La violenza di genere (ma anche la nostra lotta) ha uno spazio in più: il digitale!

Chayn Italia
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Chayn Italia lavora da anni a contrasto della violenza di genere e lo fa attraverso strumenti digitali e pratiche collaborative. Utilizzare e vivere il digitale ci ha permesso di osservare con attenzione l’evolversi delle tipologie di violenza di genere che vedono nel digitale un nuovo spazio d’azione. Pensiamo sia importante parlare di quello che sta avvenendo e per questo abbiamo deciso di affrontare in una serie di articoli il fenomeno della violenza digitale di genere e della nostra lotta per contrastarlo .

Per chi lavora da anni e quotidianamente con la violenza di genere risulta chiaro che ancora prima della pandemia gli abusi e la violenza di genere avessero trovato negli spazi digitali nuove strade da avvelenare.

Da marzo 2020, con il lockdown e le varie misure anticontagio, si è ovviamente registrato un forte e pericolosissimo aumento di questa forma di violenza di genere, che ci ha portato infatti a rispondere all’invito del governo di “rimanere a casa” con la nostra campagna #inretenonseisola.

Eravamo consapevoli, insieme alla rete antiviolenza, che quell’invito a restare chiuse tra le mura di casa avrebbe potuto aggravare e inasprire le situazioni di violenza domestica già drammaticamente rischiose e che avrebbe spostato l’interazione sociale tra le persone sulle piattaforme digitali.

Tuttavia quello che ancora non avevamo percepito era il portato di questo cambiamento.

La pandemia ha reso esplicito quanto il digitale sia diventato ormai imprescindibilmente uno spazio che attraversiamo giornalmente e attraverso il quale, o nel quale, costruiamo la nostra vita sociale e lavorativa. Parallelamente ha anche rilevato la portata della diffusione della violenza di genere nel nostro paese (e non solo). Questi due aspetti (utilizzo del digitale e violenza di genere) sono diventati purtroppo anche maggiormente legati: la violenza di genere ha trovato nel digitale un nuovo spazio d’azione.

Secondo i dati, rilasciati dal laboratorio AVAST, di analisi dei malware in circolazione, dall’inizio della pandemia l’utilizzo mondiale di stalkerware (applicazioni utilizzate per controllare a distanza le attività di dispositivi digitali come smartphone) è aumentato del 51%. Nel dossier pubblicato a novembre 2020, il servizio analisi della Direzione centrale della Polizia criminale riporta due episodi di Diffusione non consensuale di immagini intime al giorno (DNCII).

L’utilizzo di stalkerware, DNCII, cyberstalking, molestie sessuali, doxxing (diffusione di informazioni personali di una persona attraverso piattaforme social o di messaggistica istantanea), questi e altri fenomeni sono espressioni della violenza digitale di genere. Con violenza digitale di genere parliamo di ogni forma di violenza di genere che si mette in atto attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali.

(Nel prossimo articolo tratteremo con maggiore attenzione le diverse tipologie di violenza digitale di genere)

Non si parla quindi di una nuova forma di violenza, ma della stessa violenza di genere che viviamo costantemente sui nostri corpi di donne e/o di persone LGBITQA+ nella vita offline. Quello che cambia non è la matrice culturale e la natura strutturale, quello che cambia è il modo in cui questa violenza viene perpetrata.

LA TECNOLOGIA NON È NEUTRALE

Per comprendere la natura e la portata del fenomeno della violenza digitale di genere è importante iniziare capendo quali sono gli strumenti che utilizza: computer, smartphone, tablet, smartwatch, etc., ossia attraverso tutte quelle tecnologie che sono, ormai, parte fondamentale della nostra vita.

Alla base di questi strumenti/device c’è il digitale: uno spazio non tangibile in cui viviamo parte della nostra esistenza.

Lo spazio digitale è creato da un insieme categorizzato di dati — gli algoritmi — che hanno il compito di strutturare e indicare il funzionamento delle diverse piattaforme; il tipo di dato che viene acquisito, la modalità e l’intento di tale acquisizione determinano i pilastri su cui poggiano tutte le piattaforme digitali e di conseguenza la società digitale che da queste deriva.

A questo punto viene spontaneo chiedersi da dove vengano le informazioni che alimentano gli algoritmi. Questi non sono dati astratti, ma vengono dalla realtà, dalle vite delle persone, privilegiando i gruppi sociali che queste tecnologie le controllano, composti tendenzialmente da uomini bianchi, eterosessuali, temporaneamente “normodotati”, eterosessuali e abbienti.

Il risultato è la creazione di una società digitale in cui si riproducono e si amplificano le diseguaglianze e le dinamiche di potere che costituiscono la società offline.

