Il cambiamento politico necessario e come comunicarlo — Appunti per una forza eco-socialista

Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe
13 min readSep 14, 2019
http://www.ecology.gen.tr/political-ecology/129-a-marxist-ecological-vision.html

Venerdì 13 settembre 2019, all’Ex-OPG di Napoli, nell’ambito del Je so’ Pazzo Festival 2019, si è tenuto l’incontro /dibattito “Come combattere la Bestia” su tempi e modi della comunicazione politica nell’era dei social network, quali nuovi mezzi di comunicazione di massa almeno potenzialmente — e in linea di principio — accessibili a tutti (o quasi).

Non potendo materialmente essere presente, ho inviato ad alcuni compagni del gruppo organizzatore di Potere al Popolo degli appunti che, di seguito, trascrivo integralmente:

Comunicazione social — Appunti per l’iniziativa all’Ex-OPG del 13 settembre 2019

Sul piano comunicativo, la battaglia sui social necessita urgentemente di un immaginario alternativo: la costruzione del sogno, della nuova società. Un orizzonte futuro desiderabile ed auspicabile.

Al tempo stesso però deve essere presente e dettagliatamente articolato un progetto di intervento concreto ed immediato. Qui e ora facciamo questo su ciascun territorio in cui siamo operativi. Qui e ora abbiamo queste specifiche proposte di legge.

Un esempio può essere utile. Prendo spunto dal lavoro di pagine social come Potere all’iperstizione (et similia).

I meme accelerazionisti sulla piena automazione, sulla società senza lavoro e del tempo liberato, sul cybercomunismo, etc. se, per un verso, sono efficacissimi su tutti quelli che hanno già sviluppato una sensibilità politica su questi temi, per l’altro verso rischiano di creare confusioni e fraintendimenti nelle masse formate e strutturate nel ventre della propaganda totalizzante del pensiero dominante padronale in cui il lavoro ( = lo sfruttamento capitalista dello stesso) è lo scopo ultimo di ciascuna esistenza.

Per questo motivo, l’orizzonte futuro e il progetto di società — la rivoluzione del tempo liberato, potremmo dire con un vecchio slogan movimentista — vanno coltivati con un sapiente e certosino lavoro di costruzione di senso.

Ciascun singolo meme di liberazione deve avere una vasta gamma di materiali online immediatamente accessibili e disponibili a tutti per approfondire la tematica.

E, proprio perché in questa nostra società, di tempo libero ne abbiamo tutti pochissimo chi milita e di dedica alla causa lo deve fare avendo bene in mente che ci deve essere una necessaria gradualità nei livelli di comunicazione, con diversi stadi di sintesi delle tematiche da trattare.

Chiarisco subito il punto: non funziona il meme senza materiali di riferimento (teorici e pratici), né funziona il meme con il riferimento a una vasta bibliografia da consultare.

Il lavoro della comunicazione deve essere principalmente lavoro di sintesi con diversi stadi di un processo divulgativo che, a grandi linee, dovrebbe seguire uno schema di questo tipo:

- meme di liberazione;

- link a un breve testo e/ a un breve video di sintesi della tematica trattata (max 30 righe per il testo; max un minuto e trenta secondi per il video);

- link alle proposte politiche per accompagnare questo processo rivoluzionario nella fase di transizione (sul tema portante, ad es. settimana lavorativa di 32 ore settimanali e 2 giorni liberi oltre alla domenica e ai festivi; reddito garantito e corsi di formazione per chi resta senza lavoro);

- link alle specifiche iniziative sui territori e alle singole e dettagliate proposte di legge;

- link ai materiali bibliografici per eventuali ulteriori approfondimenti.

In ogni caso, sia il lavoro sui social che quello negli eventuali spazi sui vecchi media mainstream (interventi televisivi in particolare), andrebbe fatto sempre con un chiaro riferimento al movimento politico: nome e simbolo sempre in bella mostra; richiami frequenti al sito, alle pagine social e alle realtà territoriali su cui venirci a cercare.

Su quest’ultimo punto non ho altro da aggiungere a quanto già sostenuto negli ultimi anni: puoi avere la più bella proposta politica di questo mondo, ma se non sei identificabile in maniera chiara univoca e riconoscibile ( = se cambi nome e simbolo ad ogni tornata elettorale), il consenso di massa è e resterà sempre un miraggio.

Va detto subito che queste righe e quelle che seguiranno hanno necessariamente il carattere dello spunto per una discussione da sviluppare collettivamente e dialetticamente.

Nessuna pretesa di esaustività, insomma.

Piuttosto vogliono essere delle possibili tracce per un percorso politico che sia realmente alternativo a tutto quello che siamo soliti vedere e sentire da diversi decenni a questa parte, ormai.

