Ti piace vincere facile? Non farlo — Parte 2

Obblighi, tirannia, imprecazioni e prese in giro.

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica
7 min readApr 24, 2020

--

Ti-piace-vincere-facile?-Non-farlo-pt2-copertina

Nella puntata precedente vi ho parlato di come i videogiochi possono introdurre un livello di difficoltà variabile in modo virtuoso, curando a dovere ogni grado di sfida e concedendo all'utente la libertà d’individuare quello a lui più consono.

Lasciare però questa scelta totalmente in mano al giocatore pone in certi casi alcuni problemi. Il primo è che i giocatori stessi non sempre sanno cosa vogliono; o meglio, non sanno cosa è meglio per loro. Gli sviluppatori sono i primi e spesso i soli a comprendere a fondo i sistemi di gioco, le loro interdipendenze e gli equilibri che sorreggono un prodotto. E una sfida alterata al ribasso può smontare tutto il loro lavoro. Una curva di difficoltà iniziale non molto dolce potrebbe infastidire alcuni, comprensibilmente spingendoli a decidere di facilitarsi la vita. Ma in certi casi l’eccessiva comodità del selettore potrebbe senza dubbio portare a una decisione frettolosa, presa d’impulso e non giustificata: a fronte di poche ore di gioco iniziali d’apprendimento a suon di miserabili batoste, si può riuscire a comprendere e acquisire dimestichezza con le meccaniche, superando lo scoglio e scoprendo che il tutto non è poi così proibitivo. Ciò è importante per goderne tutti gli aspetti, anziché ritrovarsi con grosse porzioni di gameplay del tutto accessorie e quindi non necessarie né incentivate nel caso della via facile. In quest’ultimo scenario, l’utente crede di essersi risparmiato grande frustrazione, mentre al costo di una sofferenza tutto sommato ridotta ha sacrificato profondità e divertimento lungo tutta la partita… e probabilmente non se ne renderà mai conto.

Ti-piace-vincere-facile?-Non-farlo-pt2-The-Witcher-3
Pozioni, unguenti e segni sono elementi che forniscono varietà, fascino, immedesimazione e importanza al bestiario all'interno di The Witcher 3, e sono considerati inutili da una larga fetta di fan.

Che spesso i giocatori gettino la spugna troppo presto potremmo dire che è stato dimostrato da alcuni titoli recenti che non permettono scorciatoie, o comunque lo fanno in maniera ridotta, e nonostante questo sono diventati un fenomeno di massa che ha avviato un vero e proprio trend. Sekiro, Hollow Knight, Cuphead (Uff, Cuphead è facile e puzza, NdDamaso) e diversi altri non si fanno problemi a tirare schiaffoni ai loro utenti, prontissimi a sfogarsi online per condividere disperazione, imprecazioni e augurare belle cose agli sviluppatori. Eppure dopo un po’ di tentativi e lamentele ce l’hanno fatta. Si sono fatti le ossa e han fatto loro il gameplay, riscoprendo quell'orgoglio ormai sopito da anni in cui lo standard è stato “cinema e relax” e la schermata di game over si vedeva al massimo una volta ogni sei ore, dimenticando quanto sapessero essere stronzi i videogiochi qualche generazione fa. Non solo hanno superato la difficoltà, ma proprio questa ha fatto acquisire ulteriore significato all'esperienza, contribuendo all'aura di cult d’élite che s’è creata attorno a questi titoli nonostante in giro ci siano mostri nascosti ben più brutali.

E Dark Souls sarebbe difficile? Buahahahah!

Ma non tutti gli autori possono o vogliono essere così rigidi e sbattere del tutto la porta in faccia a chi è effettivamente incompatibile con la sfida richiesta. Che accorgimenti attuare quindi in questo caso, quando la difficoltà è comunque qualcosa di centrale nelle meccaniche e nella comunicazione e del titolo e va salvaguardata? Come incentivare il più possibile il giocatore ad accettare una sfida non banale, anche se non è propenso a farlo? Un metodo non molto elaborato ma in una certa misura funzionale è esplicitare con efficacia questa necessità all'interessato e affidarsi al suo giudizio, stavolta più informato del solito. A questo si affianca usualmente un sistema basato non su livelli in crescendo, ma una difficoltà base già elevata, con più gradi inferiori chiaramente sconsigliati. Questo per sottolineare ancora meglio dove sta la vera esperienza di gioco secondo i suoi ideatori e anche innestare un diverso processo psicologico in chi sceglie, ribaltando la situazione: non si sta alzando il selettore per accettare una sfida aggiuntiva, ci si sta limitando a non abilitare aiuti extra. Celeste ad esempio fa tutto ciò molto in maniera semplice e pulita. Un gioco tosto di partenza e dove la determinazione di fronte alle avversità è un tema centrale del suo messaggio, incompatibile con una sfida standard adatta al grande pubblico. Ma cede alle sue premesse aprendosi a tutti attraverso la Assist Mode — opzione caldamente scoraggiata da un breve avviso testuale — , che consente di ricalibrare il titolo a nostro piacimento agendo sulla velocità d’esecuzione, la quantità di stamina disponibile o addirittura abilitando l’invincibilità dell’avatar.

Ti-piace-vincere-facile?-Non-farlo-pt2-The-Age-of-Decadence
Gli sviluppatori di Age of Decadence non si fanno problemi a mostrare un certo fastidio verso chi s’è crogiolato per troppo tempo in giochi dove basta pigiare un bottone perché accada qualcosa di fantastico. E non sono gli unici a divertirsi a prendere in giro chi pretende una modalità facile.

