La penna è morta, la scrittura (e il pensiero) no

Breve itinerario di riflessioni sulla diatriba tra scrittura classica e scrittura digitale

Giovanni Balsamo
Alchimie Digitali

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La penna è morta, la scrittura (e il pensiero) no.

Avete appena letto un aforisma, e cioè una breve proposizione che, genericamente parlando, afferma una verità, una regola o una massima di vita pratica.

Ho iniziato ad amare gli aforismi tramite Nietzsche, che li considerava una contestazione a qualsiasi forma di pensiero con pretese sistematiche. Il baffo più famoso della storia della filosofia percepiva già la necessità di esprimere in modo sempre più coinciso ciò che era essenziale nel suo pensiero.

Se Nietzsche avesse avuto la possibilità di conoscere Twitter, si sarebbe innamorato di questo social network. Una mente acuta e fulminea come la sua avrebbe potuto trovare in 140 caratteri il suo habitat naturale.

Un altro motivo del perché Nietzsche avrebbe trovato in Twitter la propria casa è legato alla sua malattia e alle condizioni della sua vista. Nietzsche aveva un’autonomia per leggere e scrivere di una ventina di minuti al giorno. Durante le sue lunghissime passeggiate, molte di queste spesso in Italia, il filosofo della volontà di potenza poteva concatenare tutta una serie di pensieri per poi trascriverli al suo rientro, sfruttando quel poco di autonomia che aveva per scrivere, ma non per elaborare organicamente un’intera opera.

La penna per lui era già morta, furono i suoi occhi ad ucciderla. La sua vista si stava a tal punto affievolendo da non permettergli più di concentrarsi su una pagina senza andare incontro a lancinanti mal di testa. Nietzsche si decise così a ordinare una macchina da scrivere, la Malling Hansen Writing Ball, e a cambiare le sue abitudini di scrittura.

La stessa cosa è successa a me, fortunatamente non per problemi di salute. Dopo aver concluso il mio percorso accademico senese ed essermi trasferito a Milano, ho abbandonato le biblioteche, i libri di Filosofia, i trattati di Alchimia in latino tardo-medievale, i miei quaderni e soprattutto la mia inseparabile stilografica, per le aule della Business School del Sole 24 ORE, le mie liste di Twitter, il mio portatile e il mio iPad. In questo modo, ho iniziato una nuova vita e una nuova forma di scrittura: quella digitale.

Posso così dire che, almeno per me, la penna ha perso la sua utilità, facendo salire in cattedra le mie dita. Queste — a differenza della penna — non esauriscono l’inchiostro e sono sempre con me, un vantaggio non da poco. Uso le mie dita per prendere appunti sul mio telefono, evidenziare, scrivere e disegnare sul mio iPad, senza preoccuparmi di perdere carta e penna, poiché i miei appunti digitali e le cose che scrivo vivono perpetuamente online.

Quando Steve Jobs introdusse l’iPhone nel 2007, descrisse il dito come “il miglior dispositivo per prendere appunti al mondo”. In effetti, non è possibile dargli torto. La mano, ragionando da un punto di vista più elevato e rubando una definizione di Aristotele è “l’organo degli organi”, perché può innalzare l’essere umano sopra agli altri animali.

Giordano Bruno, altra mente fervida, rincara la dose sovvertendo l’ordine di pensiero aristotelico e facendo della premessa il risultato: l’essere umano non possiede già l’intelletto attivo, ma arriva ad ottenerlo proprio attraverso l’uso strumentale delle mani.

L’uso delle mani per il filosofo napoletano rappresenterebbe, perciò, il punto di partenza per la creazione dello spirito, del lavoro, della società, della cultura e del linguaggio. Esse, da un certo punto in poi della storia dell’evoluzione della specie umana, hanno assolto a funzioni naturali e non (come la scrittura) con una creatività inaudita.

Dopo questa breve parentesi filosofica, torniamo alla realtà e soprattutto al presente. I cali delle vendite delle penne negli Stati Uniti, come nel resto del mondo, sono sotto gli occhi di tutti e non è un caso se una multinazionale come Bic stia cercando di invertire tale declino grazie ad una campagna Fight for Your Write, che ha descritto come una vera e propria crociata per sottolineare l’importanza della scrittura.

Pam Allyn, esperto di alfabetizzazione e portavoce della campagna, ha detto che scrivere con una penna o una matita aiuta i bambini a sviluppare un senso di identità, ma ha anche riconosciuto che la scrittura digitale possa fare lo stesso. Ed è questo il punto che mi interessa. Non è la penna, in quanto strumento, a dare vita al pensiero e all’identità intellettuale di un uomo. La penna è uno strumento, come tanti altri, che può sì influenzare il nostro modo di pensare e apprendere, ma non esserne la causa.

Non è nelle mie intenzioni aprire una diatriba tra scrittura classica e scrittura digitale, poiché credo che — al di là dello strumento che si ha a disposizione - ciò che conta veramente sia stimolare l’apprendimento, l’esercizio del pensiero e la conservazione della memoria storica, letteraria e filosofica.

La penna potrà anche avere un maggior fascino, ma non è destinata ad essere eterna, così come tutte le tecnologie che stanno prendendo il suo posto. Tra qualche anno, magari quando accompagnerò mio figlio a scuola, sarà ancora più obsoleta. L’importante, però, è che non sia obsoleto lo Spirito del tempo, il cosiddetto Zeitgeist che nella filosofia otto-novecentesca indicava la tendenza culturale predominante in una determinata epoca.

Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione digitale, dove ci può essere ancora spazio per la penna e per la carta, ma le cose stanno cambiando così rapidamente che dobbiamo prepararci a dire addio ad esse. Tuttavia non preoccupatevi, il dito (non quello medio) è qui per prendere il suo posto. E ricordatevi che quando il bruco percepisce la fine, per la farfalla è solo l’inizio (ebbene sì, mi concedo un altro aforisma). Avremo sempre nuovi strumenti per scrivere e dare forma alle nostre idee, almeno finché ci sarà qualcuno che vorrà farlo.

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