La difficoltà dei giochi secondo il Paese del Sol Levante

Luca "Jonsy Duke" Polletta
Frequenza Critica
Published in
9 min readApr 6, 2020

Le rose sono rosse, le viole sono blu, OMAE WA MOU SHINDEIRU.

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Nuovo mese, nuova settimana a tema: l’argomento stavolta sarà il Giappone, un paese che dagli anni ’80 a oggi, nel bene e nel male, ha dato tanto all’industria videoludica. E, come avrete potuto intuire dal titolo, inizieremo dal “male”: la difficoltà come la concepiscono gli sviluppatori giapponesi.

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La reazione del sottoscritto quando viene ammazzato per le prime dieci volte dallo stesso boss in Bloodborne.

Tutti noi videogiocatori, presto o tardi, reagiamo alla stessa maniera di Jonathan Joestar di fronte a un boss o a una situazione particolarmente ostica che richiede numerosi tentativi prima che si riesca a proseguire nel gioco. Nella quasi totalità delle volte ciò è dovuto al fatto che abbiamo deciso di affrontare il gioco alla difficoltà più alta, quindi aumentando il danno infertoci dai nemici mentre le nostre armi gliene provocheranno decisamente di meno. Procedura standard adottata sin dagli anni ’80 dagli sviluppatori occidentali per garantire una sfida più impegnativa ai giocatori più esperti e che, bene o male, a oggi rimane la più usata.

Poi c’è il Giappone: sin dagli anni ’80 questo semplice espediente evidentemente non è bastato a soddisfare la loro voglia di una sfida maggiore. Ed ecco che si prodigano a inventare modi sempre nuovi per mettere alla prova e spingere oltre ogni limite le nostre abilità videoludiche. O farci imprecare e distruggere periferiche elettroniche molto costose secondo un altro punto di vista. Dal canto mio, non so se considerare gli sviluppatori giapponesi incredibilmente geniali e innovativi nelle loro trovate o incredibilmente [inserire epiteto offensivo che più vi aggrada], ma se consideriamo gli ultimi giochi a cui ho giocato la seconda batte decisamente di gran lunga la prima. Una frustrazione tale da far dimenticare l’innegabile qualità di un gioco e definirlo, nel migliore dei casi, “un escremento puzzolente indegno di stare nella nostra libreria”. Sia a causa dell’ampia varietà di genere del mercato nipponico, sia a causa del fatto che per vedere fin dove i nostri simpatici giapponesi si sono spinti bisogna talvolta sviscerare completamente un gioco dedicandogli un’immane quantità di ore, non tutti sono a conoscenza di quali diaboliche sorprese aspettano il giocatore che cerca una sfida più impegnativa del solito.

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Come se in MonsterHunter non ci fossero già abbastanza bestie grosse e cattive, la Capcom se le fa prestare anche da altri franchise.

Tutti ormai conosciamo la serie di Monster Hunter, nata nel 2004 su PS2 e proseguita con numerosi capitoli, soprattutto sulla console portatile Nintendo 3DS fino ad arrivare all’ultimo capitolo multipiattaforma Monster Hunter: World. Un gioco Action RPG dove vestiremo i panni di un cacciatore intento a cacciare fantastiche bestie con lo scopo di ricavarne i materiali per forgiare armi e armature sempre più potenti per affrontare bestie più grosse e cattive. Ed è proprio quel “più grosse” che dovrebbe preoccuparvi: passerete dal cacciare bestie grosse quanto un camion con annesso rimorchio a veri e propri titani che potrebbero far colazione con King Kong, a metà mattinata papparsi un Godzilla a caso e non essere ancora sazi. Quanto alla parte “più cattive”, beh, nonostante le dimensioni le bestie non sono meno agili, ma anzi sono dotate di un repertorio di mosse la cui portata e velocità di esecuzione vi prenderà troppe volte alla sprovvista, causando la caduta di non pochi santi dal paradiso. La difficoltà normale qui non esiste: pensate a Monster Hunter 4 Ultimate, dove nel tutorial si viene messi contro un bestione più grosso di due Megalodonti messi insieme mentre noi, nudi e senza armi, dovremo difendere il mezzo su cui viaggiamo. Nonostante queste premesse, gli sviluppatori hanno trovato il modo di renderci la vita ancora più difficile: più saliremo di rango, più i mostri diventeranno forti, con aumento dei punti vita e nuove mosse in grado di provocarci sempre più danni.

