si sono smaterializzati e non c’è modo di sapere dove siano andati.”

“Ho provato a far ragionare il Ministro. Crede che mi abbia dato retta? Auror White crede che mi sia stato minimamente a sentire?” Il Direttore rimarcò ogni parola piantando l’indice sul piano della scrivania.

Sara si strinse nelle spalle. “Conoscendolo direi di no. Ma cosa vorrebbe che facessimo? Abbiamo passato al vaglio ogni informazione a disposizione su di loro. Vecchi domicili, amici, parenti. Siamo arrivati ovunque la legge ci abbia consentito di arrivare.” E i lacci della legge diventavano ancora più stretti quando si rischiava di dar fastidio a qualcuno degli amici di Caramell. Le idee sui posti in cui i Mangiamorte potessero nascondersi non mancavano, ma se il Ministro si ostinava a voler proteggere certe persone, non c’era molto che potessero fare.

Sara rimase in silenzio. Era stufa di ascoltare il suono della sua voce che ripeteva sempre le stesse cose. Il Direttore del Dipartimento inspirò profondamente e si appoggiò allo schienale della poltrona, gli occhi rivolti al soffitto.

“Caramell sostiene che dobbiamo trovare i dieci Mangiamorte evasi, sostiene che sia necessario ‘far vedere che si sta facendo qualcosa’.”

Odioso vecchio bacucco. Tutto quello che gli interessava erano le apparenze.

Sara sbuffò. “Il Ministro a suggerimenti in merito?”

Era sempre la solita storia. In un modo o nell’altro continuavano a mettere in dubbio le sue capacità. Era stata la prima ad essere mandata ad Azkaban dopo l’evasione, aveva fatto i rilievi con la sua squadra e aveva condotto le indagini. Sentiva la propria competenza messa in discussione ed era intollerabile.

“Il Ministro è certo che l’evasione dei dieci Mangiamorte sia collegata all’evasione di Sirius Black.”

Lo stomaco di Sara sprofondò e la nausea le chiuse la gola. Strinse la mascella cercando di nascondere la sua reazione e inspirò dal naso per ricacciare indietro il caffè che cercava di risalirle in gola. Quando fu sicura di poter parlare senza rischi, si sporse in avanti posando le mani sul bordo della scrivania.

“Capo, pensavo che queste assurdità fossero solo una storiella da raccontare alla stampa. Non mi dirà che il Ministro crede veramente a questa storia? Ha letto la prima pagina della Gazzetta del Profeta?” Sara prese il giornale che aveva chiuso poco prima e prese a declamare “‘Così si spiega l’evasione dei Mangiamorte. Il Primo Ministro Cornelius Caramell, intervistato dai nostri inviati, ha rivelato che le prime indagini hanno portato a concludere che l’evasione dei Mangiamorte è strettamente legata a Sirius Black. “I prigionieri non potevano in alcun modo evadere senza un aiuto dall’esterno e l’unico che avrebbe potuto fornirglielo è Black” ha dichiarato il Ministro…’ Pensavo che fossero storielle per i giornalisti. È una cosa ridicola. Ho spiegato io stessa al Ministro, e mi ci sono volute due ore buone, che le due evasioni non possono essere collegate. Ci sono troppe differenze.”

“Sono cose che io e lei sappiamo perfettamente, ma che il Ministro si rifiuta di credere. Caramell sostiene che trovando Black riusciremo a trovare i Mangiamorte”.

“E come suggerisce di fare? Sono due anni che il Ministero gli dà la caccia. Senza risultati.”

Le mani di Sara presero a tremare. Le nascose sotto il piano della scrivania e cercò di riprendere il controllo. Possibile che bastasse il suo nome a sconquassarla così?

“Capo perché mi ha fatta chiamare? Che cosa c’entro? Se il punto è trovare Sirius Black abbiamo già qualcuno impegnato nelle ricerche.”

