Spyro: Reignited Trilogy, una libellula per amica

Imparare a volare no, eh?

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
7 min readNov 4, 2019

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La mia memoria è un po’ strana: sono capace di ricordarmi una frase che qualcuno mi ha detto 20 anni fa nei minimi dettagli, ma allo stesso tempo non ho idea di quello che ho mangiato ieri. Eppure quello che difficilmente dimentico sono le sensazioni che certi eventi mi hanno fatto provare. Quando, dopo un paio di decenni, mi sono ritrovato nel Mondo degli Artigiani di Spyro: Reignited Trilogy la sensazione che ho provato è stata quella di familiarità, come se non fossi mai andato via. E poi la stessa nostalgia che irrimediabilmente sento ogni volta che sento una vecchia canzone degli 883.

Ok, forse non siamo al livello di una canzone degli 883.

Spyro: Reignited Trilogy è il remake della trilogia originale realizzata da Insomniac Games su PlayStation 1, molto prima che si dedicassero a open world supereroistici tutt’altro che indimenticabili. Lo sviluppatore originale non ha però avuto un ruolo nello sviluppo di questo prodotto, affidato da Activision ai ragazzi di Toys for Bob, che tra le altre cose si sono in precedenza dedicati a una più divisiva iterazione del draghetto viola, Skylanders.

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I tre capitoli di questo remake si prestano molto bene a una trattazione unitaria, viste le grandi similitudini degli originali, dovute probabilmente al fatto che sono stati sviluppati in una finestra temporale molto ristretta (uno all’anno). In questo senso, Spyro the Dragon è l’archetipo, su cui successivamente sono stati innestati ulteriori elementi di gameplay.

Scopo del gioco è quello di esplorare livelli lineari (ma con diversi segreti da scoprire) facendo fuori nemici, raccogliendo gemme, liberando i draghi dalle loro prigioni di cristallo e recuperando uova da dei maledetti ladri, che corrono in giro a grande velocità. Ci si muove da un’ambientazione all’altra attraverso dei portali posizionati in una sorta di hub. Terminate tutte le missioni di un hub, si affronta un boss e si passa all’hub successivo. L’avanzamento è basato su pochi e semplici comandi: c’è il salto con relativa planata, la fiammata, la carica, le rotolate a destra e sinistra (praticamente inutili) e poco altro. Non posso ovviamente non citare il nostro fido compagno di viaggio, Sparx, che ci aiuta a recuperare le gemme e il cui colore indica il livello di vita di Spyro, da rimpinguare facendo fuori alcune innocue creature sparse per la varie zone. A spezzare parzialmente questa routine ci sono i circuiti, livelli che il nostro drago preferito, improvvisamente capace di volare, deve ripulire entro un tempo limite.

Questa semplicità può essere straniante per un giocatore attuale, ma non la vedo assolutamente come difetto, anche perché sono giochi pensati per un pubblico abbastanza giovane e adatti a partite veloci; i singoli livelli possono essere completati in 15–30 minuti al massimo, a seconda di quanto il giocatore sia maniaco di completismo. Questo non vuol dire che non capiti il classico “ancora una missione e vado a dormire”, chiaro.

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I due seguiti aggiungono allo scheletro appena descritto ulteriori componenti. In primo luogo, mentre Spyro The Dragon non ha praticamente trama (un filmato iniziale, uno finale e basta), Insomniac ha successivamente tentato di ampliare questo aspetto aggiungendo personaggi secondari, cattivi con un minimo di caratterizzazione e simpatici siparietti comici prima e dopo i livelli. Si rimane sempre su livelli molto basici, ma i passi in avanti sono comunque apprezzabili. Anche a livello di gameplay non sono mancate le aggiunte: minigiochi come lo skate o l’hockey, attività secondarie per completare al 100% i livelli, miniboss, veicoli, abilità sbloccabili utilizzando le gemme che permettono di esplorare nuove zone delle mappe già visitate (un po’ in stile metroidvania), e persino altri personaggi giocabili.

La costante dei tre capitoli è senza dubbio la varietà. Ogni livello è esteticamente molto diverso dagli altri, è presidiato di nemici a tema e pone sfide differenziate. Sicuramente il giocatore più navigato noterà che in molti casi le differenze sono abbastanza superficiali, ma non si ha mai l’impressione di ripetere sempre le stesse cose. Il livello di difficoltà è in generale abbordabile, ma non mancano, soprattutto nel primo episodio, aree nascoste che richiedono spirito di osservazione e abilità per essere raggiunte (qualcuno ha detto Cime Alberate?). Insomma, durante le circa trenta ora necessarie per completare i tre giochi, non ho mai percepito lo spettro della noia.

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Fino a ora mi sono limitato a parlare di quello che c’era già vent’anni fa, ma c’è qualcosa da dire anche sul remake in sé.

