La Muta Del Paradigma Tecno-Politico

wikipolis
25 min readJan 19, 2017

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L’Ontogenesi sociale si approssima all’ultimo stadio: la fine della lunga diapausa gerarchica e l’inizio dell’elettrizzante interdipendenza intellettuale.

L’economista Robert Gordon (The Rise and Fall of American Growth) è notoriamente assai scettico circa la possibilità di estendere nel futuro il livello di crescita (nominale) ottenuto dal 1891 al 2007 (2% annuo). Le innovazioni della prima metà del ‘900 liberavano tempo e aumentavano la produttività molto più di quelle della seconda metà del ‘900 (non parliamo degli ultimi 10 anni).

Il forno di Bessemer ha permesso la costruzione in steel frame che ha permesso di aumentare la densità urbana che a sua volta ha ridotto il costo pro-capite di infrastrutture civili (acqua corrente, impianti fognari ed elettricità, soprattutto).

La diffusione su larga scala del motore a combustione interna ha significato la fine delle 5–10 tonnellate/miglio quadrato di deiezioni di cavalli che consumavano 1/4 dell’output agricolo degli USA.

Le innovazioni di inizio secolo resero gli uomini più produttivi in ciò che già facevano ma ebbero un’impatto ancora più grande sulle donne. Prima dell’acqua corrente, in Nord Carolina (1885 AD), la donna media percorreva 240 km/anno, portando a casa 35 tonnellate di acqua. Il tempo liberato venne occupato, per molte, in attività pagate in salari nominali (e a livelli di produttività superiori a quelli degli uomini, prima di tutti quei progressi).

E’ così che un rapido aumento della prosperità materiale venne ottenuto:

  • Tecnologie abilitanti hanno liberato tempo (specialmente alle donne)
  • Allocato alla produzione di massa di beni industriali
  • La ricchezza è stata divisa in modo ragionevole (minore estrazione, tasse alte, pieno impiego).

Era un sistema piuttosto rozzo ma a molti sembrò un’età dell’oro.

La produzione di massa si basava su costosi beni di capitale (barriera all’accesso) e lavori ripetitivi adatti anche a persone che non avevano ragione di ascendere a livelli di conoscenza o sofisticazione che avrebbero potuto mettere a repentaglio la stabilità del sistema. Tutto ciò di cui avevano bisogno erano efficienza fisica, fiducia nel sistema e un forte desiderio mimetico per alimentare la domanda aggregata dei beni di massa che ciascuno contribuiva, per quando poco, a produrre.

La natura top down di questa età dell’oro la rendeva pregna dei semi della propria distruzione.

Se uno porta alle sue logiche conclusioni l’argomento di Gordon sembra assumere che, date abbastanza invenzioni, le élites occidentali troveranno sempre una maniera consensuale di comprare l’assenso degli strati più sofferenti. Date loro sufficiente prosperità materiale e accetteranno qualunque paradigma, poco importa se non avranno giocato il benché minimo ruolo nella sua creazione e che, pertanto, come animali addomesticati che abbiano perso l’istinto di conservazione, non sospetteranno mai che ciò che venne concesso loro potrebbe anche, un giorno, essere tolto. E’ esattamente quel che è accaduto. Non erano le Nazioni del G7 a possedere la tecnologia ma le imprese del G7. E hanno “convinto” i governi del G7 a lasciargliela portare dovunque volessero (mantenendo l’accesso al mercato interno).

A quel quadro già scoraggiante si aggiunga innecessaria complessità, si sottragga il tempo per processarla e la voglia di farlo e non è difficile vedere come si possa portare alla destituzione milioni di persone. Basta chiedere a l’ex Presidente del Fondo Nazionali per le Arti:

“we’ve all been quite content to demean government, drop civics and in general conspire to produce an unaware and compliant citizenry. The unawareness remains strong but compliance is obviously fading rapidly.”

Tale cospirazione (per usare il termine scelto dall’erudito) è stata enormemente aiutata dal collasso dell’unica alternativa al Clientelismo Occidentale. Siamo chiari: il brutale regime imposto ai russi e ai loro vicini resta un’abominio. Non è quello il punto. Il punto è che si trattava di un rivale con un’ideologia coerente (seppur impraticabile). Di nuovo, era rozzo ma non si mobilizzano milioni di persone con fogli di calcolo, lo si fa con un’ideologia che solletica i loro bias e che le faccia sentire parte di una avanguardia in lotta per valori e obiettivi universali, non meri sindacalisti in sciopero per l’aumento.

La minaccia comunista obbligò il Capitale a concedere al Lavoro una crescente percentuale della ricchezza prodotta. Una volta rimossa la minaccia il Lavoro perse il potere di negoziazione sulla cui natura molte persone si erano illuse.

La fonte di quel potere non fu mai politica ma sempre geopolitica.

Completavano il quadro la mancanza di competizione per le materie prime e il virtuale monopolio nelle emissioni di anidride carbonica (dovuti alla Grande Divergenza), entrambi funzionali alla sostenibilità del paradigma.

