Ori and the Will of the Wisps: è amore

Sforzarsi di piacere a tutti, proprio tutti, anche se non ce n’è bisogno.

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
9 min readMar 20, 2020

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C’era una volta un piccolo metroidvania d’umili origini, uscito un po’ dal nulla. Sarebbe stato un progetto minore, gli dissero, uno di quei titoli indipendenti da corredare ai pezzi grossi della console Microsoft, per dare un tocco underground all'offerta. Si sentiva a disagio, vicino a certi colossi famosi e acclamati da tutti, avvezzi al successo e ai riflettori. Ma si fece coraggio, un passo dopo l’altro si avviò sul palco, il cuore che batteva. E, pur credendo in se stesso, accadde qualcosa che non si aspettava, non con tale forza: applausi, così tanti da risultare assordanti. Tutti lo adoravano, gli facevano i complimenti, volevano giocare con lui, addirittura il migliore del suo genere, lo definirono! Era la star del momento, il metro di paragone per i prossimi arrivi, ed era davvero difficile tenergli testa. Era felice.

Ma non poteva durare per sempre. Un giorno, ecco che in classe giunse un nuovo ragazzo, proclamatosi Cavaliere, e già si capiva che puntava in alto. Mostrò a tutti i suoi numeri migliori: più strumenti, una mappa più grande, più segreti, più finali… tutti si accalcavano attorno a lui, per rincorrere il nuovo fenomeno e le sue meraviglie. Nessuno giocava più col piccolo metroidvania, non era più il miglior amico di tutti, non si seguiva più il suo esempio. Non capì bene perché, ma tutto sembrò farsi più scuro e freddo, solo, in un angolo.

Ma non si arrese. Voleva nuovamente degli amici, aveva bisogno di sentirsi amato. Prese a fabbricarsi nuovi strumenti, allargò le sue possibilità. Ma non bastava. Cercò di ricordare le critiche che gli fecero alcuni, i più antipatici o ottusi, provò a replicare i gadget più sfavillanti del Cavaliere. Doveva conquistarli tutti! Finalmente, col suo nuovo look, saltò in piedi sul banco attirando l’attenzione e…

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Clap clap clap.

Concedetemi l’introduzione fantasiosa, ma d'altronde sono qui a scrivere di Ori and the Will of the Wisps e, come saprete grazie al suo predecessore che non necessita presentazioni, sto quindi scrivendo di una fiaba. Un racconto di fascino, meraviglia, ma anche di momenti cupi e pugni nello stomaco. Una storia di amicizia e dolore, di paura del diverso e compassione, dove luci e ombre recitano la loro classica parte ma ponendoci di fronte anche alla sfortuna dei poveri attori costretti, non per loro scelta, nei ruoli più ingiusti. Ori è una vera favola, anche nel senso che… beh, wow!

Mamma, ho rotto il tasto F12

Il primo modo cui ricorre per comunicare con noi è l’impressionante impianto visivo. Una gioia per gli occhi, che cattura e trasporta in un mondo di splendore e fantasia, perfettamente adatto a trascinarci e farci tornare un po’ bambini. Un universo colorato, ricco, diversificato, sempre attento a costruire scorci dove sostare e tirare un sospiro, per poi consumare il pulsante degli screenshot. Assolutamente d’impatto anche come la caratterizzazione estetica, unita al buon sonoro, ci narra gli eventi: rendendoci partecipi della tristezza di Ku, incapace di volare assieme agli altri uccelli, in una malinconica inquadratura sulle sponde di un lago al tramonto, oppure lasciando tutto alla nostra osservazione, come quando entriamo a Legnomarcio e con sorpresa e un po’ di disgusto notiamo che stiamo camminando su un grande ammasso putrescente d’insetti morti, e vale più di mille parole.

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Ogni area è assolutamente distinguibile dalle altre, come i coloratissimi Laghi di Luma.

Da grande voglio fare il platform

Ma fin da Ori and the Blind Forest, i Moon Studios non si sono affatto accontentati di consegnare un gioco tutto presentazione e poca sostanza, e il recente seguito mantiene questa filosofia. Siamo nel campo dei metroidvania, e quindi non mancano i tratti distintivi del genere, come un’intricata mappa 2D che connette ogni area senza soluzione di continuità, diversi percorsi teoricamente aperti ma inaccessibili finché non si trova lo strumento adatto, dove le chiavi di queste “porte” sono le classiche capacità da raccogliere lungo l’avventura per ampliare il parco mosse del nostro avatar, e che periodicamente andranno sfruttate per il recupero di oggetti e potenziamenti precedentemente tralasciati di malavoglia, chiamando quindi un po’ di sano backtracking per riscattare la soddisfazione mancata con gli interessi. Una formula base di questo tipo lascia molta libertà su come rifinirne le componenti e integrarne di ulteriori, per comporre quel che sarà il carattere del gioco. C’è chi si butta su combattimenti curati, ispirati agli stylish action in Dust: An Elysian Tail o agli scontri più studiati dei Souls in Hollow Knight, chi cerca l’omaggio ai vecchi Metroid come Axiom Verge, chi sviluppa a dismisura l’interconnessione tra aree e la navigazione come Shadow Complex, o chi sfida continuamente con l’esplorazione dell’ignoto — di nuovo quel bullo di Hollow Knight.

