L’assurda normalità di Yuppie Psycho

Il luogo di lavoro come nuova frontiera del terrore.

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica
8 min readDec 18, 2020

--

yuppie-psycho-terrore-brian-pasternack

Per quanto l’essere umano aneli costantemente a emanciparsi da una condizione di subalternità alle leggi della natura, librandosi verso cieli di irriducibile dominio del pensiero, una catena invisibile lo lega alla terra, agli impulsi ancestrali che hanno guidato la sua evoluzione. Stimoli che hanno scandito le coordinate con cui l’uomo ha perseguito la più insostituibile delle proprie pulsioni, l’istinto alla vita; stimoli che, perduta gran parte della propria ferina istintività, sono regrediti a unità vestigiali nell’uomo civilizzato e sono stati adulterati dalle rinnovate condizioni, esigenze e scopi della società del benessere.

Tra di questi, la paura rappresenta un formidabile reperto paleontologico delle radici bestiali della specie umana, i cui riverberi primordiali si rinnovano ancora oggi nell’immaginario dell’orrore, e forniscono gli elementi primi delle modalità con cui esperiamo e procuriamo il terrore. Così, una tenuta immersa nelle tenebre della notte rimanda allo spaesamento dell’uomo primitivo di fronte all’oscurità, nella quale potevano essere in agguato fiere pronte a ghermirlo; allo stesso modo le variegate riformulazioni dell’entità mostruosa che bracca l’uomo altro non sono che proiezioni della sensazione di “essere preda” che in una storia antica abbiamo vissuto.

yuppie-psycho-brian-ansiia-lavoro

Ma, nell’epoca della postmodernità, le immagini prometeiche della paura non potevano che adeguarsi ai nuovi tormenti e ai pericoli, più mentali che fisici, che si riversano nella quotidianità dell’uomo contemporaneo. Per questi motivi si è assistito, a partire dal secolo scorso, allo spostamento del terrore in un campo più mondano, più riconoscibile: decadendo (o, forse, sublimandosi?) in forme più rarefatte, pervasive e indefinite, la paura è divenuta angoscia e abita, adesso, gli interstizi del giorno qualunque, quasi divenendo una condizione esistenziale.

Yuppie Psycho di Baroque Decay — già autori del piccolo cult The count Lucanor — si inserisce perfettamente in questo scenario dell’orrore del nuovo millennio, riciclando alcuni topoi dell’immaginario gotico in un riferimento topografico a noi coevo e foriero di buona parte delle eruzioni emotive dell’uomo dei nostri tempi: il luogo di lavoro.

In un universo narrativo dal retroterra distopico — contrassegnato da una parcellizzazione dei cittadini in classi economiche distinte, ciascuna indicata con una lettera alfabetica — un giovane uomo, Brian Pasternack, giunge alla Capitale, centro nevralgico dello status sociale riconosciuto, in seguito alla ricezione di una missiva che lo informava di essere stato assunto nella più grande delle compagnie esistenti, la Sintracorp. Evento di per sé sorprendente, considerando la casta di appartenenza e il curriculum di studi non di eccellenza. A tutti gli effetti, Yuppie Psycho si svolge nel primo giorno di lavoro di Brian — come ironicamente sottolineato dal “First job survival horror” presente in alcune immagini promozionali del titolo.

yuppie-psycho-kill-the-witch-strega
Non lo scenario più usuale per sottoscrivere il proprio contratto di lavoro. Ma potremo anche decidere di non firmare…

L’intuizione alla base di Yuppie Psycho, come sottolineato dallo stesso narrative director Francisco Calvelo ai microfoni digitali di Ludicamag.com, consiste ne “l’unire il lavoro d’ufficio con elementi horror”. Gli interni della Sintracorp sovente acquisiscono tratti luciferini, i dipendenti si cimentano in azioni ossessive, gli oggetti comuni nell’ambiente d’ufficio si trasfigurano in entità immonde. Non è difficile compiere un balzo interpretativo e rintracciare nelle situazioni paradossali in cui si troverà immischiato Brian una parabola della spersonalizzazione dell’uomo e dell’alienazione del dipendente nel rullo produttivo dell’impresa economica — analogia ancor più valida in ambito videoludico con il famigerato crunch.