Ricordate che copiare i successi di altri sistemi economico-politici, quando è dimostrato che non attentano all’ordine politico e sociale, è relativamente semplice. E’ quello che stato fatto in Europa occidentale e Giappone, dopo il 1945, e in Cina dal 1978.

Oggi non c’è un modello che a) funzioni al livello superiore di efficienza che sarebbe necessario e che, simultaneamente, b) preservi l’ordine politico e sociale. Ecco cosa stiamo aspettando. Nessuno riesce a tenere assieme le due esigenze.

Le cose non possono essere più del 100% di loro stesse

Gordon si avvicina a cuore del problema quando dice: “So it’s a truism that things can’t be more than 100 percent of themselves”.

Ci sono almeno due ambiti un cui siamo lontanissimi dal 100%: l’automazione dell’auto-produzione domestica/comunitaria e la partecipazione al Capitalismo Cognitivo.

Per dare l’idea del ritardo dei nostri strumenti basti pensare che misuriamo ancora il labour force participation rate come se non fossimo già entrati in un nuovo tipo di capitalismo e come se la percentuale che conta non fosse, sempre più, quella della sparuta minoranza che partecipa dell’economia che cresce e come se non fosse nostro dovere di includere nuovi coloni in quella meta-frontiera. La chiamo meta-frontiera perché, nella misura in cui aumentiamo la percentuale di persone che possono partecipare al Capitalismo Cognitivo, aumenta la velocità del progresso che possiamo ottenere.

Il progresso che Robert Gordon non riesce ad immaginare avverrà decentralizzando l’automazione produttiva e integrando la maggior parte delle persone nel Capitalismo Cognitivo o non avverrà.

I nemici di questo progresso sono tutti i tifosi della gerarchia, intesa non come inevitabile differenza di potenziale tra individui ma come ideale di organizzazione sociale e politica.

Stiamo per arrivare al punto in cui gli Stati Nazione dovranno decidere se sono democratici o meno. Se servono la loro supposta ragion d’essere o se sono comitati d’affari al servizio dello Stato Profondo e la democrazia un simulacro per minus habens.

Dopo tutto, se il commercio era intrinsecamente positivo quando a beneficiarne erano gli intermediari, dovrebbe esserlo anche quando gli intermediari cattureranno solo una frazione insignificante del valore. Il commercio era una cosa splendida quando era in mano a mega corporation (dalla East India Company alle Fortune 100) che mantenevano schiere di mercenari (variante piombo e variante carta), lobbisti, PR e IYIs. Vedremo se la penseranno alla stesso modo quando il vantaggio coasiano sarà distrutto dal software, i team saranno di 5–7 persone e ogni mezzo di produzione sarà generato domesticamente, distribuito via API e pagato in personal equity (invece che posseduto da grandi corporations che operano per ridurre il potenziale di autosufficienza di persone ad ogni latitudine e por poi sfruttare l’arbitraggio della loro relativa differenza di reddito e quindi di costo).

Prof. Mazzuccato e Prof. Perez

Se un regime è ottimizzato per occupare il tempo delle persone invece che per liberarlo, siamo autorizzati a considerare quel regime come liberticida. Se quel regime dovesse ricorrere ad argomenti fantoccio, venduti attraverso la collusione dei media e contando sul fatto che la maggior parte delle persone non ha il training del social hacker, ogni residuo dubbio cadrebbe. Questa considerazione vale, a maggior ragione, per coloro che danno copertura intellettuale a quanti hanno il potere di vendere mediaticamente (e legittimare istituzionalmente) le nuove politiche.

E’ più che probabile che costoro siano animati dalle migliori intenzioni e limitati solo da un difetto di immaginazione che non può né deve essere usato contro di loro. Presto sarà chiaro anche a loro che l’obiettivo deve essere di aumentare la produttività (attraverso l’automazione dell’auto-produzione e la riduzione del vantaggio coasiano), non l’occupazione.

Creare reddito attraverso incentivi fiscali (detassazione coperta con quali tasse/tagli?) per coloro che aggiustano beni resi ultra-durevoli (cosa che a sua volta disincentiva l’innovazione) è una pessima idea con un pessimo obiettivo (vedi podcast, 12'15'’ e successivi).

E’ una pessima idea perché auto-produrre beni non durevoli a partire da biopolimeri (da atomi a km0) creerebbe infinite opportunità di innovazione incrementale in tecnologie di riciclo, biomateriali, design, stampanti 3d e automazione. Tassare beni resi ultra-durevoli e detassare i servizi di mantenimento di quei beni creerebbe il tipo di uguaglianza feudale dovuta alla artificiale riduzione delle opportunità di creare nuovo valore. Un livellamento al ribasso che, quando non più imputabile ad ignoranza, obbedirebbe esclusivamente ad appetiti gerarchici.

