White Night: abitare l’economia — Pt. 2

Capitalismo e idolatria nel panorama digitale.

Francesco Toniolo
Frequenza Critica
12 min readMay 16, 2020

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Prosegue l’analisi del videogioco White Night (OSome Studio, 2015), condotta utilizzando le riflessioni del filosofo Silvano Petrosino intorno ai temi dell’economia, dell’abitare e dell’idolo. Dopo una prima parte di taglio più introduttivo, in cui sono stati fissati alcuni punti fondanti sui luoghi dell’abitare umano, si entra qui nel cuore dell’analisi.

Ombre e donne nella “casa”

White Night è un videogioco in bianco e nero, con tagli di luce decisi e in più occasioni volutamente innaturali, con forti richiami al cinema espressionista tedesco. Il gameplay stesso del prodotto è fondato sul contrasto luce/ombra e di conseguenza bianco/nero, attraverso una serie di enigmi che richiedono di sfruttare le poche luci nella casa e dissipare le tenebre per proseguire lungo l’avventura. Questa dicotomia si riflette anche sulle due donne presenti nella storia. Selena è la bionda e pallida cantante (anche se di musica jazz, tipicamente ‘nera’) che cerca di portare la luce nella vita di William Vesper; al contrario Margaret, dai capelli neri e gli abiti scuri, ha sempre tenuto il figlio sotto l’ombra del suo ferreo e tetro controllo. Anche come fantasmi mantengono una simile opposizione, con Margaret che continua a perseguitare il figlio in forma di nebbiosa oscurità, mentre Selena guida i passi di William nel buio — aiutandolo nonostante lui l’abbia pugnalata — avvolta in un cono di luce simile a quello di un palcoscenico.

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In relazione all’abitare, inoltre, si sviluppa fra le due donne un’ulteriore opposizione, attraverso un doppio movimento, ascendente in un caso e discendente nell’altro, rispetto alla loro posizione iniziale. All’inizio entrambe hanno cura di William, seppur in maniera differente. Questa «nozione di “cura” rischia sempre di essere intesa in termini “istintivamente positivi”, quasi fosse un sinonimo di salvare, salvaguardare, rispettare, proteggere, ecc. Bisogna invece riconoscere che anche il carnefice, ad esempio, si prende cura della vittima» (Lo stare degli uomini, p. 62). Se la “cura” di Selena è una possibilità di liberazione per William (dalla sua “tana”, dalle sue ombre, dai suoi fantasmi, ecc.), la cura di Margaret è una forma di schiavitù e sottomissione, per rendere il figlio un suo strumento di realizzazione, con il quale riportare gloria alla stirpe dei suoi antenati. Divenute dei fantasmi le loro rispettive tendenze si accentuano. Selena si trasforma in una figura quasi ideale di “accogliente per eccellenza” o “accogliente in sé”, “terra d’asilo” e ospitalità, secondo i termini tracciati da Lévinas e ripresi da Petrosino (Capovolgimenti, pp. 147–156). La giovane cantante diviene l’emblema del femminino che accoglie nella dimensione della “casa”, fino al punto da accogliere persino l’uomo che l’ha uccisa. Al suo opposto, Margaret diventa figura di una totale chiusura, rappresentata da un ritorno all’animalità: vaga per la villa senza una direzione, cieca (in vita aveva perduto la vista dopo essere rimasta svenuta a fissare il sole) e famelica, in cerca di vittime da ghermire con i suoi lunghi artigli. Non è un caso che più volte venga definita “un lupo”: «Ho sognato Madre tutta la notte. Camminava per casa con quei suoi occhi ciechi. Come un lupo, attendeva dietro la porta della mia stanza. Il dottor Rosenthal dice che può capitare, a chi è in lutto» (White Night, “Diario di William Vesper, estratto 8”). Con lei ci si allontana dalla “casa”, e pure dalla “tana”, per ripiombare nella “legge della giungla”, non solo per la sua natura di fantasma predatore, ma anche perché già in vita era sempre stata spinta a sfruttare o annientare i più deboli: i poveri, il consiglio della ditta di famiglia, il suo stesso marito. Gli stessi dipinti che realizzò prima di morire, durante il periodo della sua cecità, esprimono attraverso figure schizzate e contorte questa spinta divorante, fra orchi che maciullano uomini nelle proprie fauci e demoni intenti a strapparsi le braccia a morsi.