Una strada diversa che invece permette agli autori di mantenere le redini in pugno è quella di una difficoltà in grado di adattarsi dinamicamente al giocatore, non scelta da esso ma automaticamente individuata dal software. Una buona trovata nella teoria, in grado di assicurare a tutti la giusta richiesta d’impegno, senza strafare né permettere di impigrirsi troppo. Ma al contempo, complica non di poco le cose a livello implementativo, e infatti si vede raramente. Una sua versione troppo scontata, che ricordi un po’ l’auto-leveling dei più celebri capitoli della serie The Elder Scrolls, sarebbe tragicamente dannosa. Più che una difficoltà sempre al punto giusto, ci si ritrova con una monotonia diffusa, un’assenza di rischio per l’ignoto, nuocendo a stimoli e divertimento.

Qualcosa di più articolato lo propone piuttosto Resident Evil 4. Il gioco non offre nessun selettore di difficoltà, e non ci informa nemmeno dei sistemi che la governano. Il giocatore è convinto di star vivendo l’unico bilanciamento possibile, fatto di scontri mai troppo semplici, munizioni da gestire senza inefficienze e qualche game over. In realtà sottobanco il titolo sta continuamente ricalibrando la sfida per farci vivere questa precisa esperienza: abbiamo sprecato qualche colpo di troppo? I prossimi zombie offriranno delle pallottole extra. Stiamo falciando ogni nemico senza fatica? Nella prossima area saranno più tosti e numerosi. E viceversa. Aggiustamenti silenziosi e continui assicurano un gran bel risultato, e momenti naturalmente più carichi di tensione (fughe da orde di zombie, imboscate, scontri coi boss) assicurano che non ci si adagi su un livello d’impegno monotono. Unico difetto: nonostante tutto un giocatore attento può accorgersi del trucchetto, rompendo la magia. La penuria di risorse si trasforma mentalmente in “munizioni infinite”, quando si sa che tanto non appena le scorte sono agli sgoccioli i drop aumentano correggendo la mancanza in una certa misura. Può rompere l’immedesimazione o anche risultare fastidioso se, morendo più volte consecutive durante una sezione complessa, al tentativo successivo si nota che qualche nemico problematico è misteriosamente sparito. Ad ogni modo, questo capitolo della celebre saga horror resta un esperimento molto interessante e in gran parte riuscito.

Ti-piace-vincere-facile?-Non-farlo-pt2-Resident-Evil-4
Giuro che l’ultima volta c’era un tizio con la balestra là sopra!

Per non concentrare il discorso solo su giochi che puntano a una difficoltà in termini d’esecuzione, parliamo anche un poco di Gothic. L’action-rpg tedesco s’è guadagnato una certa nomea di titolo senza scrupoli, che letteralmente lancia l’innominato avatar in un mondo dove più o meno qualsiasi cosa è in grado di sventrarlo senza grande fatica. Questa potenza dei nemici, cui non c’è compromesso, ha probabilmente scoraggiato parecchie persone, disorientate da una tale mancanza di libertà in quella che è l’azione più diffusa e immediata in un videogioco: uccidere. In realtà Gothic è un titolo piuttosto semplice quando c’è da combattere, per via di un sistema di mosse limitato, rigido e immediato (se riuscite a scendere a patti con la discutibile interfaccia). Infatti quei nemici troppo forti non stanno lì per farci dannare, affrontabili solo da invasati masochisti o furbacchioni appassionati di glitch e ingenuità nella IA. Il loro ruolo è quello di fare da blocco ad aree sensibili della mappa, incanalandone l’esplorazione e la nostra progressione. Cercando e indagando infatti troveremo sempre qualche compito adatto a noi, che ci permetterà di crescere e migliorare. E questi salti di potenza sono assolutamente notevoli, al punto che quando torneremo dai mostri che ci hanno brutalizzato in precedenza stavolta saremo noi a bullarci di loro, annullando di fatto ogni difficoltà. Questa formula garantisce un open-world sempre avvincente e zeppo di “soft gate” da annotare e rivisitare in seguito, spingendo il giocatore a creare la sua personale lista di obiettivi e percorsi da esplorare pian piano, e quel meccanismo di rivalsa sulle vecchie minacce così dannatamente soddisfacente. È chiaro che una modalità facile in un gioco del genere non può esistere, perché andrebbe a smontare tutta l’impalcatura che sorregge l’intero dipanarsi della partita e da cui scaturiscono i suoi tanti pregi. E nemmeno è necessaria a chiunque vada oltre l’impressione iniziale, dato che di fatto ogni avversario diventa banale nel momento in cui siamo pronti a sconfiggerlo. Eppure il remake pare sarà molto diverso, e io piango.

Ti-piace-vincere-facile?-Non-farlo-pt2-Gothic
V’è piaciuto sbranarmi senza se e senza ma ieri? Ho cambiato armatura e ora mi togliete il 5% di vita ad attacco, addio stronzi.

Per concludere questa analisi sulla gestione della difficoltà variabile, vi aspetto prossimamente per la terza e ultima parte, dove andrò a tirare le somme sviscerando due giochi che eccellono in questo campo… nonostante l’assenza di qualsivoglia selettore.

Si prosegue nella terza parte.

--

--

Mattia “Harlequin” Mangano
Frequenza Critica

Appassionato di sistemi, trova ristoro in esplorazione, funghi e polenta.