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Affrontate un Kirin arcitemprato e vedremo se vi piaceranno ancora gli unicorni.

Monster Hunter: World, l’ultimo capitolo della serie, non tradisce la serie cui appartiene e ci propone mostri grossi, cattivi e ora con alcune loro versioni dette “arcitemprate”. Tali versioni hanno salute, forza e difesa fuori scala, possiedono attacchi unici in grado di mandarci al campo base in un colpo solo e sono in grado di diventare immuni a paralisi e stordimento se ne abusiamo troppo. Divertimento assicurato. Non per noi, sia chiaro, ma per l’IA. E non finisce qui: in collaborazione con gli sviluppatori di Final Fantasy, nel mondo di Monster Hunter arriva anche il Behemoth. Avete presente? Grosso come un grattacielo, più cattivo di King Ghidorah e anche in questo caso in versione “normale” (per gli standard del gioco, sia chiaro) ed Estrema. Cosa cambia? Un Behemoth in versione arcitemprata, con l’abilità in punto di morte di far cadere una meteora capace di uccidervi in qualsiasi punto della mappa. Meno male che questo era il capitolo sviluppato appositamente per rendere la serie appetibile ai giocatori occidentali. Tu sì che ci capisci, Capcom.

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No grazie, niente lingua al primo appuntamnto.

Dal “più sono grossi, più fanno danno quando attaccano” di Monster Hunter passiamo al “la paura sarà l’ultima cosa che farà 90” di Resident Evil. Troppe volte abbiamo visto lo stesso zombie mangiare più e più volte con gusto la giugulare dei nostri protagonisti nonostante l’avergli scaricato un autotreno di munizioni addosso. Una serie che non lascia spazio ad alcun dubbio sulla propria difficoltà. Alta già di suo, gli sviluppatori ci mostrano la loro inventiva già dal primo capitolo: se sceglieremo Chris anziché Jill, avremo meno slot nell’inventario, qualche arma in meno e un personaggio secondario di troppo da dover sopportare. Non dubito che molti di voi abbiano lasciato Rebecca al suo destino di merenda per un Hunter particolarmente affamato. Ma la genialità (o, meglio, la bastardaggine) degli sviluppatori si vede dal remake di questo primo capitolo: quando uccideremo uno zombi, anziché rimanere steso a terra questo resusciterà più resistente, più forte e in grado di compiere scatti degni di Usain Bolt. Inoltre, in alcune sezioni verremo braccati da uno zombie speciale, Lisa Trevor: non sprecate tempo e munizioni, è immortale ed è in grado di farvi fuori in un paio di colpi. Ma il meglio arriva una volta completato il gioco: dopo aver portato a termine la storia di Chris o Jill, potrete ricomincare il gioco con una modalità chiamata “Uno zombie pericoloso”: ricordate Forest Speyer, il cadavere sul balcone dove prendete il bazooka? Ecco, in questa modalità è uno zombi più che contento di corrervi incontro per avere un vostro assaggio. Ah, dimenticavo: questo zombi avrà con sé parecchie granate attaccate addosso, quindi se proverete a sparargli riuscirete soltanto ad anticipare l’autodistruzione di tutta la baracca di parecchie ore e con essa la vostra dipartita da questa villa di lacrime.

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Sì, lo premo un tasto: quello per spegnere la console.

Ed ecco il vero contributo di Shinji Mikami (il tizio che ha creato Resident Evil, per intenderci) a questo remake: perché uno zombi armato di un quantitativo di esplosivi pari ad una testata nucleare era evidentemente poco, perché gli zombi che resuscitano non erano abbastanza. Ora tutti i nemici saranno invisibili. Ma tanto che importa, non li vedevate comunque grazie al sistema di angolazioni della telecamera fisse, così vi viene risparmiata la fatica di cercare una posizione che li inquadri per bene. Solo questi pazzi giapponesi potevano pensare a una modalità tanto assurda, in grado di battere tutte le trovate citate fin’ora. Altro che non vederci dalla paura, io non vi farei vedere per quanti schiaffi vi darei. Grazie a non so quale divinità, nella serie non è stata più ripetuta una tale assurdità, a tratti eccessiva anche per gli standard orientali. Ma d’altronde c’era da aspettarselo da sviluppatori in grado di pensare a boss che leggono le nostre memory card o cancellano i nostri salvataggi quando il protagonista perde i propri ricordi.

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Da notare che tutto questo accade appena finito il tutoral, prima che cominci il gioco vero e proprio.