Il discorso che vale per i beni ultra-durevoli vale, a maggior ragione, per le infrastrutture. Mentre i beni sono sempre più creati a partire da un feed-back dell’utente (e quindi, anche nell’ipotesi in cui fossero maggiormente tassati, un maggior valore ampiamente superiore alla loro tassazione li renderebbe sostenibili) le infrastrutture, che costano e durano molto di più e che hanno un’utilità massima in un tipo di paradigma (ma decrescente o perfino negativa in altri) sono approvate senza un feed-back neanche lontanamente proporzionale a quello ricevuto dai prodotti.

Un paradigma è come i vecchi monopoli di Stato. Anzi, per come vanno le cose, è un monopolio internazionale di cui godono managers di Stati e Imprese, attraverso a) le global value chains, costruite per ottimizzare lo shareholder value e b) il ben noto meccanismo delle revolving doors.

E’ particolarmente appropriato che la legittimità delle revolving doors sia sostenuta da un argomento circolare di questo tipo:”siccome questo è il paradigma nel quale abbiamo scelto di farvi vivere, le persone migliori per gestirlo (dal lato pubblico) sono quelle che ne hanno fatto esperienza dal lato privato e, specularmente, quelle più utili dal lato privato, sono quelle che hanno la più fedele mappa delle viscere del Leviatano”.

Vedremo presto se tra i “populisti” (nazionalisti o con qualunque altra etichetta li si voglia identificare) prevarranno persone coerenti con le loro premesse o se a farlo saranno le frodi intellettuali cooptate e gli infiltrati dallo status quo.

Cosa intendo con “coerenti con le loro premesse”?

Semplice: ogni paese che abbia la possibilità pratica di farlo dovrebbe permettere la competizione tra i paradigmi che la popolazione consideri degni di essere supportati e lasciare che i migliori prevalgano, senza favorirne nessuno. La competizione evolutiva è venduta dalle élites come cosa insieme sana e morale ma solo all’interno del paradigma egemone, imposto senza dibattito, mai tra paradigmi.

La penultima cosa che dovrebbe succedere è quella che tanti invocano come la panacea (l’ultima essendo l’austerità), ovvero che coloro che nominalmente rappresentano il 51% degli elettori non scoraggiati, scartando d’imperio tutti altri paradigmi possibili, cristallizzino il paradigma da loro scelto senza un informato consenso riguardo le ramificate conseguenze e senza l’approvazione di una maggioranza ultra-qualificata.

Si, perché le infrastrutture durevoli e privatizzabili (monopoli naturali) cristallizzano una società e la rendono estrattiva, bloccando la mobilità sociale. Se si ragiona di infrastrutture durevoli e privatizzabili solo come modo per spendere denaro in esistenza, se ne sottostimano le esternalità negative e si commette un errore gravissimo, specie in un momento in cui il discredito in cui versa la classe politica è ai massimi in generazioni.

Ogni aspirante policy-maker dovrebbe mettersi in testa che non c’è nulla di più produttivo che creare nuova conoscenza. L’infrastruttura di creazione di nuova conoscenza non è monopolistica ed è l’unica che è abbastanza general purpose e “meta” da essere auto-legittimante. Quante più persone si guadagnano da vivere facendo quello, mentre le loro esigenze materiali sono coperte dall’auto-produzione, quanto meglio. Per tutti. Non per la bilancia commerciale di uno stato o di un’altro o per il vantaggio relativo di una corporation. Per tutto il pianeta e per tutti i suoi abitanti.

Di cosa parliamo quando parliamo di Paradigmi? (semi-cit.)

Una classe media con ragionevoli prospettive di mobilità sociale e il perseguimento di una piena occupazione di qualità sufficiente a mantenere pensioni e sanità pubblica anche per coloro che hanno meno successo.

Questo è il paradigma nel quale l’Europa occidentale ha vissuto, dal Piano Marshall fino al dicembre 1991 o al dicembre 2001, dipende a chi chiedete. Dal 1990 ad oggi, l’Italia ha perso 73 punti di complessità economica. Vi sfido a trovare una performance peggiore anche se è tutta la classe media occidentale ad essere stata uccisa dalla scelta politica di non governare la transizione resa possibile da nuove possibilità tecnologiche e, ora che l’automazione rende virtualmente impossibile risuscitare quel paradigma, i politici promettono di ridare centralità ad un fattore di produzione, il lavoro, dal quale dipendono per il loro consenso, ma che ha perso quasi tutto il suo potere di negoziazione.

Perché manca di potere di negoziazione? Perchè il sogno di Frederick Taylor si è compiuto. La produttività conferisce potere e se la tua produttività ti viene da software che non possiedi ma che solamente usi, significa che non sei tu ad essere produttivo ma il proprietario del software. Se, come si è verificato con la globalizzazione, la produttività può essere esportata, significa che non appartiene ai soggetti ma alle imprese. Ecco perché la produttività che ci serve è del tipo che appartiene agli individui, del tipo che nessuno potrò togliere loro.