La società digitale è diventata, quindi, uno spazio in cui ritroviamo espressi e rappresentati stereotipi di genere, sessualizzazione del corpo delle donne, maschilismo, omofobia, transfobia, abilismo, razzismo ed eteronormatività. In questa società viene riproposta e amplificata anche la violenza di genere, sotto forma di violenza digitale di genere,con tutti gli effetti che questa ha sui corpi e sulle vite delle persone. Questo perché il digitale è reale, il digitale è fisico.

IL DIGITALE HA UN IMPATTO SUI NOSTRI CORPI

L’impatto della violenza digitale di genere su chi la vive è rafforzato da alcune caratteristiche presenti nelle tecnologie digitali: essere istantanee, mobili, pervasive, rendere possibile l’anonimato e la riproduzione costante dei materiali digitali, essere amplificatori di audience.

Proviamo a pensare a queste possibilità espresse all’interno di una relazione violenta o nel caso di diffusione non consensuale di immagini intime.

La mobilità e il sincronismo delle tecnologie digitali permettono al maltrattante di aumentare il controllo sulla donna in modi che prima dell’utilizzo del digitale non erano possibili. La donna potrebbe vivere un senso di onnipresenza del maltrattante all’interno della propria vita, anche quando è fisicamente separata da lui: non esiste nessun limite fisico al controllo.

La replicabilità dei materiali digitali, la pervasività e le infinite possibilità di archivio dei materiali diffusi tramite la rete agiscono, invece, come strumenti per aumentare il senso di isolamento, umiliazione e rivittimizzazione della donna. Un materiale digitale diffuso nella rete arriva a un numero di persone immensamente più ampio rispetto ad una diffusione “analogica”, siano esse persone vicine alla donna o sconosciute alla stessa. Tipologie di violenza digitale di genere come la Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime o il Doxxing, incrementano il loro impatto sulle persone che le vivono proprio a causa dell’impossibilità di bloccare o controllare la diffusione e la riproduzione del materiale caricato sulla rete: non esiste nessun diritto all’oblio.

In questi casi oltre all’impatto a livello personale, si va incontro anche ad un’amplificazione delle conseguenze sulla vita delle persone che hanno vissuto violenza. In una realtà come la nostra, in cui la stigmatizzazione della sessualità delle donne e rivittimizzazione sono atteggiamenti molto radicati: è prassi ancora troppo comune quella di allontanare o “punire” — ad esempio con la perdita del posto di lavoro — le persone che hanno vissuto la diffusione non consensuale di immagini intime, aggiungendo una situazione di instabilità economica a quella emotiva.

Davanti al portato della violenza digitale di genere, la reazione più istintiva, immediata e risolutiva potrebbe sembrare abbandonare il digitale; eliminando i propri account dalle piattaforme di social network, riducendo l’utilizzo dello smartphone o di altri dispositivi. Semplificando: uscire dalla rete.

Sebbene in situazione di emergenza si possa rendere necessario una momentanea riduzione dell’utilizzo del digitale, abbandonarlo totalmente non può essere la risposta. Le donne e le persone LGBITQA+ devono avere la possibilità di vivere con serenità tutti gli spazi della vita sociale, e questo deve includere il digitale e la rete.

Senza contare il pericolo di maggiore isolamento che la donna o la persona LGBITQA+ che vive una situazione di violenza rischia qualora dovesse limitare l’utilizzo del digitale: pensiamo a tutte le possibilità di incontro, avvicinamento ai servizi, informazione e sostegno che la rete offre.

La chiave è quindi nella proposta di una rivoluzione del digitale attraverso l’utilizzo di un’ottica di genere. Questo vuol dire fare spazio all’interno dei database a dati che prendono in considerazione le diverse soggettività che compongono la società, creando piattaforme che non si basino sulla volontà di profitto e che, invece di facilitare la riproduzione delle diseguaglianze, favoriscano realmente la diffusione di nuovi scenari di società possibili.

Nel mentre, nel digitale così come nell’offline, le donne e le persone LGBITQA+ devono imparare a difendersi dalla violenza di genere. Per farlo, è necessario essere consapevoli dei rischi e delle possibilità del digitale, capire le strutture che sottostanno e che dirigono la nostra vita in rete, conoscere le possibilità di difesa legale ( seppur poche al momento) che possono essere strumento di tutela contro le azioni di violenza digitale di genere e, sempre di più , fare rete tra donne e comunità LGBITQA+ perché nel digitale, così come nella vita “analogica” la violenza di genere si sconfigge con la forza della sorellanza.

PER APPROFONDIRE IL TEMA DELLA VIOLENZA DIGITALE DI GENERE E DELLA STRUTTURA SESSISTA DELLA RETE VI CONSIGLIAMO:

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Progetto collaborativo che utilizza strumenti digitali per il contrasto alla violenza di genere. http://chaynitalia.org e https://strumenticontrolaviolenza.org/