Nel caso di Ori, il cavallo di battaglia è il platforming, e diamine quanto è buono. Uno dei migliori sulla piazza, anche comprendendo titoli che fanno solo quello di mestiere. La sua forza deriva da un’implementazione pulitissima e responsiva, un level design curato e stimolante, e un parco mosse variegato. In particolare amo tremendamente il Bash, un colpo che il piccolo spirito può infliggere a nemici, proiettili o appigli predisposti, per darsi uno slancio in qualsiasi direzione. Ciò va a creare stupendi giochi di rimbalzi e sincronia, superando i percorsi più intricati o creandosene di nuovi. Non solo: l’oggetto colpito viene sbalzato nella direzione opposta, permettendo di scagliare nemici su superfici letali, rispedire colpi al mittente, o deviarli per abbattere una parete che ci blocca la via.

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Si può anche planare dolcemente con una piuma, ma la maggior parte del tempo lo si passa schizzando fulminei da un appiglio all'altro.

Ma oltre a questo, il gioco propone una pletora di altre abilità di spostamento, tra doppio e triplo salto, rampino, scatto, scatto sotterraneo, scatto all'uscita dall'acqua. Azioni apparentemente fin troppo simili, e un po’ lo sono, ma in realtà ognuna ha regole d’uso e cooldown ben precise che gli autori non mancano di valorizzare in percorsi che ci costringono a dosare e alternare con cura ogni opzione, in bellissime sequenze senza mai toccare terra che ai primi tentativi vi faranno incrociare le dita sul pad.

Il risultato è un platform con forte enfasi su fluidità, velocità e pochi tempi morti, rispettando la ricetta usata anche da Rayman Legends, ma in versione ancora più tecnica grazie al moveset esteso. L’esplosione finale di tutto ciò sta nelle sezioni di fuga del gioco, con una minaccia alle calcagna, in cui dare fondo a riflessi e precisione, e dove i Moon Studios mostrano tutto il loro estro nel comporre sequenze ben inanellate e con una regia al cardiopalma. Tutto ciò rende Ori il metroidvania con il gameplay momento per momento migliore che mi venga in mente, composto di ottime meccaniche base, level design di qualità costante, e pure la capacità di mantenersi fresco per tutta la partita, evolvendosi di area in area in base al nuovo potere appena acquisito e alle peculiarità locali dell’ambiente.

Ho già tanto, ma voglio di più

Qui Will of the Wisps poteva già tornare a sedersi con un ottimo voto, come fu per The Blind Forest, e invece ha voluto strafare. A tutto ciò va aggiunto un sistema di combattimento totalmente rivisto e approfondito, una vera parte di gameplay e non più un blando riempitivo button smasher. Tre tasti sono liberamente assegnabili a una qualsiasi delle abilità offensive a disposizione, componendo il setup a noi più congeniale. Potremmo sfruttare ad esempio il classico attacco leggero su X e colpo pensate su Y, con una vampata di fuoco su B per crearci spazio quando circondati, o scegliere tutt'altro. Ma ulteriore personalizzazione deriva dai frammenti dello spirito, modificatori da scovare e attivare in numero limitato, andando a influenzare le armi e le prestazioni nostre o nemiche. La libertà non è immensa, ma comunque non ridotta e sicuramente gradita.

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Equipaggiate l’arco spirituale e i bonus per tiro rapido, colpi multipli, colpi a catena, e percentuale di colpo critico aumentata: sarete una mitragliatrice mortale.

Il risultato finale è assolutamente gradevole e riuscito, valorizzato da nemici all'altezza e diversificati. In particolare fanno capolino anche vere e proprie boss fight, in più casi davvero ottime, in quanto offrono pattern non complessi ma nemmeno banali, forte presenza scenica e spingono a sfruttare tutte la capacità ottenute, facendo da ottimo sunto e prova finale alla zona cui sono a guardia. C’è qualche problema di bilanciamento, la lancia spirituale ad esempio fa danni assurdi dalla distanza trivializzando ogni sfida se abusata, ma si può chiudere un occhio.