Se qualcuno ti paga un salario accettabile per fare un lavoro da robot biologico dovresti chiederti dov’è la fregatura. E la fregatura è che il tempo che passi ad eseguire istruzioni non lo passi ad acquisire nuova conoscenza né a scoprire nuovi modi di creare valore applicando quella conoscenza e, Dio non voglia, a immaginare modi per buttare fuori dal mercato il tuo attuale datore di lavoro. Cosa del tutto naturale in epoche di dinamismo economico, sociale e politico: dalla Venezia del X° secolo agli USA del XIX° secolo (i cosiddetti “uomini nuovi”).

Per anni ti convincono che non ci sia un futuro e poi te ne offrono uno. Molto migliore di quello che (non) pensavi di avere (bella forza!) ma infinitamente peggiore della migliore opzione, pure a portata di mano. E naturalmente la maggioranza accetterà il paradigma sicuro, offerto chiavi in mano, piuttosto che quello a cui si potrebbe aspirare. Perfino se non c’è ragione di scegliere.

Quando sul mercato c’è un robot da $10k che è in grado di produrre copie di sé stesso usando pezzi stampati con una stampante 3D che costa anche di meno e che ha il suo store che vende le sequenze di lavorazione di tutti prodotti che potresti voler assemblare non è chiaro né quale possa essere il potere di negoziazione del fattore “lavoro” (di massa) né perché si dovrebbe desiderare un sottopagato lavoro da robot biologico quando la scala alla quale l’automazione è efficiente ha smesso di essere quella della grande fabbrica capital intensive e si avvicina a quella individuale.

L’unico modello insieme sensato e desiderabile è l’automazione dell’auto-produzione associata a nuove modalità (tutte da inventare) di acquisizione di conoscenza che espandano drammaticamente il numero di persone che possono partecipare al Capitalismo Cognitivo. Due soluzioni tecnologiche, non di policy. Se e quando quelle tecnologie saranno mature, le policies serviranno ad incentivare le persone a passare da un paradigma al successivo. Se nessuno le avrà create, quelle tecnologie (e/o se avremo fallito), vivremo in un mondo à la Elysium.

Se anche tu temi un endgame come quello e se anche tu pensi che un paradigma come quello abbozzato sarebbe insieme possibile e desiderabile: benvenuto! Ecco due parole in più per meglio inquadrare il problema da risolvere.

Capitalismo Cognitivo, AD 2017

Nel capitalismo cognitivo ci sono solo tre fattori di produzione: Capitale, Know-how e quello che chiamo Know-what.

​​Il sistema attuale funziona così.

Un team, composto da alcune persone che possiedono il know-how e da almeno una che possiede il know-what, crea un prodotto e va da venture capitalists a cercare capitali per creare un pezzo del futuro nel quale i cittadini saranno costretti a vivere.

Il problema con questo approccio è duplice. Da una parte pochissimi possono partecipare (ricordate Daron Acemoglu, no?) e dall’altra, i pochi che partecipano sono nella gara sbagliata: la massimizzazione del ROI invece che l’assicurazione contro un futuro distopico.

Il Capitale (anche nelle mani del migliore) è passivo, non ha altro obiettivo che perpetuare il proprio potere (la ricchezza è un by-product) e la propria imprescindibilità, parola di Paul Graham.

As much as they respect brains in Silicon Valley, the message the Valley sends is: you should be more powerful.
That’s not quite the same message New York sends. Power matters in New York too of course, but New York is pretty impressed by a billion dollars even if you merely inherited it. In Silicon Valley no one would care except a few real estate agents. What matters in Silicon Valley is how much effect you have on the world. The reason people there care about Larry and Sergey is not their wealth but the fact that they control Google, which affects practically everyone.

La mia proposta è concettualizzabile come un “gruppo di acquisto” di larga scala e lungo periodo, finalizzato al perseguimento di un futuro nel quale i cittadini sarebbero lieti di vivere, un futuro che non è finanziabile in una logica finanziaria (troppo rischio) ma che lo sarebbe in una logica assicurativa. Questo significa finanziare ricerca e commercializzazione di tecnologie che altrimenti non esisterebbero e farlo grazie al contributo che le imprese pagherebbero per acquisire e fidelizzare clienti (contributo che dovrebbe essere commisurato al valore del ciclo di vita del cliente).

In questo modello, per la prima volta, il Capitale non sarebbe concentrato e passivo ma decentrato e attivo: indicherebbe un obiettivo (il know-what) e, sulla basa della direzione che vuole perseguire e della promessa di un flusso di risorse sufficienti a perseguirla, attirerebbe il know-how necessario.

Prima di entrare nei dettagli credo sarebbe utile un’approfondimento sul modo in cui si finanzia l’innovazione.