Margaret ha vissuto — e continua a ‘vivere’ come fantasma — nell’ottica del distruggere e distruggersi, in nome di una serie di idoli di cui il più evidente è il ritorno all’antica grandezza della sua nobile famiglia. Come ogni idolo, anche il suo infine si sgretola, seppur non prima di aver fornito un anticipo di godimento: «proprio l’idolo […] che viene fabbricato proprio per potersi rassicurare e stare fermi, questo idolo è assolutamente instabile e precario: l’idolo prima o poi crolla e si sgretola» (L’idolo, p. 83). Questo crollo viene soprattutto dal figlio William, che la donna aveva ‘fabbricato’ come concretizzazione del suo ideale, come idolo di carne e sangue, proprio per ridare vigore al “sangue” della stirpe ormai corrotto (tanto dalla perduta ricchezza quanto, più concretamente, da una malattia ereditaria). Il William Vesper reale però si allontana dall’immagine idolatrica che la madre si è costruita, e che per tutta la vita continua a voler proiettare su di lui.

I rapporti fra i tre personaggi principali di White Night (William, Margaret e Selena) richiamano inoltre le tre figure del videogioco ICO di Fumito Ueda (peraltro legate al giocatore da interazioni atipiche), in cui una madre (la Regina) vede sua figlia (Yorda) non «come un soggetto, ma unicamente come una cosa, un oggetto che un giorno sarà sfruttato» (F. Toniolo, L’abitare digitale a proposito del videogioco ICO, «Parol», n. 23, p. 328), mentre un personaggio esterno (Ico) porta un elemento di alterità in quel “mondo-prigione” familiare.

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Una differenza fra i due videogiochi — al di fuori dell’inversione fra uomo e donna nella figura del/la figlio/a — per la quale può essere utile richiamare ICO riguarda il rapporto con la luce e le ombre. In ICO i nemici da affrontare sono mostri umbratili, mentre al contrario Yorda è una figura luminosa, il che confermerebbe l’opposizione fra Margaret e Selena. Tuttavia, nel finale dell’avventura, Yorda salva Ico dal crollo del castello in cui si trovano dopo essere diventata a sua volta un’ombra, e in una certa misura riesce a salvarlo proprio perché è divenuta un’ombra. In White Night, invece, la luminosità di Selena non va mai a confondersi con il buio. Questo è un elemento che può anche andare a caratterizzare due tradizioni differenti, quella nipponica che ha prodotto ICO e quella occidentale di White Night. Si veda ad esempio quanto si è detto a proposito di Final Fantasy:

L’idea che sia possibile unirsi a forze presumibilmente aliene o demoniache per combattere il male è estranea all’ideologia cristiana, ma familiare a quella scintoista/buddista radicata in Giappone. Per quanto riguarda la cultura popolare, basti pensare all’anime Devilman, nel quale Akira, il protagonista, giovane eccezionalmente buono e virtuoso, si fonde deliberatamente con un demone per diventare Devilman, e combattere così un’invasione infernale che minaccia l’esistenza della Terra. Dietro questo elemento narrativo ritroviamo ancora una volta l’idea secondo cui il male, concetto apparentemente assoluto, può essere trasformato: la personalità di Akira, come quella dei personaggi evocatori di Final Fantasy, proprio perché disposta al bene, riesce a dominare — pur se non completamente — il potere demoniaco evocato (F. Calamosca, Final Fantasy. Vivere tra gli indigeni del cyberspace, Unicopli, 2003, p. 171).