Altra novità sono la presenza di un hub centrale in evoluzione e di varie sub-quest assegnateci dagli NPC. L’implementazione è piuttosto semplice, quasi sempre i compiti si risolvono lungo la normale esplorazione incappando in oggetti nascosti o raggiungendo il destinatario di una consegna, ma svolgono a dovere il loro ruolo: il mondo risulta più vivo e ricco d’obiettivi, fornendo, assieme alla raccolta dei frammenti dello spirito, ragioni aggiuntive per cercare i segreti sparsi, aggirando la sensazione di futilità del backtracking quando la ricompensa è sempre l’ennesimo potenziamento ai punti vita (non rara nel genere).

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Il gran numero di modificatori per personalizzare capacità di combattimento, difficoltà, e anche abilitare nuove mosse utili all'esplorazione.

“Ori, stai copiando?” “Chi? Io!? No no…”

Non so se per complesso d’inferiorità, genuina ammirazione, o rincorsa al guadagno, ma Ori ha anche fatto un po’ il furbo. Hollow Knight, lo sapete, è stata una bomba nel mondo degli indie e della scena metroidvania in particolare, un successo di tendenza impossibile da ignorare. I Moon Studios quindi non sono voluti restare indietro, prendendo in prestito al Team Cherry diverse idee: la “build” personalizzabile coi frammenti/amuleti, il mondo popolato da NPC e missioni, il cartografo che ci vende la mappa dell’area… Tutti elementi che arricchiscono positivamente il gioco, anche se scatenano una reazione non molto piacevole: quando la fonte d’ispirazione è così vicina e palese, il paragone sorge spontaneo, e nello scontro diretto l’implementazione di Ori è un’ombra dell’originale. Non che sia un vero problema, dato che il piatto forte sta altrove.

Lo spiritello ha anche rincorso con forza i feedback degli utenti, tutti, come le lamentele per un combat system embrionale, l’assenza di boss fight e una difficoltà non scontata. E, in antitesi col souls-like 2D, s’è proprio impegnato per evitare ogni frustrazione: la curva d’apprendimento parte bassissima e prosegue a dir poco dolcemente, in modo da permettere a tutti di prendere dimestichezza col gioco. Anche un po’ troppo, dato che l’inizio è così tranquillo da risultare un po’ piatto, facendomi correre un brivido di preoccupazione lungo la schiena. E una cosa come il primo “boss”, dotato di un solo attacco e che prevede di rifugiarci in un angolo dove non può colpirci, aspettare si avvicini, menarlo fino a che non si allontana e ripetere non è una sezione facile nel modo giusto. Per fortuna la situazione migliora in fretta e i contenuti sono così piacevoli da convincere nonostante tutto, ma avrei decisamente preferito un impegno richiesto maggiore, così da dare più enfasi ai momenti clou. La sfida e la complessità sono comunque in costante aumento lungo la partita, arrivando a livelli memorabili avvicinandosi alla sua conclusione, dopo più che rispettabili quindici o venti ore per spazzolare a dovere ogni angolo della mappa.

Personalmente, l’unica cosa che mi fa storcere il naso di Will of the Wisps, senza nemmeno essere un vero difetto, è proprio quest’impressione che abbia cercato in maniera quasi spasmodica di accontentare tutti, una rincorsa all'apprezzamento e all'ampliamento del target. Che ha portato a una crescita positiva in certi casi, meno in altri, e me lo fa percepire anche come un po’ “venduto”, come se di tanto in tanto avesse messo da parte la sua idea di gioco per portare avanti quella altrui. O forse l’unica cosa tradita è la mia personalissima immagine di cos'è Ori e potrei starmene zitto, dato che a farsi nuovamente acclamare dal mondo intero c’è riuscito eccome, pure dai giocatori più smaliziati.

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Le poche critiche vengono facilmente dimenticate di fronte alle scene più commoventi e malinconiche.

Tirando le somme, quest’Ori and the Will of the Wisps è un vero gioiello: incantevole nel comparto audio-visivo, capace di colpire durissimo il vostro burbero cuore, accompagnato da un gameplay certosino e mai stancante, e le innumerevoli piccole attività come scovare l’ultimo segreto di un’area, aiutare un simpatico Moki a trovare un cappello, o coltivare le piante che permettono di raggiungere un punto isolato dell’hub, sono il tocco finale per elevarlo allo status di gioco-droga che vi farà pronunciare fin troppe volte consecutive il classico “ancora cinque minuti, dai”. Manca dell’effetto sorpresa e della carica innovativa di The Blind Forest, ma conserva e innalza quell'originalità nell'alchimia generale e in mosse come il Bash che ancora non è stata replicata da altri.

È riuscito a spodestare quel sbruffoncello esibizionista di Hollow Knight? Dalle nostre parti ci stiamo già scannando su Discord da un po’ a riguardo.

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Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.