Finanziamento: Single vs. Multi-stage

Mentre a Hollywood un film riceve un budget di produzione solo quando si sa che c’è qualcuno disposto a spendere $60 milioni per distribuirlo (“single stage”), nel venture capital ci sono diverse metriche di successo che, come in un videogioco, determinano chi passa al livello successivo (e con quale “punteggio”).

Lo stadio di avanzamento al quale è più sensato paragonare il modello di finanziamento di Hollywood con quello del venture capital è il cosiddetto product-market-fit. A questo stadio esiste un prodotto/servizio che, nei mercati in un cui è stato testato, ha tassi di crescita abbastanza alti da giustificare l’investimento di fondi che hanno bisogno altissimi ritorni sull’investimento.

La valutazione di una startup esplode dopo il product-market-fit perchè è lì che inizia la corsa ad imitarla e, a parità di tecnologia e modello di business, chi è più capitalizzato può acquisire più clienti e ha maggiori chances di conquistare il mercato di riferimento. Date queste premesse non dovrebbe sorprendere che la (sovra)capitalizzazione venga usata come profezia auto-avverante per dissuadere potenziali rivali.

Per gli imprenditori quei finanziamenti hanno come contropartita la cessione, presente e futura, di una grossa percentuale della loro impresa. Siccome a nessun imprenditore piace stare sotto il tallone di ferro dello Stato Profondo (che mette i soldi nei migliori fondi di venture capital) è chiaro che c’è un enorme valore in qualunque modello che possa assicurarsi una crescita insieme rapida e organica (senza capitali esterni), ovvero, quel che il mio modello permette. Il valore c’è anche per i cittadini che altrimenti non avrebbero voce in capitolo nella futura direzione dell’economia, che da quelle startups sarà trasformata.

Il difetto principale, dal punto di vista del VC tradizionale?

Il modello non funziona se si cerca di estrarre valore perché, nel momento in cui comportamenti parassitici dovessero affermarsi, chiunque potrebbe copiare il modello (fork) e i consumatori migrerebbero verso i rivali che mantengono le promesse originarie. Questo è possibile perché non c’è un’unica e irrevocabile decisione di allocazione di capitale ma un continuo rinnovamento, attraverso il consumo, dell’alleanza originaria. Ogni volta che una persona si sente tradita può portare il suo consumo altrove. E’ piuttosto chiaro che quel difetto, per me, è un pregio. E’ così che lo volevo ed è così che l’ho creato.

L’obiettivo non è quello di fare soldi ma quello di aiutare l’emersione di un migliore modello economico. Il denaro non è che un mezzo, serve a pagare per le competenze non acquisibili con incentivi endogeni al nostro modello.

The always wise Paul Graham

Non mi sfugge che la portata e l’ambizione di ciò che propongo possa sembrare delirante (anche se il timore è più acuto quando scrivo in italiano). Questo spiega tutte le citazioni. Mi aspetto un rigoroso scrutinio, è parte del processo. Una cosa però dovrebbe essere chiara. Non si può portare una logica lineare in un mondo esponenziale e censurare basandosi su quella. Non è solo che non funzionerebbe. Sposterebbe il consenso nella direzione sbagliata e rischierebbe di soffocare nella culla qualcosa che avrebbe altrimenti potuto funzionare. Dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli di essere rigorosi. Conto sul fatto che alcuni di voi, quelli che hanno skin-in-the-game, vorranno acquisire gli strumenti per presentare motivate obiezioni.

Le mie premesse sono condivise da venture capitalists come Steve Jurvetson che, da investitore della prima ora, siede nel consiglio di amministrazione delle due imprese di Elon Musk (Tesla e SpaceX) e molte altre imprese super importanti come Rethink Robotics, Nervana e D-Wave (per citarne solo alcune). Per dare l’idea di quanto fuori scala sia il suo successo basta dire che la maggior parte dei VCs si bacerebbe i gomiti per investire in una sola di quelle cinque imprese.

Cosa dice Steve Jurvetson?

Small economies, small teams are increasingly going to define the future. Big bureaucracies won’t. Any team of any purpose greater than seven people is going to be ineffective, 5–7 is the magic number and they increasingly are going to define the world, these small teams are going to disrupt industry after industry. (lo dice qui)

Il paradigma post-bellico va ripensato completamente. Questo lo sappiamo da decenni ma, come detto, nessuno sa come fare per mantenere il proprio potere. L’attesa è durata troppo a lungo, però.

Le Cinque Crisi

Ci sono cinque crisi: produttività, educazione, ambiente, pensioni e sanità. La crisi di produttività, in un paradigma costruito sulla domanda (i consumi rappresentano ∼70% del PIL in Europa e USA), significa che l’aumento della produttività manifatturiera (inizialmente basato sull’outsourcing e sempre più sull’automazione) ha espulso lavoratori da quel settore e causato un’aumento drammatico nel numero dei lavoratori in servizi a bassa produttività cosa che a sua volta provoca una riduzione del tasso di risparmio, dei consumi delle famiglie e del gettito fiscale, un’aumento del debito e un silenziosa erosione della capacità degli Stati Nazione di onorare le promesse Costituzionali.

