Medicina digitale. Nuove frontiere per la salute?

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Ringraziamenti

Ringrazio la Fondazione per la Salutogenesi di Bologna e il suo presidente, il Dott. Paolo Roberti di Sarsina, per aver ospitato questo contributo all’interno della rassegna: “ Digitalizzazione: libertà o prigione? Come il digitale sta cambiando le nostre vite” [1] che si è svolta da marzo ad Aprile 2021 a cura del gruppo psicologi, di cui mi onoro di fare parte. Ringrazio altresì i colleghi, il Dott. Benedetto Tangocci; la Dott.ssa Patrizia Scanu; la Dott.ssa Giuditta Fagnani e la Dott.ssa Rosanna Camerlingo, che attraverso i loro contributi, precedenti a questo, hanno alimentato le considerazioni riportate in questo articolo; infine ringrazio l’amico Lamberto Burgassi; autore ed economista esperto in ITC, per i preziosi consigli che mi ha fornito nel corso della stesura.

Introduzione

In questi ultimi anni il suffisso “e” qualifica la trasposizione di un numero sempre maggiore di servizi su piattaforme informatiche. Nondimeno viene sempre più spesso utilizzato anche nel campo della medicina, per cui sentiamo parlare frequentemente di medicina digitale o e-health. Spettacolari pubblicità ci mostrano la promessa dei benefici che l’applicazione del 5G porterà in svariati campi, tra cui quello della salute.

Possiamo constatare come gli sviluppi che il 5G promette coinvolgano molteplici avanzamenti tecnologici infrastrutturali, ma soprattutto un utilizzo esponenzialmente aumentato dell’uso dei dati. Ma di quali dati parliamo? Di tutti i dati che è possibile estrapolare da ognuno di noi e dagli oggetti che ci circondano. Google definisce questi dati come surplus comportamentale [2] che possiamo considerare la vera miniera d’oro, come anche il carburante necessario al funzionamento dei Big Data. La penetrazione di questi strumenti guidati dalle logiche di profitto delle grandi Corporation economiche e industriali, si annuncia essere ancor più pervasiva di quanto non lo sia già oggi e colonizzerà a breve le nostre più o meno inconsapevoli consuetudini.

Nel 2016 il patron del World Economic Forum (WEF), Klaus Schwaub, lancia la definizione che accompagna la quarta rivoluzione industriale: industria 4.0 [3]; indicando i vettori attraverso i quali questa verrà realizzata:

1) un potente rilancio dell’Intelligenza Artificiale (AI)

2) la crescita esponenziale dei Big Data e del loro utilizzo

3) l’iperconnessione diffusa, che si appoggerà allo sviluppo e alla diffusione della rete 5G

4) l’Internet delle cose (IoT) e la robotica avanzata.

Questa nuova forma di capitalismo sposta il proprio valore dai beni materiali estratti dalla natura ai beni immateriali estratti dalle persone, in sostanza i dati sono la nuova piattaforma di estrazione del capitale e il terreno siamo noi. Questi dati basano il loro potere sul concetto di renderizzazzione, ovvero la restituzione di valore in termini di marketing e condizionamento dei comportamenti degli utenti, sospinti in base all’utilizzo di tali dati a compiere scelte di mercato ovviamente non consapevoli e libere. La quantità dei dati, il loro riutilizzo e il loro costante arricchimento, pianificano e realizzano quindi una redditizia economia di scala e “targettizzano” perfettamente un’efficiente economia di scopo. Se ci pensiamo bene nulla è mai stato realizzato in passato con una tale chirurgica precisione[4]. Si deve inoltre considerare che l’impatto di un processo talmente esteso di automatizzazione della produzione e della socialità non potrà non avere conseguenze sul piano della distribuzione del lavoro e dei costumi. Secondo un rapporto dell’agenzia internazionale di consulenza manageriale McKinsey[5] redatto nel 2018 entro il 2030 i posti di lavoro minacciati saranno 800 milioni, seppure ottimisticamente lo stesso rapporto salva i mestieri più creativi e intellettualmente orientati. Possiamo sperare soltanto che la predizione del McKinsey ricalchi la loro proverbiale fallacia per la quale altre predizioni si sono rivelate errate[6].