Del resto, a proposito dell’ombra negli edifici — per ritornare all’ombra e all’abitare — già Jun’ichirō Tanizaki si chiedeva «perché poi piace tanto, a noi orientali, la bellezza che nasce dall’ombra? Anche gli occidentali sono vissuti per lunghi secoli senza elettricità, senza gas, senza petrolio. Non credo, però, che abbiano mai amato l’ombra come noi. Persino i loro fantasmi sono diversi dai nostri […]. La luce è fievole? Lasciamo che le tenebre ci inghiottano, e scopriamo loro una beltà» (J. Tanizaki, Libro d’ombra, Bompiani, 2005, pp. 67–68). Pur senza generalizzazioni eccessive queste tendenze sono facilmente riscontrabili, a proposito dell’ombra e del “male”, elementi spesso abbinati fra loro in diverse produzioni occidentali.

In ogni caso, all’interno di White Night, l’accostamento fra le ombre della casa e il lato più animalesco e aggressivo — più “malvagio” — dell’essere umano trova un senso ulteriore nell’immagine del mondo economico, di cui costituisce una sorta di allegoria.

L’economia della casa e il capitalismo dei lupi

L’intera storia di White Night, oltre a raccontare le vicende di una degradata famiglia americana, offre al videogiocatore un affresco dell’economia capitalistica, in cui ogni elemento rappresenta una sfaccettatura del mondo contemporaneo alle prese con le logiche del business, specialmente nei suoi momenti di crisi. È il videogioco stesso a suggerire questa chiave di lettura, proponendo un confronto fra la lunga notte vissuta dal protagonista e l’ancor più lunga “notte” della crisi, durante la Great Depression: «la luce dell’alba sembrava così lontana allora, e oggi [verso la fine del periodo di crisi] alcuni credono di intravedere il sorgere del sole. Costoro dimenticano che, da qualche parte, l’oscurità della notte è sempre in agguato» (White Night, “L’arrivo dell’oscurità — 29 ottobre 1938”.). L’inserimento, nel corso dell’avventura, di articoli di giornale e documenti dell’epoca, inventati o reali (come l’Acceptance Speech di Franklin D. Roosevelt del 27/06/1936) non ha solamente lo scopo di ‘dare colore’ alla vicenda, ma anche e soprattutto di approcciare progressivamente il discorso economico.

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I membri delle famiglie Venter-Cross e Vesper sono dei “lupi”, — così si definiscono a vicenda o sono definiti da altri: Margaret per i suoi parenti è un “lupo”, così come suo padre pareva a lei un “lupo affamato” durante la sua malattia, mentre William è l’assassino ribattezzato dai giornalisti “il lupo di Black Lake”. Immagini come queste sono piuttosto consuete per rappresentare l’efferatezza di un criminale o la folle animalità di un individuo mentalmente instabile (la tara familiare che corrode il sangue e la mente), ma si accostano bene anche al discorso economico. I “lupi”, allora, divengono i ricchi che ‘divorano’ le categorie sociali più deboli, esattamente nel modo in cui agiscono i membri di questa ricca famiglia, rappresentante sia della ricchezza antica (Margaret) sia quella di recente acquisizione (Henry), forme entrambe giudicate con colpevolezza. William Vesper, l’unione di questi due rami, è a sua volta un prevaricatore sociale, e il suo gesto di uccidere povere prostitute è un simbolo della sua condizione sociale, del suo essere un “lupo” verso le classi sociali inferiori. Allo stesso modo il buio, elemento onnipresente in questo videogioco, sarebbe il buio della crisi economica, che diviene, per chi ne è colpito, una sorta di notte senza fine, in cui vagare a tentoni, consapevole del fatto che i predatori siano sempre in agguato fra le ombre.