Il Direttore inspirò profondamente sfregandosi il mento. “Il fatto è che dopo due anni dall’evasione di Black ancora non ci sono risultati e il Ministro comincia a dubitare di Kingsley Shacklebolt e di conseguenza di me. Mi ha imposto di togliere il caso a Kingsley e di affidarlo a qualcun altro.” Sara sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. “A questo punto la persona più adatta a svolgere questo compito è lei, Auror White.”

Il cuore di Sara si fermò, poi riprese vita e iniziò a battere all’impazzata. Il passato prese a travolgerla a ondate, immagini sconnesse che le danzavano davanti agli occhi. Aveva creduto di essere al sicuro. Quando avevano affidato il caso a Shakelbolt pensava di essersi liberata di quel fantasma. Non poteva, non poteva proprio occuparsi di questo caso.

“Ma che cosa — ” stava balbettando, maledizione. “Che cosa pensa che possa fare io che Shakelbolt non ha già tentato? E poi sa perfettamente come la penso. Black non c’entra niente con l’evasione dei Mangiamorte.”

Sapeva fin troppo bene che Sirius Black era un pazzo assassino, ma nemmeno lei poteva arrivare al punto di usarlo come capro espiatorio per ogni cosa.

“Faccia quello che crede,” il Direttore sollevò le mani. “Trovi Black, trovi i Mangiamorte oppure dimostri che non c’entrano nulla l’uno con gli altri. Ha carta bianca, ma faccia qualcosa. Ho piena fiducia nelle sue capacità.”

Sara non rispose. Aveva la bocca leggermente aperta, gli occhi fissi sul piano della scrivania, le mani strette a pugno posate in grembo. Non potevano chiederle questo. Doveva trovare il modo di uscirne, di sottrarsi a quell’incubo. Il Direttore la guardava, incurante del suo sgomento, in attesa di una risposta.

“È assolutamente sicuro che non ci siano alternative? Non c’è proprio nessun’altro? Chiunque altro che possa occuparsi di questa cosa al posto mio? Che ne dice di Michael Chilton? È un Auror Capo estremamente capace.”

“Sono consapevole delle capacità di Chilton ma lui, come la maggior parte dei nostri uomini migliori, è sommerso dal lavoro e lei si è già occupata sia dell’evasione di Black che dei Mangiamorte. Abbiamo bisogno di fare presto e per questo serve qualcuno che conosca il caso. Chi meglio di lei, Auror White?”

Già, chi?

Sara sospirò e scosse la testa. Raccolse il giornale accartocciato e si alzò dalla sedia. “Non lo so, Capo. Questa è una cosa grossa e se non dovessi riuscire finirei nella melma più nera, non riuscirei più a tirarmene fuori. Ci devo pensare. Non le prometto niente.”

Il Direttore si limitò ad annuire e lei uscì con passo meno sicuro di quanto avrebbe voluto.

Sirius Black era nella cucina del numero 12 di Grimmauld Place. Sorseggiava una tazza di caffè mentre leggeva la Gazzetta del Profeta, un gomito appoggiato alla mensola del camino che occupava parte del muro. Remus Lupin, seduto a un capo del tavolo, scriveva freneticamente su una pergamena. Gli unici rumori che si sentivano erano il frusciare delle pagine del giornale e lo scricchiolio della piuma sulla pergamena.

Era troppo presto per gli altri, stavano ancora tutti dormendo. Solo Arthur Weasley era già uscito per recarsi al Ministero. Molly, la moglie di Arthur, si sarebbe alzata a momenti e allora la cucina sarebbe stata piena dello scoppiettio del fuoco, dell’acciottolio di stoviglie e del profumo di deliziosi manicaretti. Da ragazzo a Sirius piaceva poltrire a letto, era sempre l’ultimo ad alzarsi, ma dopo Azkaban — beh, dormire non era più il piacere che era stato un tempo.

Giunto a un paragrafo particolarmente interessante dell’articolo che stava leggendo, sbottò in una risata secca. Remus alzò lo sguardo dal suo lavoro. “Cosa c’è di così divertente?”

