Mole Audace (parte quarta)

mirkocorli
4 min readAug 17, 2016

--

Un viaggio da Torino a Trieste sui treni di seconda classe, quelli dei pendolari (4)

Da Longarone a Gorizia

Conegliano è collina e pianura, pietroni incastrati nella terra, l’idea di una fortezza basata sul prosecco. Trentamila abitanti nascosti sa solo dio dove, una bestemmia ad ogni inizio di frase: non è neanche più una bestemmia, a dire il vero, è la maiuscola di apertura della parola a inizio frase. Semplicemente, senza frase non può partire, slitta la cinghia, il motore gira a vuoto, le ruote del discorso fanno solo fumo e non fanno trazione.

Mario fa il ristoratore a Conegliano e da quanto si legge di lui è quel tanto furbo da far passare la professionalità come arte e non come esercizio di un sapere: in città ha dato vita a qualche ristorante, avendo quasi sempre successo. In quello che porta il suo nome fa il maitre — se mai ci si potesse sognare di applicare qui quel concetto — e si riserva due ruoli: sindacare sul lavoro altrui, e prendere le comande. Che non prevedono un menu scritto, ma il suo cercar di portarti a quel che vuole che tu mangi. Ogni frase si chiude con “evviva!”. L’ha persino fatto incidere nelle sedute di legno e sulla grande piastrella di finto marmo che uno si trova davanti appena entra nella sala. Ci ha fatto scrivere proprio così: “da Mario, evviva!”. Evviva è il finale di ogni frase, “comandi” è il punto di inizio.

Fa un caldo assassino, a Conegliano e nella marca di Treviso. Lo stesso che porta verso il Friuli, Sacile, il paese di Pier Paolo Pasolini, poi Udine. In tutto il viaggio, ancora una volta, un solo grande compagno di strada: il granoturco fuori dal finestrino, onnipresente nelle sue diverse altezze, quasi a testimoniare la diversità dei luoghi incontrati dai centimetri di altezza della pianta. Udine è una città a misura di essere umano, il centro è bello, tutto sembra a portata di mano, intendendo con questo l’idea che tutti possano fare qualcosa, assicurarsi un sorriso, essere autonomi. È anche però il primo posto con qualche mendicante. Non ne vedevo da tempo. Quando ordini un caffè qui ti chiedono “liscio?” per chiederti se lo vuoi normale o sei uno di quei soggetti moderni che ci vuole tutte le variazioni del cas(S)o, tra dimensione della tazza, temperatura dell’aria e quantità di altre sostanze che caffè non sono dentro la miscela.

Poi, dopo Udine c’è Gorizia. “La piccola Berlino” la chiamavano, per via della divisione del territorio con la Slovenia e quella piazza simbolo della cortina di ferro.

Là dove c’era lo sbarramento da molti anni si può circolare liberamente, da alcuni senza documenti e poliziotti, basta solo attivare quell’interruttore mentale che tutti hanno qui a Gorizia e che permette loro di scegliere in quale delle quattro lingue che conoscono parlare.

Tutti poliglotti, molti nativi, anche se lo Sloveno il Duce aveva detto di non insegnarlo più e tanti si sono persi per scelte che neanche potevano discutere la possibilità di una facile comunicazione con i propri vicini. E, a ben vedere alzando un po’ gli occhi, con l’Europa tutta. Sono le scelte miopi che hanno messo il laccio a questa città, a questo paese.

Chi ha la fortuna del plurilinguismo usa le parole mischiandole come crede, preferisce una lingua per i sentimenti e l’altra per gli obblighi, sa come muoversi per farsi o non farsi capire da tutti. Del resto questa è una città di azzardo e contrabbando, ci sono banche ad ogni angolo di strada, tutti sembrano lavorare in banca, durante la guerra fredda era allo stesso tempo avamposto e minaccia.

Capire o non farsi capire fino a poco tempo fa era molto più di una curiosità data da eventi storici e posizione: era, o poteva essere, questione di vita e di morte.
Ci sono turisti, a Gorizia, come gli americani che non sanno tenere in mano la forchetta: se la impugni come una vanga che solleva cibo o, in senso contrario, come un forcone che infilza quelle che per te sono evidentemente delle piccole balle di fieno, non hai credibilità alcuna dal punto di vista alimentare. È molto semplice. Il pollice sta di lato, l’indice sopra il dorso della posata. Se entrambe le dita stanno ai lati, puoi tranquillamente scegliere del cibo da mangiare con le mani, fai prima. Ci sono i turisti, ma Gorizia sembra decisamente in mano ai goriziani, orgogliosi di esserlo e di avere salda in pugno la loro città. Talmente orgogliosi che la notizia del giorno su tutti i giornali locali è la chiusura del reparto maternità dell’ospedale cittadino: uno titola “l’ultima nata a Gorizia è una bimba cinese”, e l’altro “le mamme: andremo a partorire a Palmanova”.

Un posto che è stato di tutti, dall’imperatore in giù, che ha cambiato nomi, governi e lingue tante di quelle volte da avere ormai perso il conto e tenuto tutto quanto insieme come si fa con tutti i foglietti che si hanno in tasca e ci si dice “non si sa mai, potrebbero servire”. Gorizia è così, un portafoglio pieno di soldi e scontrini da spulciare. È stata di tutti, è profondamente dei goriziani.

Ma da oggi, goriziani, non ne nasceranno più.

[continua: parte quinta | oppure torna all’inizio del viaggio]

--

--

mirkocorli

39 yo, paying bills with social media, loving analog tools and writing on Medium about #productivity and #travel.