Promesse che, a fronte di entrate in strutturale declino (e pressione fiscale-contributiva già intollerabile) la spesa annua per sanità e pensioni/assistenza supera oggi i ~€400 mld (€100mld e ~€300mld, rispettivamente).

Affrontando il problema della produttività si inizia il processo attraverso il quale si risolvono le altre crisi, soprattutto, grazie al legame tra l’automazione dell’auto-produzione e la capacità che questo ha di finanziare il vero Manhattan Project del XXI secolo: l’accellerazione della velocità di acquisizione di conoscenza (knowledge acquisition bandwidth, ovvero KAB) che permetta a chiunque di partecipare al capitalismo cognitivo.

E’ chiaro che all’interno del Leviatano ci sono persone che capiscono queste cose e che, quindi, sono nostre alleate. Per mantenere il “Mandato del cielo”, lo Stato Nazione ha bisogno di incassare di più (auguri) e/o spendere meno (ma senza rinnegare i “diritti acquisiti”).

Cosa fare? Incentivare le persone a rinunciarvi volontariamente.

Come fare? Lo Stato Nazione ha bisogno di qualcuno che gli crei un’alternativa sufficientemente appetibile da indurle a farlo. Non sa quale potrebbe essere, né chi potrebbe crearla. D’altra parte il suo potere è impersonale. Non risiede nella capacità di desiderare e di creare ma, dove è bene utilizzato, in quella di individuare ciò che funziona e di farlo scalare.

Che Fare?

Photo Credits to Wikihouse Foundation

Occorre liberare risorse incentivando anziani a divenire prosumers, per farli passare dall’insostenibile flusso di denaro (pensione) alla proprietà di assets auto-produttivi. Non solo, dato che il perimetro dello Stato va ripensato da zero based budget, gli stessi incentivi dovrebbero essere estesi anche ai dipendenti di Stato e Regioni.

Quando un persona esce dal “libro paga” dello Stato (non importa se si tratti di stipendi o pensioni) ci sono due benefici. Il net present value della riduzione dell’esborso e il net present value della sua maggiore produttività futura. Con adeguato livello di sperimentazione sarebbe possibile stimare le dimensioni dell’incentivo da offrire per facilitare la transizione dal paradigma del job loop a quello del prosumer.

We must free up resources by encouraging the elderly to become prosumers, moving them from the unsustainable flow of money (retirement) to the ownership of self-production assets. Not only that, since the scope of the State has to be rethought from a zero based budget, the same incentives should be extended to most State employees.

Ultimately what are pensions for? In a system in which people own automated means of self-production, nobody needs an income in order to consume.

This is nothing more than applying to individuals/communities what companies have been doing for a while, namely deploying capital in one-off expenditures (CapEx) any time it makes more sense than keeping doling out smaller expenditures (OpEx) but for an indefinitely long period of time. Apply capital (rather than labour) whenever it is more productive.

Whenever a person leaves the State’s “payroll” there are two main benefits. The net present value of the lower expenditures and the net present value of the person’s increased productivity . With an appropriate level of testing it would be possible to estimate the right size of the incentive package that should be offered to facilitate the transition. Ideally, MicroMachinery’s CapEx will be far lower than the State’s future OpEx on that person.

If automation is sufficiently scaled down, people’s dependence from the State budget is reduced by an amount that is correlated to the economic complexity achievable through MicroManufacturing. The faster you improve the latter, the faster you can reduce the former.

Già oggi e pur senza le tecnologie che andranno create per renderla accessibile ad utenti mainstream, una vita da prosumer è più produttiva, non fosse che per le persone già integrate nel Capitalismo Cognitivo. Non è solo la mia opinione ma anche, tra gli altri, quella di Luke Iseman (head of hardware per YCombinator, il cui presidente, Sam Altman, era all’ultimo Bilderberg, tanto per capirci).

“It takes some advocacy for people to realize that working 10-to-20 hours/week at a job and having way less bills coiuld be very preferable, in terms of the lifestyle that it facilitates, that to working 90 hours/week to live in a crappy place that you don’t even like and barely pay your bills”.

MicroManufattura e Tasse

Come mantenere sia progressività fiscale che la sostenibilità ambientale? Prima di tutto. Nella misura in cui la MicroManufattura mitiga (o perfino sconfigge) la scarsità, la necessità di una tassazione progressiva decrescerà. Diverso il discorso sulla sostenibilità ambientale che rimarrà centrale.

L’equilibrio più difficile da raggiungere sarà quello tra lavoratori a tempo pieno, temporanei e auto-produttori a tempo pieno.

