Mythic Quest: come fare satira videoludica

Una piccola gemma nascosta nei meandri di una piattaforma oscura.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
6 min readOct 15, 2021

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Il cast di Mythic Quest

Forse pochi se lo ricorderanno, ma qualche anno fa durante la conferenza Ubisoft all’E3 (pace all’anima sua) venne annunciata una serie TV a tema videoludico, che sarebbe arrivata sulla neonata piattaforma di streaming di Apple. Di questa comedy, Mythic Quest, si è parlato molto poco e io stesso me ne sarei completamente dimenticato se non avessi avuto la possibilità di ottenere un anno di abbonamento ad Apple TV+ in seguito all’acquisto in un iPad. A posteriori posso dire che è un peccato, perché si tratta di una piccola perla, un prodotto che incredibilmente riesce a trasudare amore nei confronti dei videogiochi, allontanandosi dal tipico approccio superficiale e stereotipato a cui purtroppo siamo abituati. Se vi interessa il rapporto tra videogiochi e altre forme di intrattenimento potete dare un’occhiata anche a questo pezzo di Alteridan, dedicato al film Extraction.

Mythic Quest è il nome di un MMORPG immaginario, e la serie segue le vicende della software house che si occupa del suo sviluppo. Similmente ad altre comedy moderne, MQ è un prodotto corale, ma tra i vari personaggi a spiccare è soprattutto Ian Grimm (interpretato da Rob McElhenney, che è anche co-creatore della serie), direttore creativo geniale quanto presuntuoso, fino ad arrivare al delirio di onnipotenza. Immaginatelo come un Hideo Kojima molto sopra le righe.

Ad accompagnarlo un cast di personaggi che bene o male ricalcano certi stilemi visti in altre commedie ambientate in un luogo di lavoro, ma adattati al contesto: da Poppy Li, programmatrice australiana dal parlato incomprensibile per i colleghi, si passa al capo della monetizzazione poco interessato al gioco in sé ma sempre alla ricerca di modi per aumentare le entrate (ruolo interpretato alla perfezione da Danny Pudi, l’Abed di Community), fino ad arrivare a C.W. Longbottom, scrittore vincitore del Premio Nebula ossessionato dalle backstory e sempre pronto a raccontare dettagli poco edificanti della sua vita. Da notare anche la presenza di Ashly Burch, celebre non tanto per la sua carriera da attrice, quanto per il doppiaggio di vari personaggi videoludici come Aloy in Horizon e Tiny Tina in Borderlands. Qui è chiamata a interpretare una beta tester maniaca del controllo che cerca di capire se la sua compagna di lavoro prova attrazione per lei; in generale le questioni relative all’universo LGBTQ+ sono affrontate in maniera decisamente più sagace rispetto alla serie Netflix media.

Ian Grimm e C.W. Longbottom in Mythic Quest

MQ ha due anime. In prima battura ci sono le relazioni tra i personaggi primari, che, nonostante il numero ridotto di episodi (venti tra le due stagioni regolari e gli speciali), hanno praticamente tutti il giusto approfondimento psicologico e il tempo necessario per evolvere, senza mai rischiare di trasformarsi in macchiette come succede in tante sitcom di lunga durata… ogni riferimento a The Big Bang Theory è voluto. Certi tratti in apparenza solo caricaturali dei protagonisti in realtà nascondono delle storie sorprendenti e a volte anche toccanti, segno di un livello di scrittura nettamente sopra la media del genere. Molto ruota intorno al complesso rapporto umano e lavorativo tra Ian e Poppy, con la seconda che si sente sottovalutata e vorrebbe avere un ruolo più importante nello sviluppo del gioco, ma le sotto-trame non mancano.

La seconda componente è quella più comica e satirica, che vede la software house affrontare molti dei problemi dell’industria videoludica moderna. In particolare viene dato tantissimo spazio al ruolo degli streamer, e non si può dire che ne escano bene, per quanto non manchino frecciatine anche al modo in cui vengono sfruttati dai publisher; quello di Pootie Shoe è forse uno dei personaggi più odiosi della serie… ma anche in questo caso c’è più di quello che si vede in superficie. Non mancano poi riferimenti al tema del crunch, al ruolo delle donne nell’industria videoludica, alle pratiche di monetizzazione scorrette e pure alla politica — indimenticabile l’episodio in cui un gruppo di troll nazisti tenta di rovinare il gioco agli altri utenti e i protagonisti sono costretti a inventarsi un modo poco ortodosso per fermarli. Sia chiaro, le varie questioni non vengono trattate in maniera troppo approfondita e il tono resta quasi sempre leggero, ma le trame degli episodi non sono buttate lì solo per suscitare una risata; l’intendo di offrire un racconto sensato del medium e di mettere alla berlina certi comportamenti e certe situazioni ricorrenti è evidente dalla prima all’ultima puntata.

Poppy Li in Mythic Quest

Il fatto che MQ stia su Apple TV+ le ha anche permesso di osare a livello di tipologia di episodi. È difficile pensare che un prodotto così breve si possa permettere delle puntate scollegate dal resto, eppure è così. A Dark Quiet Death, quinto episodio della prima stagione, non ha praticamente legami con la storia principale (giusto parte dell’ambientazione), ma questo non gli impedisce di essere uno dei migliori della serie e un piccolo capolavoro di scrittura televisiva. Quella di Doc e Beans e del loro videogioco è la storia di come un prodotto videoludico con una precisa idea dietro possa venire distrutto dal suo stesso successo perdendo totalmente il significato iniziale, ma è pure una bellissima e agrodolce storia d’amore capace di restare impressa nella mente dello spettatore.

Nella seconda stagione si fa il bis con ben due episodi dedicati a C.W. e alla sua vita, incluso uno totalmente ambientato nel passato, che farà letteralmente andare in estasi i nerd della fantascienza per la comparsa di un certo scrittore di genere. Forse due puntate dedicate a un singolo personaggio sono eccessive, ma il tentativo va comunque apprezzato. Probabilmente la seconda delle due, dove la maggior parte del cast non compare, è in parte conseguenza delle difficoltà legate all’attuale situazione pandemica — l’interprete di C.W., il Premio Oscar F. Murray Abraham, ha una certa età e per questioni di sicurezza non è quasi mai stato sul set insieme agli altri attori.

Rachel e Dana in Mythic Quest

Ho particolarmente apprezzato che Mythic Quest abbia integrato nella sua narrazione il COVID, a cui è dedicato un intero episodio speciale girato da remoto, che affronta in maniera semplice ma efficace le conseguenze dell’isolamento e della solitudine. Anche qui gli scrittori hanno fatto un lavoro grandioso, e con loro tutti quelli che hanno lavorato duramente per rendere possibile qualcosa di così complicato a livello logistico, come si può leggere in questo interessante articolo.

Arrivati alla fine di questo articolo, vi farete facendo la domanda delle domande: ma Mythic Quest fa ridere? La riposta è a mio parere positiva, ma l’elemento comico è solo una parte del tutto, per cui non aspettatevi di sbellicarvi tutto il tempo; siamo più nell’ambito della dramedy (odio usare questa parola, ma rende l’idea). D’altro canto ha poco senso dividere tutto in compartimenti stagni, e non è importante trovare una catalogazione precisa quando una serie riesce a essere così dannatamente efficace. Aspetto con ansia l’annuncio della terza stagione; anzi, lo esigo.

PS: se vi piace il genere, siete fanatici di calcio e magari avete fatto l’abbonamento ad Apple TV+ per guardare l’attesissima serie dedicata al Ciclo delle Fondazioni, date una possibilità anche a Ted Lasso, non ve ne pentirete.

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