Uno studio condotto da due studiosi dell’Università di Oxford, Carl B. Frey e Michael Osborn, riportato nel programma del WEF, afferma che il 47% dei posti di lavoro americani sono ad alto potenziale di automazione entro il 2030. In tal senso, l’occupazione aumenterà negli ambiti professionali intellettuali e creativi altamente retribuiti e nei lavori manuali con una bassa remunerazione, mentre diminuirà per attività mediamente retribuite che riguardano mansioni routinarie. Lo studio ha conferito un indice di fragilità compreso tra 0 e 1 alle professioni in esame, che rivela il rischio di estinzione di una professione tanto quanto più questa si avvicina all’1. Ha inoltre identificato una scala di professioni ad alto potenziale di automazione e, viceversa, mestieri a bassa probabilità di automazione. Se ne riporta un prospetto nella tabella 2 [7].

In sostanza, come i social media hanno creato la cosiddetta polarizzazione dei contenuti selezionandone alcuni e indirizzandoli a gruppi scelti di utenti a scopi di marketing, politici e sociali; allo stesso modo l’AI determinerà una polarizzazione del lavoro umano, occupando tutta la fascia di professioni intermedie che stanno tra quelle intellettuali e quelle a più basso contenuto intellettivo.

In base a queste previsioni, appare chiaro che il rapporto che dovremo e sapremo stabilire con la digitalizzazione della vita quotidiana influenzerà il concetto di cittadinanza e modificherà la nostra percezione psicologica della realtà, allo stesso modo anche i concetti di partecipazione sociale, mobilità, salute e diritto al lavoro che fino ad oggi abbiamo avuto sono destinati a modificarsi [8] limitando sempre più il rapporto tra persone attraverso la semplificazione di alcuni aspetti procedurali legati a queste consuetudini.

Questo enorme movimento di trasferimento del lavoro, dell’economia e delle relazioni su piattaforme ICT vede dispiegare enormi investimenti delle agenzie pubbliche e private, ma non possiamo non considerare come rappresenti una deriva disumanizzante del vivere. I decisori, che non sono soltanto pubblici, anzi lo sono in minima parte, hanno tutto l’interesse perché le tecnologie dell’informatizzazione conquistino ogni aspetto della vita quotidiana, in sostanza il processo si presenta inarrestabile. Il problema che dobbiamo quindi sollevare riguarda la possibilità di rendere questo cambiamento utile e al servizio dell’umanità e non, al contrario, renderlo egemone sulla natura e sui comportamenti umani.

Per fare un esempio, il ministro italiano per la transizione ecologica e l’innovazione digitale, prevede che almeno 40 miliardi del recovery fund verranno destinati all’innovazione[9]. Le infrastrutture coinvolte in questa trasformazione digitale sono: l’industria, la mobilità, l’educazione e la medicina[10].

In una sinergia tra pubblico e privato che vede sempre più il settore privato e i suoi attori monopolisti alla guida delle politiche dei governi, assistiamo allo sviluppo di agende programmatiche che prevedono settori dedicati, per esempio, a quella che viene chiamata transizione ecologica, un’etichetta che prevede di ridisegnare in chiave green l’economia del mondo dotando settori come la produzione e la mobilità di strategie per l’abbattimento delle emissioni di CO2. Tuttavia l’effettiva portata della sostenibilità energetica prevista dalla rivoluzione verde non sembra tanto immediata. Viene, ad esempio, messa seriamente in dubbio da un recente studio effettuato da alcuni ricercatori del MIT di Boston [11], per i quali, dai loro calcoli emerge che l’allenamento necessario ad ottenere un medio funzionamento di un’intelligenza artificiale arriva a produrre 626.000 libre di anidride carbonica, che equivale alla quantità di emissioni di 5 automobili di grossa cilindrata durante il loro intero ciclo di vita. In un altro studio effettuato da due sociologi[12] australiani viene spiegato come l’eccessivo ottimismo e politiche di governance definite anticipatorie portano ad una sovrastima della bontà del paradigma biotecnologico e dell’efficacia delle politiche green nella vita delle persone, con il frequente risultato che le promesse stesse si traducano poi in fallimenti o risultati mancati.