Non è insolito imbattersi in visioni aberranti attraverso i dieci piani in cui è ripartito l‘edificio della Sintracorp — divisione strutturale ma altresì socio-economica, giacché a ogni singolo piano d’ascesa corrisponde un relativo incremento del livello retributivo e dirigenziale. Yuppie Psycho riesce a comunicare egregiamente angoscia proprio quando mette in scena le frustrazioni e le “figure” del luogo di lavoro in una versione da incubo allucinatorio. Così i lavoratori del Quarto piano, chiamato Alveare per la laboriosità da api dei suoi componenti, imperterriti digitano davanti ai propri monitor immersi nell’oscurità, mentre un’aria venefica ammorba una parte del piano o i cadaveri di alcuni colleghi colorano di rosso il pavimento alle loro spalle. Oppure quelli del Secondo piano, i novizi, come un nugolo di formiche impazzite vorticano nel buio dei corridoi, perché è loro compito essere sempre in movimento, mostrarsi proattivi per aspirare a una promozione e “chi si ferma è perduto qui”.

yuppie-psycho-secondo-piano-lavoratori-in-ronda
Il Secondo piano, quello della carne da macello della Sintracorp.

Brian, gettato negli uffici maligni della Sintracorp, non può fare a meno, sulle prime, di denunciare ai colleghi le assurdità infernali di cui è stato testimone, ma è proprio la reazione disinteressata e sminuente di quest’ultimi a inoculare in Brian (e nel giocatore) lo straniamento. I lavoratori appaiono accettare con noncuranza gli spaventosi e kafkiani avvenimenti all’interno dell’azienda, e lo stesso Brian, con il tempo, cesserà di porsi domande di fronte alle mostruosità surreali. Come in un organismo putrescente e ormai simulacrale, i dipendenti perseguono nei loro compiti, ormai immagini residuali prive di ogni volontà e assuefatte alla brutalità dell’ambiente che li circonda; così Brian, che poco per volta viene assorbito dall’inconcepibilità dei compiti impartitigli.

La sottomissione dei dipendenti della Sintracorp alle prove diaboliche e ai ritmi senza tregua dei piani di lavoro riflette allora proprio l’assorbimento delle individualità lavorative nella macchina impersonale dell’azienda, che piega le esigenze del singolo alle sue logiche produttive e desensibilizza il senso di comunione.

yuppie-psycho-alveare-buio-torcia
L’Alveare rimane l’unico piano della Sintracorp a svolgere le proprie mansioni, immerso nell’oscurità. Un lavoro senza scopo e senza fine.

Ma Yuppie Psycho ci mette nei panni del parvenu, del nuovo arrivato al cospetto di una realtà ostile e inconcepibile: l’angoscia delle aspettative, l’impeccabilità dei gesti e delle apparenze, la coltivazione degli istituti di comportamento, la sottoposizione a un feudalesimo da colletti bianchi, la necessità di cogliere l’occasione per il riscatto sociale ed economico. Tutto questo, allora, diviene terreno fertile ed eletto per instaurare un procedimento di “orrorificazione” del quotidiano lavorativo, che poi è l’obiettivo di lungo termine dell’opera di Baroque Decay: suscitare inquietudine. Tutti i simboli dell’ufficio subiscono una subversion divenendo o entità ostili da evitare o strumenti con cui avere la meglio. Così se una matita serve per distruggere delle mine organiche o la fotocopiatrice è lo strumento con cui fare una copia dell’anima (salvare i progressi), allo stesso tempo una stampante diventa un essere raccapricciante che pare fuoriuscito dalla matita di Junji Ito.

yuppie-psycho-salvataggi-fotocopiatrice
I salvataggi sono limitati al numero di fogli posseduti, similmente ai nastri di Resident Evil.

Non a caso ho citato uno dei maestri dell’horror nipponico su carta, essendo l’autore di Uzumaki citato da Calvelo, a più riprese, come una delle principali fonti d’ispirazione (insieme a Shintaro Kago), tanto per l’estetica gore di talune creature quanto per l’intrusione della paura nel desueto. Se l’opera è piena di riferimenti ad altri videogiochi e al cinema dell’orrore sia nell’art direction come in certe atmosfere malsane, in realtà è proprio la conflittualità fra le due anime irriducibili di Yuppie Psycho a conferirgli una personalità indiscussa. Da una parte il chara design di matrice giapponese dei personaggi unito a momenti comici e conviviali conferisce una dimensione simile a quella di una visual novel disimpegnata; dall’altra questo candore viene spesso brutalmente interrotto da lampi di violenza e abuso di sangue, e le atmosfere da fumettose lasciano lo spazio a immagini che sembrano fuoriuscire da un incubo lucido di Shin’ya Tsukamoto. Questo cortocircuito è alla base del progetto comunicativo di Baroque Decay (del resto, Deadly Premonition è uno dei principali riferimenti), come testimoniato per giunta dalle musiche di Michael Kelly, capaci di alternare allegri ritornelli che ben si potrebbero inserire in un The Sims, così come sonorità synth pop anni 80 o cacofonie ansiogene.