Questa sorta di allegoria economica merita un approfondimento ulteriore. Per quanto indicato finora si potrebbe limitare il discorso a una accusa verso il capitalismo, o verso determinati esponenti di un certo capitalismo, in cui i ricchi “lupi” divorano i risparmi e le vite dei poveri. La questione è corretta, ma anche più ampia, e parte dalla natura stessa del desiderio. In Soggettività e denaro Petrosino definisce il desiderio a partire da una mancanza che è la presenza di un’assenza, mancanza che, in altri termini, «è sempre il frutto di un investimento affettivo (dunque di un “sì”) che il soggetto, all’interno del suo presente, mette in atto, fosse anche inconsciamente, nei confronti di un’assenza» (pp. 14–15). Nel desiderio, in particolar modo, il soggetto sa (anche solo inconsciamente, come detto), di desiderare, e dunque sperimenta la presenza di un’assenza (quindi sperimenta una mancanza) perché sa di desiderare qualcosa pur non sapendo di cosa si tratti. Spesso il soggetto si convince di aver trovato l’oggetto del suo desiderio, ma una volta ottenuto l’oggetto in questione ecco che questo puntualmente fallisce e «non mantiene le promesse e di conseguenza il desiderio si acuisce. Il possesso di un oggetto mette così fine al bisogno corrispondente, ma non soddisfa mai il desiderio» (Ibid, p. 16).

Il fallimento dell’oggetto nella soddisfazione del desiderio è una conseguenza di quello che Lacan ha definito il fantasma: «acutamente [Lacan] addita come essenziale il passaggio dall’oggetto al fantasma […]. Non è tanto l’oggetto, il possesso di un determinato oggetto, ad essere in grado di costituirsi come punto di appoggio del desiderio del soggetto, quanto piuttosto il fantasma che si coagula attorno ad esso» (Ibid, p. 27). Dunque non è realmente l’oggetto a caratterizzare la mancanza percepita nel desiderio, ma questo fantasma costruito intorno a esso, ed è per tale motivo che il possesso dell’oggetto non esaurisce il desiderio. Un bisogno può essere soddisfatto, ad esempio mangiare del cibo placa la fame e di conseguenza spegne il bisogno di nutrirsi, ma se il cibo, o un determinato cibo, viene desiderato come risposta a una mancanza percepita esso non riuscirà a soddisfarla. In un primo momento l’oggetto desiderato (o meglio il fantasma coagulato attorno ad esso) fornirà un momento di sollievo, come un idolo, nella cui natura è inserito un godimento e riposo nell’immediato, ma ben presto verrà creato un nuovo fantasma, sostituto del precedente, e ritornerà la percezione della mancanza. Si tratta dunque di una prospettiva più universale rispetto al capitalismo, il quale «non ha inventato i fantasmi e neppure ha imposto i feticci, semmai ha risposto, ha corrisposto, in modo pervasivo ed economicamente conveniente, ad una tendenza che è propria del soggetto in quanto tale» (L’idolo, p. 102). Il capitalismo è un “ambiente privilegiato”, ma non l’unico, di quella ricerca di godimento dell’uomo che passa dal possesso, un possesso che garantisce per l’appunto un momentaneo godimento senza mai una reale soddisfazione: «il fallimento che attende l’idolo non esclude affatto quell’anticipo di godimento e di riposo, di quiete, che la costruzione dell’idolo riesce comunque a garantire al soggetto stesso. L’idolo fallirà, ma non subito» (Lo stare degli uomini, p. 87).

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In White Night questa prospettiva di desiderio e godimento è rintracciabile a due livelli, sia sul piano personale di William Vesper, sia sul piano economico che la sua vita rappresenta. William ha sempre amato la luna, personificandola e adorandola come una divinità, come la forza capace di rischiarare la notte e allontanare le ombre che rappresentano la sua odiata madre. La Luna (maiuscola) è l’oggetto del suo desiderio, ma simboleggia anche il desiderio stesso: un qualcosa della cui mancanza è consapevole, ma che non riesce a definire. Crede di amare la luna, di averne bisogno, ma in verità sta inseguendo un fantasma, l’entità Luna creata nella sua mente, che va a caratterizzarsi come un idolo, con l’inversione fra il soggetto e l’oggetto, in cui è il secondo a possedere e controllare il primo: «di fronte all’idolo, nel godimento perverso ma anche sicuro che sempre accompagna una totale sottomissione, il soggetto non c’è più, decide di non esserci più, egli scompare […] rinunciando in tal modo ad ogni altro punto di vista che non sia quello che decide di farsi assorbire da ciò ch’egli stesso ha istituito con l’investitura del proprio sguardo» (S. Petrosino, Piccola metafisica della luce, Jaca Book, 2004, p. 81).