In ultima istanza quel che conta è il valore. Ed è da quello che dobbiamo farci guidare. Questa è una questione filosofica prima e, solo poi, di scienza della finanze. Se decidiamo che la conoscenza è ciò che ha valore (sia perchè eleva l’individuo, sia perchè lo rende capace di partecipare alla creazione di valore, personale e collettivo) allora, una volta che late majority and laggards saranno entrati nel Capitalismo Cognitivo l’idea di un reddito non monetario ma finanziario (equity, di ogni tipo) sarà un concetto familiare e sarà possibile pagare tasse sia in denaro che in equity (o una combinazione dei due).

Questo ci porta a beni e servizi, al loro scambio e alla loro tassazione.

Value creation in a knowledge-based paradigm.

I beni sono in parte design e in parte materiali e ciascuno avrà il suo trattamento impositivo. Il Design sarà tassato tramite un’imposta indiretta flessibile e nel paese nel quale viene materializzato. La flessibilità terrà conto del successo di ciascun tipo di design (progressività fiscale e lotta ai monopoli), del contenuto d’innovazione nei materiali oltre che della loro riciclabilità.

Anche i materiali saranno tassati, sempre attraverso un imposta indiretta flessibile che incentivi innovazione e riciclo.

I servizi saranno o completamente prodottizzati via APIs o (solo parzialmente e) somministrati localmente da un operatore. Le APIs saranno tassate al momento dell’uso nel paese in cui si produce. Al di sotto di una certa soglia, la somministrazione di servizi Below a certain threshold, service performance will be tax free and/or eligible for negative income tax.

I proprietari della APIs (individui o imprese) potranno detrarre il valore delle APIs richieste da cittadini a basso reddito dal totale delle tasse addebitate.

Ci sono diversi modi in cui quanto sopra potrebbe essere implementato e ci sono molte persone più competenti di me per ottimizzare le mie pennellate.

Provo a dare un po’ di concretezza. Supponiamo che si compri il design di un prodotto. Lo si You buy the design. You print it out using locally sourced atoms: either renewables (biopolymers) or recycled materials. Producing &/or recycling atoms is also subject to the same model and we could go much more granular but you got the point. Once you have your parts, you assemble them with a collaborative robot (coming to market in 2017) or by following AR instructions that you buy and download together with the product.

I componenti software del prodotto che hai comprato così come quelli delle stampanti con le quali hai creato i componenti e del robot che li ha assemblati possono essere aggiornati over-the-air.

Paul Graham: “le idee sono un passo upstream rispetto al potere economico”.

Naturalmente non produrremo localmente il nostro DGX-1 né chips, GPUs o (ci mancherebbe) smartphones. Ma non è neanche il caso di vendere Eric Drexler al ribasso.

Quando più la velocità di acquisizione di conoscenza (KAB) viene aumentata, quante più persone diventano attive all’interno del capitalismo cognitivo, quante più idee nasceranno.

Ogni stima temporale di avanzamento tecnologico è basata sulla stabilità di una variabile fondamentale: il numero delle persone impegnate in ricerca e sviluppo. Quel numero è in parte limitato da due fattori fondamentali:

Cambiare gli incentivi degli Stati riguardo a Sanità e Pensioni

Come detto, ci fu un tempo in cui il contratto sociale prevedeva mobilità sociale nell’ambito di un generalizzato miglioramento degli standard di vita, poi, quando quello si è interrotto, si è detto che era inevitabile ma che, comunque, la speranza di vita continuava ad aumentare.

Oggi la statistica, caro lettore, dice che morirai a 80,1 anni (84,7 se sei donna). E le statistiche stanno peggiorando. Questo è l’attuale contratto sociale e nessuno dovrebbe essere sorpreso dal disprezzo in cui sono tenuti quanti si guadagnano da vivere vendendo l’inevitabilità di questo paradigma.

All’interno dell’attuale contratto sociale lo Stato non ha interesse a spendere per allungare la vita ad un numero crescente di persone perché poi dovrebbe spenderne ancora di più per pagare loro la pensione ed entrambe le cose richiederebbe ulteriori, impensabili sacrifici per un numero decrescente di giovani.

Risolvendo il problema produttivo si risolve anche il problema pensionistico e si allineano gli incentivi di cittadini e Stati, che avranno più risorse da allocare a progetti ambiziosi ma rischiosi per estendere la durata della vita.

C’è ovviamente molto che si può fare, dal punto di vista regolatorio (vedi Eroom’s Law).

Questo dal lato delle risorse pubbliche. Se lo Stato decidesse di non perseguire quell’opportunità ci sarebbero più spazi per i privati.

Se io pago premi finché sono vivo e l’assicuratore (invece di comprare immobili) investe in ricerca per tenermi vivo il più a lungo possibile. Ne deriva che, quanto più è bravo, quanto più grande sarà lo scarto tra l‘età che realisticamente ambisco raggiungere e quella che effettivamente raggiungerò, quanti più premi pagherò (lieto di farlo) e quanto più l’assicuratore guadagnerà.

