Una rappresentazione del sistema solare e delle sfere celesti in un antico codice miniato secondo la teoria geocentrica. L’attuale precisa conoscenza dell’esatta distanza del Sole dalla Terra è il risultato di un lungo cammino compiuto dall’ingegno umano, animato dal desiderio di comprendere sempre meglio la struttura, le leggi e le reali dimensioni del sistema solare e di ciò che c’è all’esterno di esso

L’unità astronomica dal 1976 ai giorni nostri

6/6. L’unità astronomica o la faticosa ricerca della distanza del Sole

Michele Diodati
GruppoLocale
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5 min readJul 22, 2017

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La ricerca di un valore sempre più preciso dell’unità astronomica ha attraversato i secoli, producendo un immenso sforzo individuale e collettivo da parte di generazioni di astronomi, impegnate in osservazioni e calcoli di ogni tipo pur di arrivare in qualche modo alla meta. Ciò che ha accomunato le infinite declinazioni di questo immenso sforzo dell’ingegno umano non è stato tanto il bisogno di disporre di una nuova e più affidabile unità di misura quanto quello di comprendere, finalmente, le dimensioni reali dell’universo di cui siamo parte, a cominciare dal sistema solare. Aristarco, Eratostene, Ipparco, Tolomeo, Copernico, Tycho Brahe, Keplero: nessuno di loro aveva una nozione precisa di quali fossero le effettive distanze tra quei corpi di cui pur conoscevano perfettamente i movimenti nei cieli. Fu solo con Huygens, Cassini e Flamsteed che cominciò ad apparire in tutta la sua enormità l’abisso di spazio che separa la Terra dal Sole e dagli altri corpi del sistema solare.

Ma in tempi recenti, soprattutto dopo l’avvento delle misurazioni radar e l’inizio dell’esplorazione spaziale, la questione principale non fu più quella di determinare con la massima precisione possibile l’angolo di parallasse del Sole, per trovare poi la distanza che si combini trigonometricamente con quell’angolo e con il raggio terrestre. Divenne, invece, quella di stabilire un’unità di misura convenzionale della lunghezza, utile nei calcoli di meccanica celeste, che fosse pienamente compatibile con le costanti di tempo e di massa già esistenti. Questo cambio di priorità portò la IAU, l’ente astronomico internazionale, a ridefinire nel 1976 l’unità astronomica, disancorandola dalla necessità di trovare sempre maggiori approssimazioni della distanza media della Terra dal Sole.

La nuova definizione stabilì che l’unità astronomica è

uguale alla distanza dal centro del Sole alla quale una particella di massa trascurabile, in un’orbita circolare non perturbata, avrebbe un moto medio di 0,01720209895 radianti/giorno.

Data la massa del Sole (1,9891×10³⁰ kg) e data la durata del giorno standard definita nel SI (86.400 secondi), quel moto medio si avrebbe ad esattamente 149.597.870,691 km dal Sole, distanza che è dunque il raggio dell’orbita di quella ipotetica particella di massa trascurabile e il corrispettivo in chilometri della definizione di unità astronomica adottata nel 1976.

Ma da dove viene quello strano numero, 0,01720209895? È il valore della costante gravitazionale di Gauss, indicata con k, che rappresenta la frazione di orbita circolare percorsa in un giorno di 86.400 secondi da un corpo di massa trascurabile, che giri intorno al Sole in un anno gaussiano, cioè in 365,2568983 giorni: guarda caso, la durata media dell’anno terrestre (365 giorni e 6 ore).

L’unità astronomica fu dunque ridefinita in termini di altre unità, non direttamente come una misura di lunghezza. La ragione di ciò si può trovare nelle parole del già citato E. M. Standish, esperto di meccanica celeste, che in un articolo del 2004 scriveva:

In fisica si adottano unità di lunghezza, massa e tempo (cgs, per esempio); gli esperimenti forniscono poi il valore della costante gravitazionale, G. In astronomia, poiché nel sistema solare un periodo, ovvero un moto medio, è misurato molto più facilmente di una distanza, le unità adottate sono state scelte in modo da essere quelle di una massa solare, un giorno solare medio e la costante gravitazionale (= k²). L’unità astronomica è allora l’unità di lunghezza che è compatibile con le altre tre. Come tale, è il risultato di una convenzione; non è una quantità definita.

