THE RUSSEL ROOM @ UEA NORWICH/CREDIT: CHIARA TORREGROSSA 2013

Join the club

salvo fedele
Comunità & Pratica
6 min readMay 2, 2013

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Più che una recensione quella che mi appresto a scrivere è una lunga introduzione finalizzata a spiegare un titolo altrimenti incomprensibile per chi non è addentro alle problematiche legate alla struttura e soprattutto alle finalità di un gruppo di pari, quel che l’autore definisce la social cure.

Join the club non è forse il miglior titolo possibile per spiegare al lettore l’argomento trattato. C’è il rischio infatti che attragga poco le persone cui dovrebbe interessare di più, e tra queste c’è innanzitutto chi ha responsabilità nei progetti di salute pubblica.

Ci sono però molte ragioni per cui possa interessare, non solo medici e operatori sanitari quelli interessati alle problematiche di comunità, ma tutti i medici che hanno interesse per i processi di formazione tra pari e in generale di formazione permanente.

Ci sono molte ragioni per cui dovrebbe interessare chi ha responsabilità organizzative nel campo del sapere e della organizzazione di quelle che ancora oggi si definiscono “società scientifiche”.

In realtà gli argomenti trattati (e “il sentire individuale di questi gruppi di pari”) talvolta vanno un po’ oltre il tradizionale campo di interesse dei medici. A pieno diritto ne fanno parte per esempio i capitoli dedicati alla prevenzione del fumo di sigarette e quello dedicato alla prevenzione dell’obesità, ma che c’entrano i capitoli sul microcredito e quello sulla “mancata attitudine alla matematica”?

Il libro, suddiviso in tanti distinti capitoli, mostra uno per uno come per cambiare le cose su problemi che interessano la “comunità” esiste sempre il grimaldello giusto, la social cure giusta.

Dal confronto con gli interventi tradizionali emerge, capitolo per capitolo, una interessante lettura sulla importanza di non arrendersi mai e di non scambiare le nostre incapacità con l’impossibilità di poter cambiare davvero. Tutto ruota intorno alla necessità di essere animali sociali in grado di… “volere il cambiamento”. Quella cosa che “innanzitutto” non deve farci dire mai queste parole: “non c’è nessuno con cui poter discutere”. Non esiste una vera definizione di social cure, ma per farvi capire di che si tratta e perché vi interessa vorrei dedicare qualche parola all’esempio che mi ha appassionato di più.

The calculus club (cap. 5) è una storia fantastica che ha demolito tutte le “convinzioni scientifiche” sulla mancata attitudine della gente di colore per la matematica. Tutto nasce dall’esperienza che Uri Treisman condusse negli anni ‘70 durante il suo dottorato all’Università di California. Uri voleva capire perché alcuni gruppi etnici avevano risultati migliori rispetto ad altri nei corsi di calcolo. Così la curiosità scientifica di Uri si rivolse ad un certo punto ad analizzare il comportamento fuori dalle aule dei cinesi e degli altri gruppi etnici che mostravano successo e scoprì che il loro modo di comportarsi era centrato sulla social cure. I cinesi socializzavano le loro difficoltà e trovavano soluzioni collettive, al contrario i ragazzi di colore erano portati a chiudersi in se stessi e a considerare le difficoltà incontrate come frutto di debolezze individuali. La soluzione studiata fu una innovazione che sta contagiando tutte le università di matematica del mondo anglosassone: gli studenti di matematica debbono avere a disposizione delle aule studio in cui possano comunicare tra di loro e in cui l’obbligo del silenzio deve essere disatteso. Ho avuto modo di vedere una di queste aule attraverso gli occhi di una delle mie figlie: ragazzi di tutti i colori e di tutte le lingue parlano tra di loro il linguaggio universale e incomprensibile della matematica. Il silenzio delle aule di biblioteca si trasforma in queste aule fatte di pareti di lavagne nerissime in un bisbiglio continuo di comunicazioni personali che ogni tanto viene rotto da vere e proprie urla (soffocate) di gioia che raccolgono l’approvazione (l’applauso) collettivo. Un’atmosfera indescrivibile (e forse incomprensibile) di passione che contamina tutti.

In realtà a ben riflettere quel che ha realizzato Uri è soltanto l’esperienza perduta delle vecchie società, quelle di cui si parla nei libri di storia della scienza. Le società scientifiche si fondavano su un pensiero condiviso: c’è qualche cosa di straordinario nel vivere con intensità il “percorso comune di conoscenze” che caratterizza un gruppo di pari.

Non so da dove cominciare per spiegarmi meglio. Sento di avere bisogno di qualche lettura supplementare. L’accesso alla lettura è ormai un fenomeno di straordinaria complessità/semplicità, somiglia sempre di più a un fenomeno biologico governato dalle leggi della serendipity.

Vi ricordate come si sceglieva un libro o una lettura quando eravamo adolescenti? Adesso in aiuto alla mia “introduzione” ho sotto gli occhi Nature di questa settimana. Per pochi giorni un’offerta sul web permetteva di acquistarlo persino nella versione cartacea e per un intero anno al prezzo di 35 euro! E io non mi sono lasciato sfuggire questa “occasione” di “incontro” con una delle cattedrali moderne della scienza.

“A truly silent environment doesn’t really exist because sounds that are inaudible to humans can usually be heard easily by other species”.

Parole che descrivono meglio di ogni cosa l’aula che ho visitato con gli occhi di mia figlia.

Ecco cosa è un gruppo di pari in grado di mettere a punto una social cure: un particolare agglomerato di umani che si allena ad “ascoltare” leggendo i silenzi, le lavagne bianche e quelle nere, i dubbi dietro gli sguardi o le parole e a legarli insieme in un percorso di conoscenza/cambiamento che chi non ha la fortuna di partecipare non avrà mai la fortuna di “sentire”.

Si racconta che Darwin debba molte sue “intuizioni” alla genialità di nonno Erasmus.

Erasmus Darwin aveva il suo gruppo di pari e il gruppo di Erasmus era fatto di industriali “creativi”, filosofi, inventori, esperti di scienze naturali, ecc. Ognuno ha il gruppo di pari che si merita... Il gruppo di Erasmus si incontrava mensilmente by the light of the full Moon e per questo era conosciuto come the Lunar Society.

Ancora oggi le Society sono fatte di gruppi di pari? Poche, molte poche: ho l’onore di far parte di una di queste “vecchie society”. Un club a dire il vero. Non importa se il livello dei pari è per così dire un pochino più giù di quello della Lunar Society...

Quel che conta è far parte di un processo comune di... comunione del bene più grande... Quale che sia “il sentire individuale” del “bene comune”...

Infine non sottovalutare la ricca bibliografia che trovate alla fine del libro. Buona lettura? Join the club e buon cambiamento.

Ho scritto questo articolo per Ricerca e Pratica 2013 Vol. 29,N. 1 Gennaio-Febbraio doi 10.1707/1227.13605

https://twitter.com/salvo_fedele/status/401626792949063680

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salvo fedele
Comunità & Pratica

pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)