Lo stagno di anatre.
Crisi economica e autoisolamento.
Nell’ultimo decennio del XX secolo il Giappone ha conquistato i vertici del mondo: costruiva le macchine migliori, produceva i microchip sui quali si sarebbe fondato il nuovo impero tecnologico, aveva creato un’economia fiorente, avanzata, tecnologicamente sofisticata, implacabilmente ossessionata per ogni dettaglio, dominava i segreti del lavoro in fabbrica, apriva la strada ad agili sistemi produttivi.
La favola dell’efficienza industriale, portata avanti con una straordinaria unità di intenti, procedeva senza le tensioni che tormentavano le società occidentali (ghetti urbani, sottoproletariato ribelle, la piaga della droga e della violenza), in un sistema incredibilmente organizzato e compatto, che consentiva al paese di accumulare tanta ricchezza rapidamente.
La popolazione accettò i limiti alla propria libertà personale in vista di uno scopo più alto: i tradizionali vanti del posto di lavoro giapponese (impiego a vita, sindacati di azienda, stipendi in base all’anzianità di servizio) contribuivano a rinforzare l’acquiescenza. I cittadini reputavano i propri dirigenti laboriosi e competenti, devoti al conseguimento degli obiettivi nazionali.
Negli anni Novanta, mentre gli elementi che costituivano la competitività globale cambiavano radicalmente, il sistema giapponese si rivelava inflessibile, esponendosi a maggiore vulnerabilità: la sua dipendenza da sistemi chiusi e rigidi era ormai anacronistica nell’era delle reti, dei sistemi aperti, in cui il lavoro intellettuale andava a soppiantare lo sforzo fisico ed il software avrebbe vinto sull’hardware.
Il Giappone si era concentrato così tanto sulla dimensione del successo che aveva perso di vista gli altri elementi importanti perché la comunità potesse prosperare.
La società veniva fatta funzionare in modo automatico per eliminare le resistenze: di fatto questo ha portato ad emarginare quei “devianti” la cui creatività ed intuito singolare avrebbero potuto preparare il terreno per il cambiamento.
Il triangolo di ferro, l’accordo tra grandi aziende, politici e burocrati governativi (spesso guidato dalle principali banche del paese) temeva che, dando ai cittadini la libertà di assecondare i propri desideri, si sarebbero messi a repentaglio i valori fondamentali della collettività e l’abnegazione risoluta che aveva spinto alla rinascita del paese dopo l’orrore dei bombardamenti atomici.
Gerarchia, consenso ed obbedienza dominavano il mondo imprenditoriale. Tramite un’abile pianificazione, elevati risparmi e un durissimo lavoro, il Giappone nel suo sforzo di “recuperare” divenne leader di molti settori di punta dell’industria. In questo processo i bambini erano sottoposti ad un rigido percorso scolastico, per poi essere collocati in un posto di lavoro che avrebbero conservato per una vita intera.
Al sopraggiungere della crisi dei primi anni Novanta, che evidenziò la bolla speculativa, il governo e gli economisti si affrettarono nel sottolineare come essa avesse carattere contingente o addirittura salutare. Mai previsione fu così errata: ci si trovava di fronte alla più grave recessione del Giappone dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Molte nazioni attraversano periodi di disordine economico (anche la bolla speculativa di Internet di matrice statunitense è scoppiata), ma nessun paese era rimasto così ostinatamente indietro come il Giappone: esausto, disorientato, è un paese che sta invecchiando, e che soffre di una disoccupazione crescente, soprattutto tra i giovani, di un debito pubblico schiacciante, una deflazione che colpisce duramente prezzi, salari ed autostima.
Tutta una serie di comportamenti emergenti possono sembrare molto familiari agli occidentali: l’ossessione per il consumismo e per le marche nella ricerca di un’identità, la difficile condizione delle donne e la loro riluttanza a sposarsi ed avere figli, l’alta incidenza di suicidi, depressione e alcolismo.
Il fatto tragico è che questi non sono argomenti sui quali i giapponesi scelgono abitualmente di confrontarsi: non a caso essi paragonano la loro società ad uno stagno di anatre, la cui superficie liscia e serena, cela invece le zampe che si muovono furiosamente sott’acqua per mantenere il proprio posto nel gruppo.
I giovani giapponesi oggi devono orchestrare nuovi modi per sfuggire a una società che annichilisce le speranze e lava via qualunque promessa di realizzazione di se stessi in un torrente di materialismo senza radici […].
Frustrati e disamorati, molti giovani giapponesi abbandonano la madrepatria. Centinaia di migliaia, invece, vagano come nomadi all’esterno del rigido sistema sociale tradizionale, rifiutandosi di lavorare, di andare a scuola o di ricevere qualunque tipo di formazione professionale.
Quando ai giapponesi si chiede di descrivere il proprio paese, una delle parole più utilizzate è semai, limitato, stretto, affollato: ci si riferisce così sia all’incredibile densità di popolazione, che ai limiti “del cuore”, atteggiamenti imposti da opinioni convenzionali e da rapporti umani complessi e selettivi, che soffocano la libertà individuale. Il paese decide di chiudere fuori il pluralismo, avvalendosi di tutta una serie di astute tattiche per preservare il suo singolare senso di sicurezza: adotta l’autoisolamento, tiene sistematicamente alla larga le potenti forze dell’integrazione globale sotto la supervisione degli Stati Uniti, genitori permissivi per comodità, dai quali l’intera economia nipponica dipende completamente. La sconfinata paura dell’immigrazione e l’atteggiamento freddo adottato nei confronti degli investimenti stranieri diretti sono politiche che potrebbero rivelarsi scomode poiché, con un tasso di natalità in netto calo, ci si troverà nel breve termine di fronte a una carenza di lavoratori specialmente nelle mansioni più faticose e pericolose. Pertanto, mentre il benessere ed il prestigio del paese decrescono, il Giappone si trova a dover affrontare una serie di scelte dolorose, che lo obbligano ad affrontare il cambiamento.
Secondo il mito della creazione del Giappone, dopo che il fratello ribelle di Amaterasu le ebbe devastato la terra e saccheggiato il giardino, i templi e i campi di riso, lei si nascose in una caverna e sprofondò il mondo nell’oscurità. Solo per mezzo di canti e feste fu possibile farla uscire dal suo profondo isolamento.
L’unica speranza per il Giappone moderno è che, come la dea del Sole, smetta di negare sé stesso e riesca ad uscire dalla cupa caverna nella quale adesso vive.