Il popolo è un bambino

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Benjamin R. Barber, politologo statunitense, professore di Civil Society nell’Università del Maryland, nel suo saggio Consumati: da cittadini a clienti, denuncia la strategia di irretimento attuata dal capitalismo moderno che, oltre ad inventare bisogni (e ciò era stato già ampiamente analizzato, tra gli altri, da Baudrillard e Galbraith), allarga le proprie frontiere di consumo verso i bambini e gli adolescenti, modelli veri e propri del consumatore ideale: avido, capriccioso, impulsivo, egocentrico, testardo, per niente dedito alla moderazione ed all’autocontrollo.

Ogni sistema economico esige il sostegno di specifiche attitudini culturali e condotte sociali e richiede che esse siano instillate nella società attraverso un sistema di valori che assume la forma di ethos morale o religioso collettivo. Avidità e puerilità sono elementi naturali della psicologia umana. Il nuovo consumismo se ne appropria, dà a questi elementi una grande rilevanza, se ne alimenta per sopravvivere e li alimenta a sua volta.

Così l’infantilizzazione diviene il motore del modello consumistico ed agisce in una doppia direzione: spingere verso il basso la soglia dell’età del consumo da un lato, indebolire la figura parentale dall’altro, “infantilizzando” e banalizzando anche l’adulto, la merce che acquista e che desidera, i prodotti (anche culturali) di cui fruisce, facendo leva sull’edonismo e sulla compulsività volitiva tipici dell’infanzia e dell’adolescenza.

Indebolire la figura del genitore vuol dire osare più di quanto non abbiano mai fatto le istituzioni, o la religione, le quali hanno sempre mantenuto come caposaldo il rispetto ed il riferimento ad una figura paterna o materna; ma per il capitalismo i genitori non sono altro che i “guardiani del cancello”, oltrepassato il quale si arriva dritti all’obiettivo.
Questo fenomeno è talmente capillare che è riuscito a soverchiare l’identità del cittadino, trasformandola e sostituendola con quella del cliente, del consumatore; la politica stessa diviene marketing, il ruolo dello Stato viene sminuito, il tessuto civico ne risulta distrutto, degradato.

Barber ammette che “la critica di Marcuse era volutamente provocatoria ed esagerata”, ma anche che a più di quaranta anni dalla pubblicazione della sua opera:

abbiamo materiale sufficiente per poter affermare che l’ubiquità del consumismo, la diffusione della pubblicità e del marketing e l’omogeneizzazione della cultura e dei valori attorno a un marketing infantilizzante hanno creato un ethos culturale che, pur non essendo totalitario, finisce per defraudare la libertà del suo significato civico e minaccia la vitalità del pluralismo.

Se l’etica protestante della gratificazione differita esaltava la virtù del risparmio e favoriva gli investimenti — cauta proiezione verso il futuro — l’attuale era del sovra-consumo, dell’opulenza e dei comportamenti di tipo ostentativo utilizzati dal consumatore-bambino come dimostrazione a sé stesso ed agli altri del miglioramento delle proprie condizioni di vita, relega il futuro ai margini e si appoggia sull’immediato presente.
Come osserva Christopher Lasch:

Vivere per il presente è l’ossessione dominante — vivere per se stessi, non per i predecessori o per i posteri. Stiamo perdendo rapidamente il senso della continuità storica, il senso di appartenenza a una successione di generazioni che affonda le sue radici nel passato e si proietta nel futuro.

I metodi di contrapposizione, almeno dal punto di vista economico, sono vari e — secondo Barber — sono tanto più efficaci quanto più si discostano dalla sfera privata: consumo critico, boicottaggio, mercato equo e solidale, giornate del non acquisto e culture jamming, sono piccoli passi in avanti, ma non possono essere i soli… sarebbe l’ammissione della disfatta; essi devono essere affiancati dal consumismo responsabile e dalla responsabilità sociale di impresa.