“Senti qua. Così si spiega l’evasione dei Mangiamorte. Il Primo Ministro Cornelius Caramell, intervistato dai nostri inviati, ha rivelato che le prime indagini hanno portato a concludere che l’evasione dei Mangiamorte è strettamente legata a Sirius Black. ‘I prigionieri non potevano in alcun modo evadere senza un aiuto dall’esterno e l’unico che avrebbe potuto fornirglielo è Sirius Black’. Non posso fare a meno di trovarlo divertente.”

Remus si limitò a scuotere la testa alzando gli occhi al soffitto e riprese a scrivere. Sirius ripiegò il giornale, nauseato da quelle sciocchezze, e sedette al tavolo.

Era l’inizio dell’ennesima giornata che avrebbe trascorso a Grimmauld Place senza fare nulla. Vagava da una stanza all’altra, collaborando di tanto in tanto alle operazioni di pulizia e riordino. Non osava ammetterlo, non voleva sembrare un ingrato, ma era stato molto meglio vivere nella grotta ai bordi di Hogsmeade piuttosto che in quella casa piena di ricordi spiacevoli. Gli pareva di essere fuggito da una prigione solo per farsi rinchiudere in un’altra. E il ghigno che aveva Severus Piton ogni volta che passava al quartier generale stava diventando sempre più difficile da ignorare.

Silente lo trattava come un bambino cattivo sorpreso a rubare le caramelle, ma lui era un uomo adulto, ne aveva passate tante. Aveva sofferto, lottato, aveva avuto la libertà a un soffio da lui e ora niente di tutto questo sembrava avere più importanza. Non avrebbe meritato un po’ più di rispetto? Invece veniva lasciato con Molly e i ragazzi alle prese con grembiule e piumino.

Era molto più di quanto potesse sopportare.

L’arrivo di Molly gli impedì di continuare a rimuginare. “Buon giorno!” Nonostante tutto la signora Weasley riusciva a sorridere sempre.

Remus rispose con calore al saluto, mentre Sirius parlò appena. L’atteggiamento di Molly lo indisponeva, lo trattava come uno dei suoi figli, con tutti i pro e i contro che questo comportava.

“Gradite qualcosa per colazione?” Aveva appena messo piede in cucina e aveva già indosso il grembiule a quadretti. Forse ci andava perfino a dormire con quel grembiule. Prima che Sirius o Remus potessero rispondere, aveva iniziato ad armeggiare con pancetta, uova e pane da toast.

“Non disturbarti, Molly. Abbiamo già fatto colazione.” Remus indicò le due tazze di caffè.

Molly sbuffò impercettibilmente e dopo pochi istanti pose davanti a loro un piatto di toast imburrati coperti di marmellata di albicocche. Sirius sentì di dover partecipare alla conversazione in qualche modo e, mentre addentava un toast, chiese la prima cosa che gli venne in mente.

“Allora, la riunione è per stasera?”

“Sì, subito prima di cena, come al solito. Giusto, Molly?”

“Già, ma temo che ceneremo piuttosto tardi. Non ho idea dell’ora in cui potrebbe tornare Arthur dal lavoro. Dopo la convalescenza ha trovato un sacco di arretrato da sbrigare in ufficio.”

L’aggressione che Arthur aveva subito al Ministero, nonostante lo avesse debilitato fisicamente, lo aveva reso ancor più determinato nello svolgere il suo compito per l’Ordine della Fenice. Per questo aveva insistito per tornare al lavoro il più presto possibile.

Poco dopo l’arrivo di Molly, sulla soglia della cucina, comparvero i gemelli Fred e George, Ron e Harry, tutti scompigliati e con gli occhi gonfi di sonno.

“Mamma perché dobbiamo alzarci così presto? Siamo in vacanza!” Fred mugolò mentre si trascinava sulla sedia di fronte a Remus.

“Già è vero!” Ron si lasciò cadere accanto al fratello. “E poi perché le ragazze non sono ancora qui?”

“Per rispondere a entrambi. Dobbiamo finire di riordinare questa casa e c’è ancora un mucchio di lavoro da fare. E le ragazze non sono ancora qui perché ieri sera, mentre voi giocavate a Sparaschiocco, mi hanno aiutato fino a tardi per ciò dormiranno un’ora in più.”

