Frequenza Critica racconta: Dead Space — Parte 1

La fantascienza horror secondo EA.

Luca "Jonsy Duke" Polletta
Frequenza Critica
5 min readJul 14, 2021

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Cover di Dead Space

Al giorno d’oggi, se si pensa al genere del survival horror, il primo nome che viene subito alla mente è quello di Resident Evil, la serie che di fatto ne è il maggior esponente e che più di tutte ne ha dettato l’evoluzione. Soprattutto quando, nel 2004, Resident Evil 4 sancì una decisa virata verso uno stile con più azione a base di proiettili e calci in faccia a mostri che non assomigliavano neanche lontanamente al classico zombie. Ma i survival horror classici erano destinati a non finire nel dimenticatoio grazie all’uscita del primo episodio di una nuova saga pronta a competere col mostro sacro di Capcom: Dead Space.

Difficile dimenticare l’esistenza di questa serie, ma non è una cattiva idea farsi un bel ripasso, visto che ormai sono passati oltre otto anni dall’uscita dell’ultimo capitolo. Quindi eccoci qui con il primo di due articoli in cui vi parlerò della serie di Dead Space.

Alieni tutti d‘un pezzo… o quasi

Il primo Dead Space venne pubblicato nel lontano 2008 da EA Redwood Shores sotto etichetta EA e si rivelò unico rispetto agli altri esponenti del genere per via del suo unire il genere fantascentifico a quello horror.

Le (dis)avventure dell’ingegnere minerario Isaac Clarke e dei suoi compagni a bordo dell’astronave “planet cracker” USG Ishimura erano inadatte ai deboli di cuore e palesemente ispirate ai classici cinematografici del genere, in particolare Alien di Ridley Scott e La Cosa di John Carpenter. Dal primo venivano ripresi non solo i classici complotti corporativi, ma anche e soprattutto le atmosfere cupe e claustrofobiche: l’ambientazione era tutta un susseguirsi di sistemi d’illuminazione disattivati o dal funzionamento intermittente, di corridoi angusti e condotti d’aerazione con le grate sfondate. Non meno importanti erano i nemici, che non potevano che ricordare le varie iterazioni del mostro alieno dell’opera cinematografica di Carpenter: i Necromorfi erano esseri spaventosi ma soprattutto raccapriccianti, dotati di svariate appendici taglienti perfette per squartare e maciullare il malcapitato di turno. E un cadavere in più voleva dire un Necromorfo in più, per cui il giocatore non poteva che stare sul chi vive non appena ne avvistava uno in lontananza.

L’interfaccia di Dead Space
Niente pausa mentre controllate l’inventario: guardatevi sempre le spalle.

La creazione della futura Visceral Games era caratterizzata da un approccio molto particolare all’interfaccia: questa era infatti implementata all’interno del gioco stesso tramite l’uso di indicatori sulla tuta spaziale e sulle armi imbracciate da Isaac. Ecco così che i LED posti sulla spina dorsale del protagonista indicavano il livello di salute, mentre un ologramma a cifre digitali trasmesso dal fianco delle armi ci informava sulle munizioni. Il concetto valeva anche per l’inventario e le varie registrazioni audio sparse in giro: ascoltare in tempo reale un file audio o controllare i medikit rimasti comportava il rischio di venire assaliti da qualche mostruosa creatura nel momento di maggiore vulnerabilità. L’ambientazione spaziale permise anche di introdurre intere sezioni a gravità zero: nel vuoto siderale dello spazio i rumori sono quasi impercettibili, dando vita a sezioni in cui guardarsi costantemente le spalle per evitare qualche silenzioso attacco nemico mentre si osserva il contatore dell’ossigeno scendere inesorabilmente verso lo zero.

Essendo un tecnico, Isaac poteva mettere le mani su vari dispositivi per l’uso in attività minerarie da riconvertire in letali strumenti di morte: ecco così che una pistola al plasma invece di tagliare il metallo veniva sfruttata per recidere braccia, gambe o altre appendici dei Necromorfi, mentre una pistola a campo di forza non veniva usata per spostare qualche detrito ma per respingere più nemici in un sol colpo. Oltre ad armi più ordinarie come fucili a impulsi o lanciafiamme, si poteva sfruttare un modulo di stasi in grado di rallentare nemici, proiettili e interi oggetti dello scenario. L’aspetto più importante del gameplay, diventato poi la caratteristica per cui la serie viene ricordata, era tuttavia la possibilità di smembrare i nemici pezzo dopo pezzo. Sparare all’impazzata portava soltanto a sprecare proiettili e a morire prematuramente, mentre per infliggere un reale danno ai Necromorfi bisognava staccare ogni appendice presente sul loro corpo: testa, gambe, tentacoli e qualsiasi altra escrescenza extra. Ma lo “smembramento tattico” non valeva solo per i necromorfi: le morti di Isaac, proprio come nella serie di Resident Evil, erano decisamente varie ma soprattutto sanguinolente e brutali. Un fatto che (almeno all’inizio) non permise al gioco di essere distribuito in diversi paesi.

Un necromorfo di Dead Space
I necromorfi differiscono tra loro per forma e attacchi, ma hanno due cose in comune: l’essere brutti ed affamati di carne umana.

Un universo in espansione

Le novità portate da Dead Space nel genere dei survival horror furono talmente gradite dai giocatori da far raggiungere al gioco oltre un milione di copie vendute e un successo decisamente inaspettato. EA decise perciò di dedicare EA Redwood Studios allo sviluppo di tutti quei giochi dello stesso genere di Dead Space, ribattezzando lo studio con il nome Visceral Games. Fino al 2011, anno dell’uscita di Dead Space 2, EA espanse ulteriormente il franchise con una serie di spin-off: nel 2009 venne pubblicato per la Nintendo Wii Dead Space: Extraction, un rail shooter che fungeva da prequel del primo capitolo e sfruttava la periferica Wii Zapper.

Le possibilità offerte dalla lore vennero sfruttate anche in ambiti diversi da quello videoludico: furono pubblicate infatti intere collane di fumetti che raccontavano vicende antecedenti o contemporanee a quelle mostrate nella serie videoludica o che facevano luce su storia e motivazioni dei tanti personaggi secondari; vennero addirittura realizzati diversi film d’animazione, a riprova di quanto EA avesse deciso di investire sulla sua neonata IP. Ovviamente il successo di questa espansione multimediale fu decisamente altalenante, ma il solo fatto che fu possibile provava il grande potenziale del franchise.

Una scena di Dead Space: Dawnfall
Decisamente non per tutta la famiglia.

Qui si conclude la prima parte della storia di Dead Space. Tranquilli, non dovrete aspettare otto anni per sapere come è andata a finire. Almeno lo spero…

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