L’infantilizzazione è stata una strategia ampiamente utilizzata dal Regime Fascista: a questo proposito è denso di significati il bel saggio di Antonio Gibelli sul “popolo bambino”, nel quale lo storico genovese ricostruisce il Novecento, “secolo dei fanciulli”, tramite un’accuratissima analisi della pubblicistica destinata all’infanzia, della letteratura e dell’iconografia del tempo. Il fanciullo, il ragazzo, diviene in questo periodo:

oggetto di attenzioni educative specifiche non semplicemente familiari e scolastiche, segmento del mercato e icona capace di incrementarlo veicolandone efficaci messaggi promozionali, titolare di un tempo libero cui occorre offrire spazi e occasioni, protagonista di una mobilitazione pre e para-politica e soprattutto pre e para-militare.

Dal Libro di lettura per la seconda classe dei centri urbani, ill. di Bruno Angoletta (1941)

Alla militarizzazione del bambino va a corrispondere, specularmente, l’infantilizzazione del soldato.

I giornali rivolti ai fanti contadini scarsamente alfabetizzati sono assai simili a quelli riservati ai piccoli lettori: pieni di figure, di vignette, di storie animate più che di parole.

Tanto più che numerosi illustratori dei giornali di trincea sono collaboratori allo stesso tempo dei principali giornali per ragazzi, poiché le loro vignette “sono destinate a soddisfare tanto le fantasie di onnipotenza dei fanciulli quanto il bisogno di rassicurazione degli adulti”.

Il soldato-contadino risponde esattamente allo stereotipo tradizionale: è docile, laborioso, servizievole e deferente; questo genere di identificazione è perfettamente congeniale anche alla pedagogia sociale di impronta cattolica, che fa delle Case del Soldato dei veri e propri oratori, nei quali spesso hanno luogo spettacoli di teatro dei burattini, repertorio peculiare della cultura infantile.
Un popolo “bisognoso di svago e di distrazione, pronto ad assorbire i messaggi del potere, purché confezionati in maniera accattivante”, ed allo stesso tempo “bisognoso di spauracchi per tenere a freno gli istinti, di favole adatte a nutrire la fantasia non meno che di lezioni semplici ed efficaci”.

Il lessico è manipolato, in chiave favolistica, la guerra è assimilata al gioco per conferire naturalezza alla convivenza tra la vita quotidiana ed il conflitto bellico; spesso si ricorre all’equivalenza tra difesa della patria e difesa della mamma e l’odio verso il “mostro”, il “malvagio” derivante dal martellamento propagandistico, è sempre vivo.
Il trattamento fiabesco sembra talvolta lambire i confini dell’irriverenza: Gibelli cita su tutti l’esempio di Mussolini nelle vesti di Aladino, per mano di Bruno Roghi, meglio conosciuto come Nonno Ebe, specialista di questo genere di contaminazione. Va nella stessa direzione la millantata presunta santità del Duce, la sua capacità di compiere miracoli, largamente presente nelle pagine somministrate ai piccoli.

Certamente la politica del Regime non è riducibile solo a questo aspetto, ma l’intera macchina organizzativa ha approfittato fino in fondo della credulità popolare, anche quando la realtà è arrivata a contraddire drammaticamente la favola.

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Bibliografia
J. K. Galbraith, La società opulenta, Milano, ed. Comunità, 1959.
J. Baudrillard, La società dei consumi, Bologna, Il Mulino, 1976.
B. Barber, Consumati: da cittadini a clienti, Torino, Einaudi, 2010.
C. Lasch, La cultura del narcisismo: l’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive, Milano, Bompiani, 1981.
A. Gibelli, Il popolo bambino — infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005.

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Giada Farrah Fowler
KYNODONTAS / ADOLESCENZA SENZA USCITA

Opinion leader, socia Aci, trascrittrice braille, testimone oculare, insegnante di cockney. Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.