La risposta della signora Weasley non lasciava spazio alle repliche. I ragazzi presero a mangiare la loro colazione in silenzio, guardandosi l’un l’altro dietro le tazze. Sirius notò che cercavano di prolungare il più possibile la durata del pasto, probabilmente per ritardare il momento di mettersi al lavoro. Da quando erano tornati a Grimmauld Place per le vacanze di Natale, Molly aveva rimesso anche loro all’opera per riordinare la casa.

“Allora Molly, qual è l’arduo compito che ci proponi oggi?” domandò Sirius.

Molly non colse o finse di non cogliere il sarcasmo nella domanda. “La soffitta non è stata ancora toccata, così pensavo che potremmo mettere un po’ d’ordine lì.”

“Bene! Fantastico! Un antro polveroso è l’ideale per trascorrere una così bella giornata!” George sbuffò nella sua ciotola di latte.

La signora Weasley ignorò le proteste e sollecitò i ragazzi a sbrigarsi. Terminata la colazione si alzarono e si diressero verso la soffitta. Molly terminò di rassettare la cucina e, mentre si avviava verso la scala, posò una mano sul braccio di Sirius. “Sirius, puoi darci una mano? Con il tuo aiuto sarà più facile decidere cosa conservare e cosa eliminare.”

“Forza… rimango anch’io ad aiutare. Potrebbe essere divertente.” La risposta di Remus precedette la sua. In qualche modo riusciva a farlo sentire in colpa anche quando non diceva niente di diretto. Con un sospiro, Sirius si avviò lungo le scale. A quanto pareva, non aveva scelta.

Si preannunciava un’altra giornata da incubo.

La scritta a lettere dorate sul legno della porta diceva “Sara C. White — Auror Capo”. Sara non aveva impiegato molto tempo per ottenere quella scritta e tutto quello che comportava. Si era fatta strada in fretta, grazie alle sue capacità e alla sua dedizione, e ora aveva una squadra da gestire, un ufficio con quattro pareti e una porta, anziché un cubicolo nell’open space, e un sacco di responsabilità.

Aveva consacrato la vita al lavoro, da quando era entrata all’Accademia non aveva più fatto altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare. Non che non ci avesse provato, ma i suoi tentativi di conciliare la vita privata con il lavoro erano falliti. Alla fine aveva dovuto scegliere. E aveva scelto la carriera. Il Dipartimento era diventato la sua casa e la sua ragione di vita. Aveva guadagnato la sua posizione e quella scritta sulla porta facendo la gavetta, portando a termine ogni incarico, ogni missione, anche i più scomodi e sgradevoli.

Questa volta non era diverso. Le ricerche di Sirius Black non erano altro che un altro caso sgradevole da risolvere. Tutto qui. Il passato non aveva importanza, non doveva averne. Era solo questione di accettarlo. Per fare questo però aveva bisogno di riflettere con calma.

Considerò per un attimo la possibilità di rinchiudersi nel suo ufficio, ma non sarebbe servito. Troppa gente sarebbe andata comunque a disturbare le sue riflessioni. Distolse lo sguardo dalla scritta col suo nome, abbassò la maniglia della porta ed entrò per prendere la borsa che aveva abbandonato sulla scrivania. Prima di uscire dal Dipartimento si affacciò nel cubicolo più vicino al suo ufficio.

“Frank, questa mattina sarò fuori.” Al suono della sua voce il ragazzo biondo chino sulla scrivania fece voltare la sedia.

“Buon giorno capo. Dove vai?”

“Non sono affari tuoi.”

“Ok.”

“Se qualcuno mi cerca, uccidilo con un colpo alla nuca.”

“D’accordo. Solite eccezioni?”

“Solite eccezioni.”

Il ragazzo tornò a voltarsi verso la sua pila di pergamene, faldoni e cartellette. Sara si allontanò dal cubicolo. Frank Parker lavorava con lei da molti anni e la conosceva meglio di chiunque altro al Dipartimento. Aveva imparato a capire quando era il momento di non fare domande. Era una delle molte qualità che Sara apprezzava di lui.