Un’equazione che correla l’unità astronomica alle altre unità è la terza legge di Keplero, n²a³ = k²M. Per una particella (priva di massa) in moto kepleriano a 1 au dal Sole, abbiamo a = 1 e M = 1, sicché il moto medio è n = k. Pertanto, il periodo è semplicemente P = 2π/k = 365,2568983… giorni; ecco la fonte del numero (irrazionale) nella “definizione” sopra citata.

L’aver “eternato” l’unità astronomica in una definizione astratta e convenzionale, sottraendola alla dinamica dei cambiamenti fisici naturali dei corpi celesti e agli approfondimenti progressivi della conoscenza astronomica, fu forse utile ai fini della standardizzazione dei sistemi di calcolo, ma aveva una curiosa conseguenza: l’unità astronomica era destinata a diventare sempre meno rappresentativa di ciò che originariamente designava, cioè la separazione media tra il nostro pianeta e il Sole.

L’anno gaussiano è infatti leggermente più lungo dell’anno siderale (l’intervallo di tempo che occorre alla Terra per ritornare esattamente nella stessa posizione rispetto alle stelle fisse): 365,2568983 giorni contro 365,256363004. L’orbita terrestre è poi ellittica, non circolare. Ciò fa sì che la distanza del nostro pianeta dal Sole vari da un minimo di 0,98329134 au al perielio a un massimo di 1,01671388 au all’afelio. A causa di ciò, neppure il semiasse maggiore dell’orbita corrisponde esattamente a un’unità astronomica: è infatti leggermente più lungo (1,00000261 au).

E in futuro le differenze sono destinate ad aumentare. Il Sole, infatti, a causa della radiazione, dell’emissione di neutrini e del vento solare, perde costantemente massa, a un ritmo che è stato calcolato in 5,75 milioni di tonnellate al secondo. Tantissimo in proporzione alla scala umana delle cose, ma relativamente poco per un corpo gigantesco e massiccio come il Sole: corrisponde infatti a una perdita di massa annuale di “solo” 9,13 centomillesimi di un miliardesimo della massa solare totale. Tuttavia, la costante perdita di massa del Sole implica che il valore standardizzato della costante di massa solare diventa anno dopo anno meno rappresentativo della massa solare reale. Ciò avrà, anzi sta già avendo, degli effetti sull’attrazione gravitazionale che il Sole esercita sui corpi del sistema solare. L’attrazione solare diminuisce, infatti, proporzionalmente alla perdita di massa: per conseguenza, le orbite dei pianeti si espanderanno, i periodi orbitali aumenteranno di durata, mentre l’unità astronomica, così come fu definita nel 1976, corrisponderà sempre meno alla distanza media del Sole dalla Terra.

Vale la pena di ricordare, tuttavia, per amore di chiarezza, che tutti questi effetti, descritti con dovizia di particolari in uno studio di Peter D. Noerdlinger, sono trascurabili su una scala temporale umanamente significativa: dal 3000 a.C. al presente, secondo Noerdlinger, la variazione del semiasse maggiore dell’orbita terrestre dovuta alla perdita di massa del Sole sarebbe stata compresa tra 68 e 78 metri in tutto. Su circa 150 milioni di km.

Ma, per quanto lieve nelle conseguenze, il disancoramento dell’unità astronomica dalla misura della effettiva distanza Terra-Sole era comunque una soluzione troppo artificiale per poter durare.

Ne prese atto la XXVIII Assemblea Generale della IAU, conclusasi a Pechino il 31 agosto 2012.

Delle quattro risoluzioni che furono adottate dall’Assemblea, una era particolarmente importante: la risoluzione B2, che ridefiniva l’unità astronomica, eliminando ogni riferimento alla costante di Gauss. Con la decisione adottata dalla IAU si tornava dunque a definire l’unità astronomica direttamente in termini di lunghezza, non più come una costante derivata. La differenza importante col passato era che il nuovo valore adottato ufficialmente — 149.597.870.700 metri — teneva conto anche della relatività generale.

Siamo giunti dunque alla fine di questa lunga storia, che ci ha condotti dal genio di Aristarco fino alla precisione millimetrica delle misurazioni radar. L’impresa di determinare la distanza esatta della Terra dal Sole può dirsi conclusa con successo. Possediamo oggi le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnologici per tenere sotto controllo costante le variazioni anche più minuscole dell’unità astronomica: non male, tutto sommato, per una curiosa specie di primati, scesa dagli alberi appena qualche milione di anni fa.

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Michele Diodati
GruppoLocale

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.