Ti piace vincere facile? Non farlo — Parte 3

Tra falò e chiavette USB.

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
6 min readMay 29, 2020

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La-bellissima-Red-canta-in-Transistor

Eccoci all'ultimo appuntamento di questo percorso nel mondo dei selettori di difficoltà e delle varie scuole di pensiero per implementarli a dovere. Come anticipato, per concludere analizzerò due titoli che per me centrano davvero benissimo quest’importante aspetto del bilanciamento e della godibilità di un videogioco. In caso vi siate persi i primi articoli o vogliate fare un ripasso, ecco a voi la parte 1 e la parte 2.

Il primo gioco preso in esame è forse scontato, dato che è diventato famoso proprio per le tante discussioni attorno alla sua difficoltà: Dark Souls. Normalmente non viene associato a una sfida regolabile, è anzi diventato il simbolo del videogioco cattivo, senza compromessi, pronto a punire duramente. Gli articoli sull'inclusione di un’ipotetica “modalità facile” per il titolo From Software si sono sprecati, tra una lamentela dettata dalla frustrazione e un’accanita difesa della spietata purezza del titolo. Ma in realtà la via semplice c’è sempre stata ed è integrata con grande maestria.

Un-po’-di-jolly-cooperation-in-Dark-Souls

Dark Souls vuole offrire un’esperienza dura, che non si fa problemi a chiedere un impegno superiore alla media. La difficoltà è un elemento cardine nella visione d’insieme degli autori e dev'essere affrontata, escludendo quindi la disponibilità di una comoda voce nel menu per regolare la sfida. Tuttavia il gioco concede anche una grande libertà su come approcciarsi alla partita: si possono ravvivare i falò per avere più fiaschette curative, si può indugiare per qualche tempo sull'aumentare il livello del personaggio sconfiggendo a ripetizione gli stessi nemici, si può costruire il nostro non-morto in modo particolarmente vantaggioso, si possono seguire i messaggi degli altri giocatori o addirittura evocarli come alleati.

Come in altri esempi citati negli articoli precedenti viene imposta una difficoltà elevata — il “vero Dark Souls” se vogliamo — , ma si lascia aperta la possibilità di fare dei passi indietro a chi non è disposto a sopportarla. La cosa davvero notevole e che distingue il gioco è come questo riesca a integrare simili opzioni all'interno del suo stesso mondo virtuale, in modo del tutto contestuale. Nessun freddo messaggio degli sviluppatori, solo meccaniche incontrate naturalmente lungo il percorso. Non è solo un pregio estetico, ma anche una strada che permette di non tradire la premessa fondamentale del titolo: gli aiuti non cadono dal cielo, ma vanno scoperti. Anche in questo contesto Dark Souls non abbandona la sua essenza e continua a richiedere all'utente di decifrare il suo mondo ermetico, di conquistarsi un vantaggio solo dopo uno sforzo aggiuntivo. Una soluzione immensamente più coerente e di valore della Assist Mode di Celeste di cui ho parlato nella parte 2, che invece sa un po’ di tradimento del messaggio del gioco, quasi come se gli sviluppatori avessero gettato la spugna.

Ravvivando-un-falò-in-Dark-Souls

Tutto ciò è enfatizzato dal prezzo da pagare per ogni aiuto. Farsi affiancare da uno o più amici rende triviale anche il più accanito dei boss, ma è possibile solo in forma umana, quindi esponendosi al contempo all'attacco di giocatori invasori. Neanche i falò possono essere ravvivati da non-morto e richiedono di consumare un’umanità: per aumentare le cure dobbiamo spendere una risorsa importante e affrontare nuovamente le bellezze e le insidie della componente multigiocatore. O ancora, per molte persone affidarsi a scudo e armatura pesante rende il gioco una barzelletta, ma ne banalizza il sistema di combattimento. Il bilanciamento di queste meccaniche è volutamente imperfetto e il giocatore ne esce comunque favorito, ma senza percepire nulla come regalato e dovendo sempre tenere in considerazione i nuovi svantaggi. È anche divertente la presenza di “falsi amici” come la chiave universale. Un inesperto potrebbe pensare che quest’ultima serva a semplificarsi la vita, invece spezza quello che è il percorso standard e graduale dell’esplorazione, concedendo di ottenere in anticipo oggetti utilissimi, ma anche portando a scontrarsi con un maggior disorientamento e con i pericoli delle aree avanzate.