L’abitudine la condusse attraverso i corridoi del Ministero fino all’uscita. Fuori c’era una mattina grigia e fredda. Sara inspirò l’aria piena di smog della città e accese una sigaretta. Aveva bisogno di schiarirsi le idee. Ma dove? Come?

Mentre aspirava la seconda boccata di fumo, le venne in mente l’immagine della sua amica Rebecca che la rimproverava per il suo vizio. Quella porcheria ti ucciderà. Diceva sempre così. E Sara continuava a rispondere che se le sigarette avessero fatto in tempo a ucciderla si sarebbe considerata fortunata.

Senza pensare, tuffò la mano nella borsa e ne estrasse un cellulare. Non erano molti gli Auror a utilizzare tecnologia Babbana, ma molti maghi e streghe provenienti da famiglie Babbane sapevano quanto potesse tornare utile. Scorse la rubrica fino a trovare il numero giusto e fece partire la chiamata mentre cominciava a camminare.

“Pronto?”

“Bex, sono io.”

“Sara, dimmi. Che succede?”

“Sei libera per pranzo?”

“Certamente. Dove ci vediamo?”

“Da Lucilla. Ti aspetto.”

“Sara,” la voce di Rebecca dall’altro capo della linea tremò leggermente. “È successo qualcosa?”

“Ancora no. Però ho bisogno di un… consiglio.”

“Va bene. Cercherò di arrivare il prima possibile.”

Sara chiuse la chiamata con un mezzo sorriso. Rebecca era la sua migliore amica fin dai tempi di Hogwarts, era l’unica persona che conoscesse tutta, ma proprio tutta, la sua storia. Se c’era qualcuno in grado di capire quello che provava in quel momento era lei.

I piedi la portarono Da Lucilla, bar tavola calda. Era un locale Babbano, ma molti dipendenti del Ministero lo frequentavano. Questo gli dava un’aura un po’ bizzarra. Non tutti i maghi erano capaci di mascherare le loro stranezze. A quell’ora era praticamente deserto. Troppo tardi per la colazione e troppo presto per il pranzo.

Sara salutò la proprietaria, ordinò un caffè e si ritirò nell’angolo più lontano della saletta interna. Non fumatori, tanto per non cedere alla tentazione. Seduta al suo tavolo preferito, su una panca con le spalle alla parete, si sfregò gli occhi con le nocche. La giornata era appena cominciata e si sentiva già esausta.

Tenne gli occhi chiusi anche quando percepì la cameriera posare la tazza davanti a lei sul tavolo di legno. Forse se fosse rimasta lì su quella panca, con gli occhi chiusi, abbastanza a lungo il mondo esterno sarebbe scomparso.

Il volto di Sirius Black danzò davanti alle palpebre chiuse. Ma non era il viso scavato delle foto segnaletiche, era il viso bello e affascinante di un giovane di vent’anni. Aprì gli occhi di scatto e staccò la schiena dalla parete, il cuore che accelerava. Tutto sommato era meglio tenerli aperti.

Ancora una volta, tutte le domande senza risposta tornarono ad affollarsi nella sua mente. Come aveva fatto a non accorgersi di nulla? Come era possibile che non avesse colto alcun segnale? Era stata davvero tanto cieca? Possibile che lui avesse recitato così bene da ingannare tutti fino a quel punto? Possibile che dopo quattordici anni tornasse a tormentarla? Ma soprattutto, c’era qualcosa che avrebbe potuto fare per impedire quella tragedia e che non aveva fatto?

Sara sentì quelle stupide lacrime pizzicarle gli occhi, ma era allenata a tenere a bada le emozioni. Non aveva fatto altro per quattordici anni. Fece un respiro profondo, raddrizzò la schiena e bevve un sorso di caffè. Doveva analizzare la cosa con calma, con distacco.

Niente di più facile.