L’intento di un’economia che rispetti l’ecologia sarebbe di per sé lodevole e il volano della digitalizzazione potrebbe anche apparire uno strumento e un traguardo utile allo sviluppo del benessere sociale se solo fosse declinato nel senso della ricerca dell’effettivo miglioramento della qualità della vita delle persone, ma ulteriori ombre gravano sui metodi e sugli obiettivi, dal momento che gli industriali, le grandi società di capitali, le case farmaceutiche, l’indotto e nondimeno le pubbliche amministrazioni, ricercano altre forme di sviluppo e crescita economica in un contesto ormai inaridito, traendo enormi profitti da settori che fino ad oggi hanno rappresentato perlopiù una voce di spesa.

Non dobbiamo dimenticarci, per esempio, anni di difficoltà di gestione sanitaria, drammatica al sud — derivante dal progetto politico di smantellamento della sanità pubblica, in cui le cronicità, le liste d’attesa, le prestazioni non erogate, in sostanza l’incapacità del sistema sanitario di far fronte ai bisogni respingendo orde di malati, delegandoli, appaltandoli, scaricandoli sulla sanità privata accreditata e non — hanno dominato il campo dell’erogazione delle cure e della loro qualità.

Oggi, in senso opposto, per ottenere vantaggi dal sistema delle cure digitalizzate è necessario definire nuove categorie di ammalati, come per esempio gli asintomatici, e nuove categorie di rischio biologico, allo stesso modo si stabiliscono nuove modalità di cura funzionali ad altrettanto nuovi modelli di malattia, per le quali la digitalizzazione diventa il principale driver di sviluppo delle prassi, dei processi e degli esiti. L’attualità ci consegna una evidente strategia di confluenza tra gestione della salute pubblica e digitalizzazione della medicina, innanzitutto per quello che vediamo quotidianamente e che possiamo definire l’evento pubblico inaugurale su vasta scala di questo nuovo trend, ovvero la “pandemia” da coronavirus. Come scrivono la giornalista Maria Pia Rossignaud e il sociologo Derrick De Kerckhove[13]:

Il coronavirus diviene simbolicamente un punto di incontro e di «collaborazione» fra uomo e macchina. È anche un climax della civiltà, che segna un punto di non ritorno in una transizione già iniziata, incarnata dall’incontro fra la natura virale dell’informazione e la natura virale del contagio. Il virus esce dal nulla e si ritrova ovunque. Un po’ come il gemello digitale, che è anche frutto di contagio e contaminazione fra vari tipi di informazioni.

Il coronavirus si presenta quindi come il perfetto grimaldello delle trasformazioni digitali che attendevano la loro definitiva consacrazione dopo anni di lenta e pervasiva penetrazione nella vita di ognuno di noi.

