Open world in due dimensioni

Cosa rende speciali i metroidvania?

Luca “Master Hayabusa” Sapora
Frequenza Critica
8 min readDec 4, 2020

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Non sono molti i giochi che possono fregiarsi di aver fondato un genere, men che meno quelli che hanno il proprio titolo ancora impresso nel nome del genere stesso. Ora potremmo anche stare a discutere di come “metroidvania” sia un’etichetta alquanto discutibile e fondamentalmente inadeguata a descrivere il genere cui si riferisce, ma resta il fatto che sia tuttora comunemente accettata. È utilizzata anche per promuovere commercialmente nuovi giochi, e in fin dei conti fa ciò che deve: far capire rapidamente di che tipo di giochi si stia parlando. Ma di che tipo di giochi si sta parlando, allora? Cosa identifica un metroidvania e, ben più interessante, cosa ne rende uno davvero valido?

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Il contesto videoludico console del 1986 è un contesto acerbo, in buona parte ancora legato alle radici arcade, tanto che anche nei giochi pensati specificatamente per console abbondano punteggi, livelli, vite e tutta una serie di meccaniche e idee di game design nate nelle sale giochi. Sono The Legend of Zelda prima e Metroid poi a popolarizzare una concezione diversa di videogioco, puntando a offrire un’esperienza innanzitutto esplorativa, di navigazione dello spazio, con un mondo di gioco esteso e liberamente percorribile anziché diviso in livelli. Anche se per Metroid la parola “liberamente” non è del tutto appropriata.

Libertà guidata e l’importanza della memoria

Nella prima schermata di Metroid (che potete vedere poco sopra) è racchiusa in piccolo la filosofia di game design che è alla base di ogni metroidvania. Apparentemente il giocatore ha la libertà di scegliere se andare a destra o a sinistra, ma questa libertà è solo un inganno. Se, come da convenzione nei platform a scorrimento, il giocatore scegliesse di procedere verso destra, si troverebbe di fronte a un ostacolo invalicabile: un cunicolo troppo stretto da attraversare. A quel punto, tornando indietro e andando invece verso sinistra, il giocatore si imbatte nel primo celebre potenziamento di Metroid: la morfosfera, che gli consentirà di attraversare il cunicolo e proseguire nel gioco. Questa brevissima e semplice sezione esemplifica perfettamente il loop principale di un metroidvania, fondato sui concetti di esplorazione e progressione.

Il riferimento agli open world nel titolo è effettivamente fuorviante e non poi così corretto, perché il percorso del giocatore in un metroidvania è in realtà prestabilito, più rigidamente in certi titoli (Metroid Fusion), meno in altri (Hollow Knight). Eppure nei migliori esponenti la sensazione restituita al giocatore è proprio quella di star esplorando liberamente, costruendo il proprio percorso in quello che è percepito come un vero e proprio mondo e non una mera sequenza di livelli.

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Diventa chiaro quindi che il primo tassello di ogni grande esponente del genere è la costruzione di un mondo di gioco coeso, ricco e interessante da esplorare. Questo aspetto si estende sia al design da un punto di vista funzionale (ad esempio i premi ottenuti esplorando, come armi e potenziamenti), sia alla caratterizzazione estetica delle aree del gioco. Esplorare un mondo composto da aree blande e scarsamente distinte tra loro (come può essere quello di un Chasm, un metroidvania a generazione procedurale) finisce presto con il dare al tutto una sensazione di artificiosità, sopprimendo così quel senso di meraviglia e di scoperta che è il cuore pulsante del genere.

Se penso invece a Castlevania: Symphony of the Night e al Castello di Dracula mi tornano immediatamente alla memoria l’imponente e maestosa scalinata della cappella reale, gli ingranaggi della torre dell’orologio e gli oscuri cunicoli delle caverne sotterranee. Se invece penso al regno di Nidosacro non posso che tornare alla confortevole calma di Pulveria, alle vetrate colpite dalla pioggia nella malinconica Città delle Lacrime, o alle inquietanti profondità di Nidoscuro. Non va neanche sottovalutato il ruolo della musica: i lavori di Michiru Yamane in Symphony of the Night, Gareth Coker nei due Ori e Christopher Larkin in Hollow Knight contribuiscono con i loro stili peculiari a caratterizzare il mood e l’atmosfera di ogni area, dandole una personalità unica e distinta.

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L’esplorazione del mondo di gioco va inoltre stimolata e resa significativa attraverso una strutturazione della mappa intelligente, che minimizzi il backtracking rendendo la navigazione il più scorrevole possibile, oltre che tramite una buona quantità di “cose” di valore da trovare. In quest’ultimo aspetto ho sempre trovato l’approccio di Metroid non impeccabile: tralasciando le statue Chozo con i relativi poteri, la stragrande maggioranza dei potenziamenti rinvenibili nei cunicoli di Zebes o di SR388 sono meramente quantitativi, piccoli aumenti del numero di missili o di bombe a disposizione, neanche così necessari da un certo punto in poi considerando la difficoltà non certo proibitiva della saga Nintendo. L’approccio di giochi come Castlevania: Symphony of the Night e Hollow Knight invece, pur con le rispettive magagne (pezzi di equipaggiamento scadenti o reliquie da vendere in cambio di Geo superflui), è quello di dare al giocatore mezzi che consentano di variegare e personalizzare lo stile di gioco, cosa che personalmente trovo decisamente più stimolante.