Un’ondata di nausea minacciò di riportare a galla il caffè, mentre i ricordi della morte di Lily e James, dell’assassinio di Peter e dell’arresto di Sirius le ritornavano in mente. Non che lei avesse assistito personalmente a nessuno di quegli eventi, ma l’avevano colpita così profondamente che l’avevano quasi uccisa.

Mai aveva sofferto tanto, nemmeno quando sua madre si era rifiutata di accettare che lei fosse una strega. Mai nella vita qualcuno l’aveva delusa fino a quel punto. L’euforia del mondo magico per la sconfitta di Voldemort non era riuscita a scalfire lo strato di gelido ghiaccio che era calato sul mondo di Sara. Quella notte, gli altri avevano recuperato la voglia di vivere, Sara aveva perso la sua. Se non fosse stato per Remus — ancora non sapeva bene come avesse fatto ad andare avanti.

La nausea si ritirò, così com’era arrivata. Il Direttore del Dipartimento degli Auror si aspettava una risposta, una risposta affermativa. Ma Sara non era certa di essere capace di accontentarlo. Il Ministero le stava chiedendo troppo. Non potevano saperlo, ma le stavano chiedendo di fare i conti con i ricordi più terribili della sua vita. Come poteva essere obiettiva?

“Dio mio, hai visto un fantasma?” La voce di Rebecca la colse di sorpresa. Sara guardò l’orologio da polso, il tempo era passato più in fretta del previsto. “Sei pallida come un cencio. Che cos’è successo?” Rebecca sfilò i guanti e tolse il mantello blu scuro. Sedette davanti a lei, tastò la tazza di caffè e fece una smorfia quando la sentì fredda. Con un cenno alla cameriera ordinò del tè e dei tramezzini. “Parla,” disse infine guardando Sara dritta in faccia.

Ora che la sua migliore amica era seduta davanti a lei, Sara non sapeva da che parte cominciare. Fece un respiro profondo, le sembrava di non aver fatto altro che respirare per calmare i nervi quella mattina, poi iniziò a raccontare. Cercò di non tradire l’angoscia, non era il caso di far preoccupare Rebecca più del necessario. Bex la lasciò parlare, ascoltando senza interrompere mentre sorseggiava il suo tè al gelsomino.

Alla fine del resoconto, cadde il silenzio. Sara abbassò lo sguardo e bevve un sorso del tè, tanto per avere qualcosa da fare. Non sapeva più nemmeno perché aveva deciso di parlarne con Rebecca. Che risposta si aspettava? Cosa voleva che le dicesse?

“Che cosa vuoi che ti dica?” Bex sembrava sempre avere la capacità di leggerle nel pensiero.

“Non lo so. È che io non riesco nemmeno a pensare in questo momento.”

“Non posso decidere al posto tuo.”

“No, è vero.” Sara voltò la testa e guardò fuori dalla finestra. La gente camminava sul marciapiede, ignara della battaglia che lei stava combattendo con sé stessa. Probabilmente ognuno di loro aveva la sua battaglia a cui pensare.

“Ma tu sei certa di non aver già deciso?” La voce di Rebecca la riportò dentro il locale.

“Cosa intendi?”

“Io ti conosco, so come ragioni. Ora pensi di non essere abbastanza forte, ma che cosa succederebbe se rifiutassi? Darebbero il caso a qualcun’altro. E poi? Saresti capace di starne fuori? Che cosa succederà quando troveranno Black? Perché prima o poi lo troveranno. Non preferiresti essere tu a chiudere i conti?”

Rebecca aveva ragione. Quando Sirius Black era evaso da Azkaban le avevano affidato l’incarico di svolgere le indagini all’interno della prigione. Anche allora avrebbe preferito rifiutare, ma poi qualcosa — forse la curiosità o il senso del dovere o l’istinto — l’aveva costretta ad accettare.

“Non so se sarò capace di essere obiettiva.”

“Sì che lo sarai. Lo sei sempre. Ma devi chiudere questa storia, risolverla, buttartela alle spalle.” Bex finì il suo tè. “E poi devi andare avanti con la tua vita e non pensarci più.”