Uno tra gli esempi più popolari di questo interscambio nel campo della salute digitale mobile è rappresentato dall’app Immuni, il sistema ufficiale di tracciamento dei contagi Covid-19 utilizzato dall’agenzia sanitaria. Il fatto che sia un’app gratuita non significa che non generi profitto o altre utilità, poiché il tracciamento dei comportamenti e dei contatti dirige i consumi innanzitutto nel campo dell’industria della salute, attraverso attività di profilazione sempre più sofisticate, che superano l’apparente utilità restituita dal censimento e dal tracciamento che l’app promette di garantire al possessore. I campi di profitto realizzabili con un’applicazione di questo tipo si spingono oltre alla sua apparente vocazione e riguardano comportamenti sociali che l’agenzia sanitaria considera preventivi. Al contrario l’utilizzo del sistema di tracciamento fomenta una serie non banale di comportamenti che determinano diverse conseguenze, sia sul piano della salute che dei consumi: fomenta, per esempio, l’isolamento sociale e comportamenti disfunzionali che in psicosomatica vengono definiti come Ansia per la salute, Comportamento abnorme di malattia e Nosofobia [14], ovvero tendenze sempre più accentuate a sovrastimare sintomi o segnali del corpo, nella direzione di un giudizio autoriferito di natura ipocondriaca. A tutto ciò, possiamo ipotizzare, che si aggiunga la perniciosa sinergia tra comportamenti compulsivi, come per esempio guardare ripetutamente lo smartphone, e preoccupazioni per la propria salute, che potrebbero potenziarsi reciprocamente dando luogo a quadri di natura ansiosa difficilmente controllabili.

Amplificando gli effetti negativi sulla salute psicologica e la determinazione di comportamenti peculiari delle persone l’app si potrebbe spingere oltre garantendo la spesa farmaceutica procapite, come anche l’intrattenimento al domicilio e i consumi essenziali di generi alimentari, provveduti sempre dalla grande distribuzione e tutto questo inciderà ancor più sulle disfunzioni e su stili di vita nocivi, creando un circolo vizioso potente e incoercibile.

Un esempio che contestualizza quanto appena detto, riguarda l’irruzione di Amazon nel campo della distribuzione farmaceutica. Il colosso multinazionale ha infatti acquistato nel 2018 la farmacia online Pillpack che riconfeziona i farmaci secondo le dosi prescritte, promettendo di praticare scontistiche fino all’80% sui farmaci generici, consegnando il prodotto a casa in brevissimo tempo e con regolarità, l’occasione di fare profitto è molto favorevole e in via di completa realizzazione. Come infatti riporta il consorzio per il commercio digitale Italiano Netcomm, nel 2020 i consumi online di prodotti farmaceutici sono cresciuti del 73% arrivando a 16,9 milioni di persone. Il mercato del Pharma & Health è salito a 1,22 miliardi di Euro, l’87% in più rispetto al 2019[15]. Comprendiamo quindi l’enorme portata degli interessi commerciali in gioco.

Il lockdown diventa in tal modo uno strumento irrinunciabile per il profitto di queste grandi aziende e, come abbiamo potuto constatare durante il periodo tra marzo e maggio del 2020, ha presentato un primo assaggio di come le tecnologie e la connettività siano state designate a diventare il sistema regolatore dei nostri consumi, dei nostri comportamenti, dei nostri apprendimenti e della nostra salute.

Come scrive il dott. Massimo Citro della Riva nel suo ultimo libro “Eresia”:

[…] nel racconto ufficiale la tecnologia ci ha supportati e aiutati in tutta la fase di quarantena: abbiamo studiato a casa, abbiamo lavorato da casa, da casa abbiamo potuto tenerci informati…A casa ci sono stati recapitati direttamente i beni di cui avevamo bisogno e questo grazie alla tecnologia. Ma stiamo attenti: in nessun’altra epoca storica sono mai state messe in quarantena intere popolazioni e questo perché non c’era ancora la tecnologia. […] Non è la tecnologia ad averci salvati la tecnologia è la causa della pandemia.” [16]

Aggiungerei che se non è proprio la causa diretta diventa comunque uno strumento fondamentale per il suo mantenimento in essere.

In tal senso sorge una riflessione su quelle che potrebbero essere i principi strutturali propagandati dal WEF che sovrintendono allo sviluppo dell’automazione: la velocità; il transumanesimo e la limitazione dell’arbitrio umano. Gli esiti che tali principi promettono di realizzare sono: il risparmio e la razionalizzazione economica del singolo e dei gruppi sociali, più tempo libero, più efficienza, più salute, più controllo e sicurezza. Sorgono tuttavia alcuni dubbi, che proveremo a puntualizzare.