Per fortuna i ragazzi di Toys for Bob non si sono limitati a ricoprire un gioco vecchio con una patina moderna, magari buttandoci dentro le parole 4K e 60 fps che tanto vanno di moda ultimamente. L’intero gioco è infatti stato ricreato praticamente da zero usando l’Unreal Engine, senza neanche avere a disposizione parti del codice originale. Il risultato è un lavoro estremamente rispettoso nei confronti della sorgente originale, ma allo stesso tempo capace di ampliarla dal punto di vista non solo tecnico, ma anche e soprattutto artistico. Del resto non si vive solo di texture, poligoni ed effetti grafici (che pure non mancano).

Prendiamo ad esempio i draghi del primo episodio. Nel gioco del 1998 erano molto simili tra loro, a parte qualche differenza di colore e di forma del modello. Niente a che vedere con quello che ci troviamo davanti oggi: ogni lucertolone è esteticamente molto diverso, dotato di animazioni, vestiti e gadget specifici, solitamente in tema con l’ambientazione dove lo incontriamo. Oppure c’è Sparx, che non è più uno stecchetto giallo con occhi e ali, ma una vera libellula, per quanto ovviamente stilizzata. Il lavoro fatto sulle animazioni di Spyro non è da meno: il suo incedere è molto più naturale ed elegante, il suo viso estremamente espressivo. Potrei andare avanti all’infinito, parlando dei numerosi dettagli aggiunti alle ambientazioni, del nuovo design di amici e avversari o della colonna sonora rimasterizzata, ma penso sia più efficace lasciarvi l’ottima analisi realizzata da Digital Foundry.

Anche a livello di gameplay ci sono dei piccoli cambiamenti e delle aggiunte rispetto agli originali. Per esempio i punti abilità, sfide secondarie che permettono di ottenere vite supplementari, sono stati inseriti anche nel primo episodio, nel quale erano originariamente assenti. C’è anche una comoda funzione di viaggio rapido, che permette di muoversi tra i livelli senza dover passare per gli hub. Infine, è stata introdotta dall’inizio la possibilità di usare Sparx per indicare dove si trovino le gemme più vicine.

Su quest’ultimo aspetto vorrei aprire una piccola parentesi. Qualcuno ha affermato che si tratta di una semplificazione eccessiva e gratuita, dovuta al fatto che i videogiocatori odierni sono pappemolli e devono per questo motivo essere aiutati. Mi trovo completamente in disaccordo con queste affermazioni. In primo luogo perché si tratta di una funzione che non è stata pensata da zero, ma era già presente nel secondo e nel terzo capitolo originali, seppure in maniera più limitata. In secondo luogo, non è vero che elimina completamente la sfida, dato che molto spesso sapere dove si trovano le gemme non vuol dire automaticamente riuscire ad arrivarci (avete giocato Cime Alberate?); non vedo né sfida né divertimento nel girare decine di volte per un livello per trovare quella dannata ultima gemma che magari non è stata raccolta anche se le siamo passati vicini un paio di volte (e vi assicuro che succede).

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Insomma parliamo del remake perfetto? Purtroppo no.

In prima battuta devo segnalare di aver incontrato un po’ di bug, come personaggi immobili o compenetrazioni nella ambientazioni. Niente di epocale, sia chiaro, ma mi è capitato di dover iniziare da capo alcuni livelli per poter andare avanti. Niente da dire riguardo all’ottimizzazione: il gioco su un PC di buon livello gira sempre ben oltre i 60 fps e non ho riscontrato crash o caricamenti troppo lunghi. Trovo incredibile come con l’Unreal Engine si possano realizzare allo stesso tempo giochi come questo e mezzi disastri tecnici in stile Borderlands 3.

La questione è ben più seria parlando di telecamera e comandi. La prima è infatti troppo ravvicinata, troppo lenta e spesso non riesce a seguire bene l’azione, in particolare quando si svolta mentre si usa la carica. Va ancora peggio durante gli scontri coi boss, dove si passa da un estremo all’altro: a volte rimangono perennemente fuori dall’inquadratura, rendendo difficile evitare i loro colpi, mentre altre volte la telecamera inquadra solo e soltanto loro e non si riesce a vedere tutto il resto. Cambia davvero poco passando dalla telecamera attiva a quella passiva. Per quanto riguarda i comandi, in generale sono ben pensati e reattivi, ma non mancano ambiti in cui risultano davvero scomodi da utilizzare, come nel caso del nuoto e, in misura minore, del volo. Non mi hanno entusiasmato neanche i controlli quando si utilizzano altri personaggi in Year of the Dragon. Avreste mai pensato di trovare un twin stick shooter quasi ingiocabile col pad? Beh, si vede che non avete mai provato i quattro livelli dove si controlla Sparx.

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Al netto di qualche sbavatura, però, la Reignited Trilogy è un lavoro di grande qualità. Non ci troviamo davanti a una superficiale operazione di nostalgia, ma a un atto d’amore verso uno dei platform che hanno fatto la storia della Playstation. Ho comunque qualche dubbio sul fatto che Activision voglia usare questo remake e quello di Crash come trampolino di lancio per nuovi episodi.

E forse è meglio così.

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