Ed eccoci arrivati alla serie che ha causato più danni alle capigliature e ai dispositivi elettronici di migliaia di giocatori occidentali: la serie dei Souls di From Software (Uff, Dark Souls è facile, NdDamaso). La difficoltà di questi giochi è stata tale che negli ultimi dieci anni, se qualche gioco di un qualsiasi genere risultava particolarmente ostico, veniva definito “il dark souls” di quel genere. Una fama guadagnata con tanto impegno dagli sviluppatori, a partire dal tutorial di Demon’s Souls: alla fine del tutorial vi si parerà il primo boss del gioco, un demone obeso con un’ascia più grande di lui in grado di spazzarvi via in un colpo solo. Sopravvivete a questo ciccione e verrete mandati contro il Dio Drago in persona, un drago (mi sembra ovvio) di dimensioni immense che neanche vi farà iniziare lo scontro, ma vi darà direttamente un pugno così forte da farvi fare un volo degno di Tom & Jerry. Ma arrivati a questo punto i nemici di dimensioni fuori scala (o, meglio, fuori pianeta) ormai ce li aspettiamo tranquillamente: la genialata di turno sono i giocatori stessi. Il multiplayer integrato perfettamente nel singleplayer permette ai giocatori di invadere letteralmente il mondo degli altri giocatori come spiriti oscuri con il semplice obiettivo di porre fine alle loro già miserabili esistenze videoludiche. Immaginatevi la scena: giggino_88 sta finendo di esplorare una zona prima di affrontare il boss di turno. Ma all’improvviso arriva xxx_EvilMudkipz_xxx, pronto a fare la pelle al povero giggino_88. Questi, preso dal panico, cerca di scattare verso il boss per non consumare i pochi oggetti curativi rimastigli. Purtroppo il pessimo netcode non gli fa notare che il suo invasore gli è già alle spalle, pronto a infliggergli un fatale colpo alle spalle. Ed ecco che il povero giggino_88 è costretto a ricominciare dall’inizio l’area per andare a riprendere le anime perse nel punto della sua morte, uscire dalla zona per comprare più oggetti curativi e ricominciare di nuovo da inizio area per affrontare il boss.

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Solo in Bloodborne avrete la possibilità di essere picchiati a sangue da un puffo alieno troppo cresciuto.

Nel corso dei vari capitoli della serie, la possibilità di mettere i bastoni fra le ruote ai giocatori da parte degli stessi si è andata ampliando: sempre in Demon’s Souls i giocatori potevano prendere il posto di un boss, provocando non pochi emboli a parecchie persone. In Dark Souls esiste una gilda i cui membri possono “infettare” il mondo di altri giocatori: tali poveri diavoli si ritrovano quindi versioni pompate dei nemici comuni in aggiunta a quelli che ci sono. L’unico modo per poterli eliminare del tutto è trovare il simbolo del responsabile ed evocarlo nel proprio mondo per ucciderlo. L’unico problema riguarda il simbolo, in grado di cambiare posizione dopo un certo periodo di tempo, costringendo a un forsennato setaccio della zona. Dark Souls 2 propone diverse zone dedicate al “player vs player”, dove fino a 3 invasori possono fare la pelle allo stesso malcapitato di turno. Ovviamente dopo le prime settimane l’unico che passerà per queste zone sarà il poveraccio che ha trovato il gioco nel cestone delle offerte e si è convinto a provarlo, non sapendo in quale guaio si stava cacciando. Infine c’è Bloodborne, con i suoi labirinti del calice: intricate zone create tramite generazione procedurale composte da diversi livelli, alla fine dei quali si trova un boss con parametri di forza, salute e difesa determinati da diversi fattori. In parole povere, più andate in profondità e più i nemici saranno ostici. Ovviamente, alla creazione del labirinto potrete fare diverse offerte: potrete scegliere se aumentare la forza dei nemici, il loro numero oppure dimezzare la vostra barra della salute al loro interno. Tutto questo solo nella speranza di trovare le gemme più forti da incastonare nelle proprie armi. Davvero molto divertente attraversare zone piene di nemici che fanno apparire altri nemici in grado di ammazzarvi con un colpo solo, con la possibilità di essere invasi dall’esperto di turno che si diverte ad aspettare un povero cristo davanti la porta del boss per fargli un’imboscata con i fiocchi.

Direi che questi esempi sono più che sufficienti. Poi la gente si chiede perché esistano giochi come Animal Crossing

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