Man mano che passano i mesi, siamo sempre più consapevoli che la trasformazione digitale è in cima all’agenda dei governi. Un documento, sempre a firma del WEF datato al 2015, asserisce di aver svolto un’intervista su un campione rappresentativo di persone domandando loro in che percentuale ritenessero che una lista di 22 trasformazioni tecnologiche avrebbero potuto essere auspicabili e realizzabili entro il 2025. Di queste trasformazioni ne abbiamo già idea di altre non ancora. Vale la pena elencarle. La cifra in cima alla voce rispecchia la percentuale del campione che ha risposto affermativamente alla domanda.

Il resoconto aggiunge che su due ulteriori punti di cambiamento non è stata svolta l’indagine: la pianificazione degli esseri umani e le neurotecnologie. La mancanza di indagine ci fa supporre che il campione non fosse pronto per una tale prospettiva e, senza incorrere nel rischio di pensar male, a questo punto si può ben sospettare che l’uso delle tecniche di editing genetico e di ibridazione uomo-macchina configuri in ogni campo del vivere e della sperimentazione scientifica, il pericolo eugenetico di selezione dei tratti della specie: nell’agricoltura, nella natura e nell’uomo.

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Bibliografia Part 1

[1] Questo articolo è stato presentato all’interno di un ciclo di conferenze organizzate dalla Fondazione per la Salutogenesi di Bologna, dal titolo: “Digitalizzazione della vita: Libertà o prigione?”, nel periodo di marzo-aprile 2021.In Schwaub K. Op. cit.

[2] Zuboff S. (2019). Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press

[3] Schwaub K. (2016). La quarta rivoluzione industriale. Franco Angeli, Milano

[4]Zuboff. Op. cit.

[5] Longo A., Scorza G. (2020). Intelligenza artificiale. L’impatto sulle nostre vite, diritti e libertà. Mondadori, Milano.

[6] https://www.qualcosadisinistra.it/2021/03/07/mckinsey-consulenza-cellullari/

[7] In Schwaub K. Op. cit.

[8] È di questi giorni il dibattito sul pass vaccinale e mentre scrivo larga parte dei professionisti sanitari sono in forte apprensione per la promulgazione di leggi che impongono l’obbligo di sottoporsi ad un vaccino ancora in fase sperimentale, in sfregio al Codice di Norimberga, alla Dichiarazione di Helsinki e alla Costituzione Italiana stessa.

[9] https://www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=11982

[10] https://www.europarl.europa.eu/italy/resource/static/files/import/mff_roma_7_2_2020/il-bilancio-dell-ue-in-sintesi_2019.3214_it_03.pdf

[11] https://arxiv.org/abs/1906.02243

[12] Petersen A, Krisjansen I. Assembling ‘the bioeconomy’: Exploiting the power of the promissory life sciences. Journal of Sociology. 2015;51(1):28–46. doi:10.1177/1440783314562314

[13] Rossignaud M.P, De Kerckove D. (2020). Oltre Orwell. Il gemello digitale. Castelvecchi, Roma.

[14] Porcelli P. (2009). Medicina psicosomatica e psicologia clinica. Modelli teorici, diagnosi, trattamento. Raffaello Cortina, Torino

[15] https://www.digital4.biz/executive/pharma-trend-industria-farmaceutica-post-covid/

[16] Citro della Riva M. (2020). Eresia. Riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di Covid-19. Byoblu edizioni, Milano

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Alessandro Campailla
LaTI® — Laboratorio Teatro d’Impresa

Psicologo, psicoterapeuta e fisioterapista. I miei campi di studio sono: il rapporto mente-corpo-società, nel suo sviluppo storico e in relazione alla clinica