Non pensarci più. Quella sì che era una sfida.

Non era passato un giorno negli ultimi quattordici anni in cui almeno una piccola scheggia del suo passato non si fosse insinuata nel presente. Ma Bex aveva ragione. Prima ancora di uscire dall’ufficio del Direttore quella mattina, aveva già deciso, che se ne rendesse conto o meno.

Questa consapevolezza la tranquillizzò. Sarebbe stato solo un altro caso da risolvere e poi archiviare, nient’altro.

Salutò Bex e tornò al Ministero quasi correndo. Ora che aveva deciso non aveva senso aspettare, voleva iniziare il più presto possibile.

Il Direttore non era nel suo ufficio, probabilmente era uscito per pranzo. Non aveva tempo di aspettarlo. Sara afferrò un frammento di pergamena e scarabocchiò una parola e la sua firma.

Accetto. S. White

Il lavoro nella soffitta era lungo e terribilmente noioso. La stanza era immersa nella penombra a causa della sporcizia incrostata sui vetri delle finestre. Lo spesso strato di polvere attutiva i suoni e prendeva alla gola. Per non parlare della quantità di ciarpame che la famiglia Black aveva accumulato lassù nel corso delle generazioni.

Poco dopo l’inizio dei lavori, Ginny e Hermione si erano unite agli altri e le operazioni procedevano in uno strano silenzio, reso spesso dalla polvere e interrotto solo da qualche occasionale esclamazione di stupore o di disgusto a seconda del reperto rinvenuto.

A Sirius, in fondo, non dispiaceva essere lì. Non era come combattere i Mangiamorte, ma la fatica lo distraeva dalla frustrazione e provava un sottile piacere nell’ammucchiare gli averi della sua famiglia in grossi sacchi della spazzatura.

Per pranzo avevano consumato velocemente dei panini, accompagnati da succo di zucca, poi avevano ripreso a lavorare. Molly sembrava posseduta dal fuoco sacro della pulizia.

Fu nel primo pomeriggio che cominciarono ad accadere cose strane.

“Ehi! Chi è stato?” Harry si guardava intorno disorientato.

“Che succede?” Ron colse l’occasione per stiracchiarsi la schiena e distogliere lo sguardo dalla cassa piena di testi di magia nera su cui era chino.

“Qualcuno mi ha colpito sulla schiena.”

“Harry caro, non c’è nessuno dietro di te. Forse sei solo stanco, perché non ti riposi un po’?” Il tono materno di Molly Weasley faceva impazzire Sirius anche quando non era rivolto a lui. Se Harry diceva di essere stato colpito, allora doveva essere vero. Sirius e Remus si scambiarono un’occhiata al di sopra dell’ammasso di indumenti che stavano smistando. Non sembrava ancora il caso di preoccuparsi, ma una sensazione di disagio si impadronì di lui.

Qualche minuto più tardi Hermione chiese a Ginny di passarle uno straccio per pulire uno scaffale, che finalmente era stato svuotato, ma quando la ragazza si avvicinò alla scatola dei detersivi fu sbalzata all’indietro e cadde atterrando sul sedere.

“Ma che diavolo sta succedendo?” domandarono all’unisono Fred e George.

Sirius e Remus estrassero le bacchette. Ora era il caso di preoccuparsi. Poteva esserci qualche strana maledizione nascosta da sua madre in una delle casse sparse nella soffitta. Non sarebbe stata la prima volta da quando avevano iniziato a ripulire Grimmauld Place. Sirius e Remus presero a perlustrare la soffitta palmo a palmo. Anche Harry estrasse la bacchetta, ma prima ancora che fosse completamente fuori dalla tasca dei jeans, Sirius lo fermò. “Mettila via, non vorrai fare magie fuori dalla scuola.”

Harry sbuffò, ma obbedì. Tutti avevano sospeso le loro attività per osservare. Pareva tutto a posto, ma proprio quando stavano per rimettersi al lavoro accadde la cosa più strana. Il pavimento cominciò a tremare leggermente.