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Torniamo ora all’esempio descritto sopra: la prima schermata del primo Metroid, che in fin dei conti altro non è se non un tutorial mascherato, in cui il giocatore è confinato in un’area molto piccola e non ha reale possibilità di perdersi e non capire come avanzare. Va da sé che quanto più il mondo si apre e quanto più viene lasciata al giocatore libertà di esplorare, tanto più potrà essere il tempo che passa da quando questi incontra l’ostacolo a quando sblocca l’abilità necessaria a superarlo; sarà quindi importante far sì che non dimentichi i posti in cui è fondamentale che torni, per evitare uno spiacevole senso di spaesamento. Lo spaesamento in fondo è una parte importante di ogni esperienza esplorativa, ma va modulato: in linea teorica allo sblocco di un nuovo potenziamento al giocatore dovrebbero tornare in mente gli ostacoli precedentemente insuperabili che ora vengono ricontestualizzati dalla nuova abilità, un’improvvisa epifania che dà vita a un senso di anticipazione per cosa effettivamente si troverà al di là dell’ostacolo.

Per ottenere questo effetto è importante non solo costruire una mappa interconnessa con collegamenti che riportino il giocatore ai punti chiave, ma anche rendere tali punti chiave memorabili. Se l’ostacolo cruciale al proseguimento incontrato diverse ore prima è in una stanza come tante altre, sarà facile dimenticarsene e provare un senso di frustrazione nel non sapere come proseguire. Un esempio virtuoso è quindi il faccione che potete vedere qui sopra, l’entrata della tana di Kraid, posta troppo in alto per essere raggiunta con un normale salto. Un punto di riferimento chiaramente riconoscibile e memorabile, che molto probabilmente tornerà in mente al giocatore appena trovata l’abilità del salto alto.

Crescita costante

L’altro aspetto fondamentale in un metroidvania è il senso di progressione e di crescita. Anche qui viene in nostro aiuto la saga di Metroid, nello specifico Metroid: Zero Mission, che nelle fasi finali racchiude in poche brevi sezioni i concept centrali di questo tema. Dopo lo scontro con Mother Brain infatti il giocatore viene momentaneamente privato della tuta e di tutti i potenziamenti acquisiti, costretto quindi a nascondersi e a fuggire dai nemici, in uno stato di totale disempowerment. Il recupero della tuta e lo sblocco con essa non solo di tutte le abilità precedenti ma anche di ben tre nuovi poteri contemporaneamente dà quindi un’enorme scarica di adrenalina al giocatore, frutto della compressione in un brevissimo lasso di tempo di un processo di crescita che solitamente copre un intero gioco.

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In effetti, la differenza tra le possibilità a disposizione del giocatore all’inizio e alla fine di un metroidvania è spesso abissale. In Shadow Complex, ad esempio, si inizia l’avventura nei panni di un uomo qualunque dotato solo di torcia e zaino, e si finisce con il controllare un soldato superaccessoriato capace di attraversare un lago correndo sulla superficie dell’acqua. Ma anche in Ori and the Will of the Wisps il platforming fluido ma basilare delle fasi iniziali lascia sempre più spazio all’abilità e all’espressività del giocatore, donandogli strumenti che consentono anche di attraversare intere ambientazioni senza mai toccare terra.

Questione di movimento

Il backtracking è un elemento intrinseco e quasi inevitabile del genere, che può essere più o meno pronunciato ma è difficilmente eliminabile, se non proponendo un’esperienza fondamentalmente lineare, che va però a perdere molto di quello che contraddistingue un metroidvania. La già sottolineata cura della struttura della mappa e la spesso utilizzata scappatoia dei punti di viaggio rapido possono minimizzare il problema, ma non sempre è sufficiente, a maggior ragione quando il mondo di gioco è particolarmente esteso.

L’ultimo ingrediente per un grande metroidvania è quindi il movimento: è importante che anche il semplice atto di spostarsi per le aree del gioco sia piacevole di per sé. Qui la star non può che essere il già citato Ori, impareggiabile per la qualità delle sue meccaniche platform fluide e precise quanto quelle di molti platform puri, che rendono lo sfrecciare in velocità per il mondo di gioco una vera goduria, tagliando praticamente del tutto i tempi morti.

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Ovviamente c’è e ci può essere molto altro in un metroidvania: c’è chi mette al centro i combattimenti contro un set di nemici e boss particolarmente esteso e curato, come Hollow Knight; c’è chi invece pone l’enfasi su fughe al cardiopalma e setpiece, come gli Ori; c’è infine chi punta tutto su concept di gioco originali e alternativi, come il simpaticissimo Yoku’s Island Express, che mescola la formula metroidvania con meccaniche da flipper.

Per come la vedo io però gli ingredienti fondamentali sono questi: la costruzione di un mondo di gioco che appaia vivo e affascinante, capace di stimolare l’esplorazione tramite una struttura interconnessa e una disposizione intelligente di potenziamenti interessanti che diano un reale senso di progressione e crescita, il tutto minimizzando i momenti morti grazie a sistemi di movimento fluidi e curati. Facile, no?

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