Non c’è un solo aspetto, nel paradigma che ho presentato, che non sarebbe deflazionistico. Vi prego, non ditemi che ridurre il denominatore (PIL) peggiora drammaticamente la ratio tra Debito/PIL. La banca centrale di un paese che non dipenda da finanziamento esterno può fumarsi tutto il debito pubblico che vuole, una questione politica che esula dal mio argomento.

Una volta che il rapporto Debito/Pil si sarà assestato a qualunque livello ci renda felici, l’unica metrica che importerà, la velocità di acquisizione di conoscenza (Knowledge Acquisition Bandwidth, KAB), la cui espansione dipende dal successo della micro-manifattura locale.

Il Primo Passo

L’automazione dell’auto-produzione su scala familiare è l’obiettivo numero uno, un’obiettivo che non potrà essere perseguito senza che un gran numero di persone diventino economicamente attive all’interno del Capitalismo Cognitivo, l’obiettivo numero due.

Il perseguimento del primo obiettivo aiuta a finanziare il secondo, che a sua volta facilita il perseguimento del primo.

Tra tutti i prodotti la cui produzione è possibile automatizzare (e ridurre di scala) ne abbiamo individuato uno a basso valore aggiunto ma di uso quotidiano.

Il finanziamento del progetto-pilota dipende dal fatto che abbastanza persone capiscano il valore di questo modello per pre-acquistare quel prodotto. I €339mila raccolti per il restauro del portico di San Luca ci rendono ottimisti. Se un progetto di chiaro valore civico e culturale ma non comparabile, in termini di impatto, ha raccolto quella somma, anche noi dovremmo farcela.

Fino ad oggi nessun modello è mai riuscito a far si che fossero i cittadini (non politici o corporations) a scegliere il paradigma nel quale volevano vivere.

Fino ad oggi.

Oggi abbiamo la possibilità di creare una discontinuità storica. E di farlo non in una grande capitale ma in un’umile città di provincia come ce ne sono tante nella nostra amata Europa dei popoli. Una discontinuità di metodo e di merito. Ricordate le parole di Steve Jurvetson. Poche persone, quelle giuste. Testare un modello in piccolo, dimostrare la sua sostenibilità e scalarlo.

Questo è un futuro tecnologicamente possibile ma che non accadrà da solo. Non si può “legislare in esistenza” un cambio di paradigma, deve essere compreso e (eventualmente) abbracciato da coloro che ci devono vivere dentro. Devono essere loro a desiderarlo. Sappiamo che il desiderio è, in larga misura, mimetico e che la mimesi può essere attivata da remoto (media) o per immersione, grazie ad esperienze locali che, per diffondersi, devono prima dimostrare la loro sostenibilità.

Lo Stato non può aiutare nei primi stadi di sviluppo ma la politica si. Può favorire l’emersione di questo nuovo paradigma o può lavarsene le mani. Se la scelta sarà la seconda mi pare alquanto inverosimile poter mantenere il moral high ground riservato a chi lavora per una società inclusiva.

La gerarchia del disaccordo, di Paul Graham. Come regola generale, quanto più forte e internamente coerente è la sfida intellettuale, quanto più in basso i media scendono.

La bella notizia è che non ci servono numeri maggioritari. Ci basta una percentuale talmente bassa di persone coscienti che i media non hanno potere di veto. Posto che siano persone sufficientemente sicure di sé possiamo farcela con una percentuale talmente bassa della popolazione totale che i media non avranno l’usuale potere di veto.

Né sulla nostra diffusione (che sarà organica) né di discredito intellettuale perché il nostro target sono persone intellettualmente superiori ai media e quindi invulnerabili ai loro trucchi in quanto capaci di valutare la qualità degli argomenti senza bisogno di intriganti intermediari.

Il che ci porta ad un’altra, più strutturale ragione per cui i media non avranno il solito ruolo di gatekeeper. I media sono nati come minimo comune denominatore (sono mass media) e non hanno nessun ruolo da giocare nell’intermediare persone che ne sanno più di loro e che stabiliscono fiducia reciproca sulla base della condivisione di un obiettivo che, ciascuno per il proprio ambito, riconoscono essere insieme possibile e desiderabile.

La più strutturale ragione per cui i Media non potranno fare da gatekeeper è che le cose importanti accadono ad un scala così piccola (ricordate Jurvetsen) e ad una tale velocità che, prima che i media lo scoprano sono già dominanti.

Proprio come i VC aspettano passivi che i teams creino un prodotto e attraggano i primi clienti, così i Media aspettano inserzionisti nativi che vogliano venderti la loro noiosa versione della realtà.

Proprio come i VC connettono persone che hanno più denaro che cervello a persone che hanno più cervello che denaro, i Media connettono poche persone/istituzioni con molto potere con molte persone che non ne hanno alcuno.

Bottom line: i Media soffrono di uno strutturale svantaggio che li rende incapaci di partecipare alla costruzione del futuro, sia come araldi che come censori.

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Corporate Nationhood (TPP/TTIP/TISA) means (among other things) that Product & OS designers/builders are the new Statesmen