Uno degli aspetti più gradevoli di questa gestione della difficoltà sta nella quantità di modificatori separati e indipendenti: il giocatore non è costretto a scegliere tra pochi livelli rigidi e definiti, ma può plasmare continuamente la partita con ritocchi più o meno incisivi, riuscendo così ad avvicinarla il più possibile alla sua esperienza ideale. Una granularità simile a quella proposta dal prossimo titolo trattato: Transistor.

Red-e-la-sua-moto-in-Transistor

L’opera firmata Supergiant Games è per certi versi speculare a quella From Software. Non c’è quel rapporto speciale col concetto di sfida, tenacia e superamento delle difficoltà a fare da filo conduttore, anzi potremmo eliminare ogni fatica e cambierebbe poco di quanto il gioco vuole comunicare. Ne consegue che stavolta non siamo di fronte a una sfida da attenuare attraverso diversi aiuti. La bravura degli autori sta in come sono riusciti a fornire i giusti stimoli affinché il giocatore decida spontaneamente di complicarsi la vita.

I-limitatori-di-Transistor

Il gioco è chiaramente ispirato al mondo virtuale e della programmazione, a partire da Cloudbank, la metropoli che fa da cornice alle vicende. Vi si inseriscono bene quindi i “limitatori”, dei blocchi alle funzionalità del Processo, il nemico che ci tormenta quasi fosse l’agente Smith di Matrix. Red, la protagonista, ottiene presto la possibilità di controllare e disattivare questi freni, ritrovandosi così a dover affrontare combattimenti più impegnativi in cambio di un quantitativo di esperienza maggiore.

La cosa interessante è che selezionando uno svantaggio per un numero di scontri sufficiente otterremo anche i dettagli sulla tipologia di nemico ad esso associata. Gran parte delle informazioni su Cloudbank vengono ottenute in questo modo, studiando i suoi abitanti e la loro storia, un po’ come quando si ricostruiscono i segreti di Lordran attraverso la descrizione dei vari oggetti recuperati lungo i livelli. È così che ad esempio si può venire a conoscenza dell’origine dei limitatori stessi, anche stavolta elementi facenti parte dell'universo creato anziché opzioni relegate a un menu senza contesto. Quando il nostro personaggio aumenta di livello grazie ai punti esperienza aggiuntivi si sbloccano ulteriori abilità di combattimento, che alla stessa maniera sono un altro tramite attraverso cui l’ambientazione di gioco si mostra a noi. Ogni potere rappresenta un personaggio chiave e con lui parte della storia di questo mondo. Più lo utilizzeremo come attacco diretto o come potenziamento di un altro, più informazioni inizialmente criptate andremo a ottenere, scoprendo un numero sempre maggiore di retroscena e sorprese.

L’analisi-del-Creep-in-Transistor

La curiosità e la sete di conoscenza sono quindi i bisogni principali a guidare il giocatore verso l’utilizzo dei limitatori. Una volta che si inizia a farlo però si inserisce anche un’ulteriore soddisfazione, data stavolta dal puro gameplay. Gli handicap attivabili sono piuttosto vari e comportano differenze sostanziose nella risoluzione dei combattimenti, proprio come accade quando si cambiano le abilità equipaggiate. Trovare un equilibrio tra i limitatori abilitati, farli ruotare per sbloccare le informazioni associate ad ognuno di essi e al contempo fare lo stesso coi nostri poteri incrementa enormemente la varietà del giocato e il divertimento che ne deriva. Tarare il proprio livello di difficoltà ritoccando gli aspetti che meglio si combinano al particolare setup in uso diventa una sorta di minigioco aggiuntivo davvero riuscito — ad esempio, sarò più predisposto ad accettare un gran numero di piccoli nemici aggiuntivi quando avrò a disposizione un buon colpo ad area.

Concludendo questo lungo percorso, direi che sono chiare le caratteristiche chiave che per me creano una sfida regolabile davvero ben fatta: cura per ogni livello di difficoltà, modificatori granulari e indipendenti integrati coerentemente nel mondo di gioco, fedeltà alle premesse e agli obiettivi comunicativi scelti e stimoli efficaci che spingano ad avvicinarsi il più possibile alla visione degli sviluppatori.

Ora posso tornare a giocare a Mass Effect a livello Casual perché non sopporto la sua componente spara-spara.

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Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.