In questo suo relazionarsi con la Luna, William finisce per distruggere gli altri e se stesso. Se stesso perché diviene schiavo di un rapporto idolatrico nei confronti dell’entità divinizzata che ha nella sua mente; gli altri perché rapisce e uccide prostitute con un pugnale rituale per sacrificarle alla Luna, rifacendosi a pratiche precolombiane. Queste due forme del distruggere rientrano nella logica di un godimento che passa attraverso il possesso: lasciarsi “possedere” dall’oggetto-idolo e “possedere” la vita delle donne sacrificate (con un ulteriore motivo di godimento derivato da una sorta di vendetta indiretta contro la madre, rivista in queste donne). Nemmeno l’incontro con Selena, che per molti aspetti è una controparte incarnata e “reale” della sua Luna, riesce a cambiarlo, e come detto dopo un momento di apertura William finisce per accoltellare la donna, dimostrandosi nuovamente asservito all’idolo, scoprendosi quasi obbligato a sacrificare l’alterità-Selena al fantasma-Luna.

In relazione all’ambito economico che può essere letto in questa vicenda occorre un’ultima precisazione. Finora si è parlato di “economia” in senso generico, ma osservando l’etimologia di questa parola (derivata dal greco oîkos, casa e nomia, legge) non è improprio definire l’economia come la “legge della casa”, dove per “casa” — come detto precedentemente — si intende un luogo di raccoglimento e al tempo stesso apertura all’alterità. La “legge della casa” è dunque una delle modalità dell’abitare, basata su di un “calcolare” non di carattere matematico, ma che tenga conto dell’altro, e che si riveli un coltivare e un custodire «cercando in ogni modo di governare l’equilibrio tra l’irriducibilità del “qui” e l’irriducibilità del “là”» (Capovolgimenti, pp. 53–54). Appare dunque evidente, da quanto detto finora, che la forma dell’abitare rappresentato da William Vesper non sia una forma di “economia”, ma piuttosto un business di matrice capitalistica, applicato in ambito commerciale dalla sua famiglia (i ricchi “lupi”) e in ambito personale nel suo confronto con le altre persone.

All’oscura famiglia dei “lupi”, oppressori di antica o nuova origine, si contrappone però la figura di Selena, l’unico spiraglio di luce che riesce a fendere le tenebre che opprimono il mondo proprio grazie alla prospettiva dell’accoglienza. Selena, cui è stata negata la maternità (aveva perso il bambino che portava in grembo a causa del suo compagno di un tempo), diviene per William quasi una madre accogliente, in contrasto con la madre di sangue, rinchiusa nei suoi calcoli “matematici” (nel suo business) e nella sua voracità animalesca, che si apre all’altro solo per sfruttarlo e consumarlo. Selena rappresenta allora quella “legge della casa” in cui accogliere l’altro in quanto altro e che, anche dopo la sua morte ad opera di un modello capitalistico sfrenato che trasforma le persone in numeri, continua a risplendere come un faro nella notte, persino per il suo stesso assassino. William, che si definisce un “figlio della luna”, viene guidato e salvato dalla luna-Selena, liberandosi tanto dal fantasma di Margaret (la componente più animalesca e cieca del capitalismo) quanto dal “fantasma” della Luna (l’inseguimento del desiderio in un’ottica di godimento e consumo).

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