Gli ostacoli alle tecnologie didattiche e il ruolo dell’animatore digitale

marco
Il digitale a scuola
4 min readDec 13, 2015

Propongo un gioco: ora elencherò i risultati di un sondaggio riguardante i 7 maggiori ostacoli all’uso delle tecnologie nella scuola e chi legge questo articolo dovrà indovinare di che sondaggio si tratta (chi lo ha promosso, quali scuole hanno risposto, ecc.):

Quali sono i sette maggiori ostacoli all’introduzione delle tecnologie nella scuola?

  • 75.9% — Budget limitato
  • 53.9% — Formazione dei docenti inadeguata
  • 41.4% — Resistenza degli insegnanti al cambiamento
  • 38.2% — Infrastruttura digitale poco efficiente
  • 30.9% — Software o dispositivo poco affidabili
  • 29.6% — Problemi a usare la tecnologia per le materie curricolari
  • 13.2% — La scuola non vede la tecnologia come una priorità

Sono sicuro che quasi tutti avranno pensato a un sondaggio del Miur rivolto alle scuole italiane di ogni ordine e grado. Si tratta invece del rapporto 2015 State of Education Technology di Education Dive, che ha interpellato 150 educatori e insegnanti statunitensi (qui puoi leggere l’articolo da cui ho tratto i dati). Ebbene sì, anche gli Stati Uniti, da sempre immaginati come l’Eldorado della tecnologia e dell’innovazione, quando si tratta di fare i conti con la scuola evidenziano resistenze e atteggiamenti che conosciamo bene.

Mal comune, mezzo gaudio, quindi? Certo no, anche perché gli States non hanno mica La Buona Scuola di Renzi, né il Piano Nazionale Scuola digitale e tanto meno possono contare sugli animatori digitali, di cui proprio in questo periodo si parla molto (e quasi sempre male, anche se nessuno ancora sa chi siano né cosa faranno). Ho già detto, parlando del Piano Nazionale, che il nome è a dir poco infelice, ma se potessero essere messi in grado di attivare alcune sinergie (relazione tra scuola e determinate realtà lavorative, contatti tra scuole virtuose con altre meno dinamiche) già il ruolo avrebbe un senso meno banale del titolo che gli è stato affibbiato.

La lettura di un articolo apparso recentemente su Edsurge dal titolo It’s Not About the Device, It’s About What You Do With It potrebbe a sua volta fornire qualche suggestione su uno dei compiti che potrebbero essere attribuiti a questi “animatori”. L’articolo infatti, dal titolo già significativo, esordisce con una frase che ne conferma l’assunto: “i dispositivi sono cruciali per l’erogazione dei contenuti; ma non migliorano direttamente i risultati dell’apprendimento.” Di per sé, continua Daniel Owens, autore del pezzo, i dispositivi non hanno nessun effetto: possono comunque mettere in grado studenti e insegnanti di sviluppare strategie di insegnamento e apprendimento efficaci. Permettono agli studenti l’accesso a un vastissimo corpus di contenuti e di conoscenze, così come a molte risorse didattiche che possono essere adattate alle loro esigenze in modo più personalizzato.

Inserire i dispositivi nel contesto didattico può quindi aiutare le scuole a definire delle priorità riguardo alle tecnologie. Una delle domande più frequenti al riguardo è: “Quale dispositivo dovrei utilizzare?”. La risposta a questa domanda è solo una: “Quello che fa ciò di cui hai bisogno”. Se la risposta risulta a molti poco gradita, è perché il problema del dispositivo non dovrebbe essere la prima questione da affrontare, ma l’ultima. Già in un altro mio articolo avevo trattato l’argomento, anche quella volta traducendo un intervento dal mondo anglosassone (It’s not about the device, it’s about the learning), qui però Owens aggiunge un ulteriore elemento: le scuole (o: La Scuola?), sostiene, dovrebbero infatti iniziare con il domandarsi come vogliono rendere l’apprendimento più efficace, menzionando poi l’opportunità di stilare una lista con le priorità.

Ed è qui che potrebbe inserirsi una figura in grado di coniugare le priorità didattiche della scuola con le metodologie e gli strumenti più adatti per raggiungerle. Quindi: definizione delle finalità, inserimento delle stesse in una cornice metodologica e, infine, determinare se e quali risorse tecnologiche ci sono a disposizione per raggiungere meglio lo scopo. Si tratta di un lavoro sicuramente non facile, soprattutto perché la figura in questione deve rapportarsi con gli insegnanti sia individualmente che collettivamente, individuando tra loro e insieme a loro una strategia condivisa, assegnando compiti diversi che convergano in un progetto comune. Il passo successivo sarà dare vita a un progetto pilota da monitorare per analizzarne l’andamento, le dinamiche virtuose e quelle più critiche. Sarebbe anche un modo (come accade già in alcune realtà scolastiche) di rendere gli studenti protagonisti e in grado di suggerire, proporre e tracciare insieme agli insegnanti nuovi percorsi e pratiche a cui può pensare solo chi è il vero soggetto dell’apprendimento — lo studente, appunto.

Se questa figura si chiamerà animatore digitale o Grande Puffo, sinceramente non mi sembra un problema. La vera questione è cercare di individuarne le mansioni, lo spazio d’azione e, soprattutto, offrirgli qualcosa che mi sembra veramente sempre più raro, dentro e fuori la scuola: la disponibilità a collaborare.

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marco
Il digitale a scuola

redattore editoriale, scrivo di tecnologie applicate alla didattica.