Molly strillò mentre un vaso cadeva da uno scaffale andando in mille pezzi. Tutti si aggrapparono al supporto più vicino. Ginny cercò di guadagnare l’uscita, ma cadde rovinosamente a terra a causa delle vibrazioni.

Come era iniziato, quella specie di terremoto si fermò, ma non fecero in tempo a chiedersi che cosa fosse stato che il pavimento prese a liquefarsi proprio al centro della stanza.

Le ragazze strillarono e si ritrassero contro il muro. Molly afferrò Ron per il bavero della camicia mentre scivolava verso il centro del pavimento. Una fortissima folata di vento spalancò porte e finestre e quella che sembrava l’onda d’urto di un’esplosione sbalzò tutti all’indietro facendoli cadere sul pavimento. Il rumore arrivò dopo. Si sentì un forte rombo e poi uno scoppio che riempì la stanza di un denso fumo verde azzurro.

Dopo, soltanto la quiete.

“State tutti bene?” La voce di Lupin emerse da qualche parte oltre la cortina di fumo.

Da ogni parte della soffitta arrivarono deboli rassicurazioni. Sembrava che nessuno si fosse fatto male. Sirius si spazzolò le mani sulle ginocchia e si alzò in piedi, la bacchetta in pugno.

“Ma… ma… che cosa è stato?” La signora Weasley aveva la voce rotta dalla preoccupazione.

Sirius scrutò nel fumo che ancora riempiva la stanza. C’era qualcosa che si muoveva.

“Fuori le bacchette!” gridò. “Tutti quanti! Maggiorenni e non.”

Remus e Sirius furono i primi a riaversi, mentre il fumo cominciava a dissiparsi uscendo dalle finestre aperte. Avanzarono fianco a fianco, le bacchette puntate avanti a loro verso il punto da cui si era sprigionato il fumo, lo stesso in cui si era deformato il pavimento. Qualcosa si muoveva nella cortina nebbiosa. Sembravano due figure.

“Fermi!” ruggì Sirius mentre le due ombre assumevano contorni più distinti. Sembravano umani.

Come spinti da una sola mente, Sirius e Remus esclamarono un incantesimo e sottili corde andarono ad avvolgersi attorno ai due intrusi. Caddero a terra legati come salami, esclamando per l’attacco a sorpresa.

“Ahi!”

“Ma che — ”

Le voci erano quelli di un uomo e una donna.

“Chi siete?” domandò Sirius. La penombra della soffitta gli impediva di vedere distintamente i volti.

“Sirius? Sei tu?” Quella voce — Sirius si sentì mancare la terra da sotto i piedi e la sua presa sulla bacchetta vacillò.

“Non può essere.” Le parole di Remus furono poco più di un sussurro.

“C’è anche Remus,” disse la voce femminile. “Vi pare questo il modo di trattarci?”

Sirius deglutì e guardò Remus. Sembrava smarrito quanto lui. Molly e i ragazzi sembravano essersi dimenticati di alzarsi dal pavimento. Sirius aveva la bocca asciutta, era bloccato con la bacchetta a mezz’aria, non sapeva se credere alle proprie orecchie.

Il fumo ormai era del tutto svanito e la poca luce della soffitta era più che sufficiente per riconoscere l’uomo e la donna. Lui aveva capelli neri arruffati e un paio di occhiali tondi sul naso. Lei aveva lunghi capelli rossi e due incredibili occhi verdi.

Lily e James Potter erano a Grimmauld Place.

Leggi il Capitolo 2 e il Capitolo 3!

Al Lettore

Innanzi tutto grazie mille per aver letto fino a qui! Spero che il primo capitolo di Black &White ti sia piaciuto. Tra pochi giorni pubblicherò il secondo.

Sono molto affezionata a questa storia, che ho iniziato a scrivere tanto tempo fa e ora ho deciso di riprendere e rimaneggiare un po’. Scrivere fanfiction è divertente e liberatorio, mi permette di passare del tempo con i personaggi che amo e di indulgere nella mia passione per i flashback (mea culpa).

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