yuppie-psycho-sangue-e-morte-Lei-strega

Questa poliedricità di Yuppie Psycho si riflette nella capacità di rinnovamento costante dell’opera, pur nella sua non breve durata. Similmente a Horace, indie di cui ho parlato in queste pagine, il videogame degli sviluppatori spagnoli ha il pregio, chimerico in questa industria, di non dare certezze sul cosa attendersi. Tuttavia, laddove le gesta del robottino Horace si caratterizzavano per la spasmodica esuberanza di Paul Helman di modificare continuamente la giocabilità del titolo, Yuppie Psycho si accontenta, su un lato ludico, di focalizzarsi (ma con sorprese!) su variazioni dello stesso tema (hide and seek alla maniera del seminale Silent Hill, altra fonte d’ispirazione principale), preferendo invece profondere tutta la propria verve creativa su un versante immaginifico e situazionale.

yuppie-psycho-suguru-tanaka
Una delle opere di Suguru Tanaka presenti nel videogioco.

Il trait d’union delle anime di Yuppie Psycho rimane il marchio di fabbrica di Baroque Decay (già cimentatasi nella favola a tinte nere con The count Lucanor): la capacità della paura di manifestarsi in forme sempre diverse, in contesti da cui difficilmente sarebbe lecito attendersi di provarne. Se una torcia che taglia l’oscurità, luci intermittenti o gorgoglii sinistri sono espedienti semplici per inquietare, non è da sottovalutare il ricorso a una certa “visionarietà” nel tratteggiare ossessioni o incubi, tanto più vividi e tangibili se espressi nelle forme, apparentemente stringenti, di una pixel art che sa lasciare il segno. Al contempo, gli sviluppatori iberici hanno percorso tutte le strade di loro conoscenza per arrivare all’obiettivo di instillare angoscia nel giocatore, utilizzando anche forme espressive diverse dall’opera interattiva. Durante il videogioco, infatti, sarà possibile rinvenire dei brevi filmati (girati e recitati da attori reali) dal contenuto criptico e disturbante, apparentemente slegati dalla storia narrata. Allo stesso modo, a un certo punto sarà possibile ammirare le reali rappresentazioni artistiche di un’artista giapponese, Suguru Tanaka: opere tanto ammalianti quanto abissali.

Una raccolta di videotape rinvenibili in Yuppie Psycho

Anche nella propria struttura narrativa Yuppie Psycho si presta a una propensione alla variabilità. L’avventura presenta finali multipli e biforcazioni (una delle quali modifica totalmente metà della partita), strade ed esiti scaturenti da aut aut o percorsi opzionali. Ciascun branch non solo contribuisce alla longevità del titolo ma permette di arricchire di ulteriori sfumature le vicende inerenti la storia della Sintracorp e l’oscuro segreto della sua famiglia fondatrice; una fabula che, nella sua semplicità, riesce tuttavia a coinvolgere il giocatore, sia mediante l’assenza di risposte univoche ed esplicite, sia attraverso alcuni segreti (uno particolarmente originale) che aumenteranno i quesiti.

yuppie-psycho-sintra
Sintra è uno dei personaggi centrali di Yuppie Psycho.

Baroque Decay confenziona, pur con i limiti produttivi tipici di un indie game, un’esperienza originale, densa di spunti e variopinta, volenterosa di rappresentare, nell’asfissia di prodotti sempre simili a se stessi, una boccata di aria fresca. Quella che i lavoratori della Sintracorp, da tempo, non possono più respirare, imprigionati fra le spire della Strega. O, forse, della Sintracorp stessa.

--

--

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica

Ci sono poche cose che meritano di esser dette e spesso manca anche la voglia.