Occorre comprendere, in particolar modo, che le sfide che vanno affrontate qui e ora nulla hanno a che vedere con l’odiosa e insopportabile pantomima dell’unità delle sinistre (e, come già evidenziato a suo tempo, bene ha fatto Potere al Popolo a chiamarsi fuori dall’ultimo cartello elettorale usa e getta — N.B. Qui è dove, come previsto, l’ex segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero annuncia la fine della brevissima esperienza unitaria con gli ex SEL ora SI).

Questo nostro tempo impone a tutti quelli che avranno il coraggio di farsene carico scelte coraggiose ma necessarie e ineludibili: è sufficiente una rapida lettura dell’ultimo rapporto IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) per rendersi conto di quanto le cause del problema siano direttamente connesse con la struttura economica e sociale capitalista (e consumista) e di quanto e come le soluzioni proposte siano ostacolate proprio di questo sistema, che andrebbe urgentemente superato.

Alcuni passaggi è bene trascriverli per esteso:

Quanto il sistema di produzione alimentare contribuisce ai cambiamenti climatici?

- Il sistema alimentare globale, che include tutte le emissioni generate lungo l’intera filiera dalla produzione fino al consumo, contribuisce per circa il 25–30% delle emissioni antropogeniche di gas serra. Dal 1960 il consumo di calorie pro capite è aumentato di circa un terzo, il consumo di carne è raddoppiato. L’uso di fertilizzanti chimici è aumentato di nove volte e le aree naturali convertite in agricoltura sono 5,3 milioni di km2, corrispondenti a poco meno della superficie di tutta l’Europa continentale (esclusa la Russia Europea) con un consumo idrico per l’irrigazione pari al 70% del consumo umano totale di acqua dolce. Allo stesso tempo, lo spreco alimentare pro capita è aumentato del 40% e corrisponde attualmente al 25–30% del cibo prodotto, che contribuisce all’ 8–10% delle emissioni del sistema alimentare.

- Per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 2°C, è necessario un cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete a basse emissioni di carbonio, che prevedono un consumo maggiore di vegetali e frutta, e una sostanziale riduzione di consumi di carni rosse. Queste diete hanno anche notevoli vantaggi in termini di salute. Il potenziale di riduzione di gas serra dal cambio di alimentazione è elevato: una transizione diffusa a diete più sane potrebbe liberare un’area da 4–25 MKm2 al 2050 e avrebbe un potenziale di riduzione pari a 1.8–3.4 Gt CO2eq all’anno al 2030, una riduzione di emissione confrontabile alle emissioni generate dalla deforestazione mondiale.

- A livello mondiale, attualmente 821 milioni di persone sono denutrite (una persona su 10) mentre 2 miliardi sono invece affette da obesità (2,5 persone su 10).

E ancora:

A quali rischi sono esposti gli ecosistemi terrestri a causa dei cambiamenti climatici?

- ll rapporto mostra che i cambiamenti climatici aggravano le pressioni esistenti sulle risorse terrestri, sui servizi ecosistemici e sulla biodiversità dallo sfruttamento delle risorse terrestri e d’acqua dolce, il quale non ha precedenti negli ultimi decenni.

- La temperatura dell’aria sulle terre emerse è aumentata più rapidamente della media globale e ha raggiunto circa 1,5°C in più rispetto all’era preindustriale (quasi il doppio del tasso di aumento della temperatura media globale, che considera anche gli oceani).

- Sono stati già osservati gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi naturali terrestri, il degrado del permafrost, la desertificazione, il degrado del territorio ed impatti sulla sicurezza alimentare. I cambiamenti climatici aumentano il tasso e l’entità del degrado del suolo in corso attraverso due fattori principali: aumento della frequenza, intensità e/o quantità di forti precipitazioni e aumento dello stress da calore. Il riscaldamento globale futuro aggraverà ulteriormente i processi di degrado attraverso inondazioni e più frequenti fenomeni siccitosi, aumento dell’intensità dei cicloni e innalzamento del livello del mare con effetti differenziati a seconda della gestione del territorio. La distribuzione di parassiti e patologie cambierà, influenzando negativamente la produzione agricola in molte regioni.

- In particolare, nella regione del Mediterraneo, la diminuzione osservata e prevista delle precipitazioni annuali a causa dei cambiamenti climatici è accompagnata da un aumento dell’intensità delle precipitazioni con conseguente erosione del suolo.

E infine:

Quali sono le possibili soluzioni per mitigazione ed adattamento?

- La mitigazione e l’adattamento sono due facce della stessa medaglia nelle politiche di gestione territoriale e ambientale, e l’una non può prescindere dall’altra. Soprattutto quando si parla di mitigazione, è fondamentale assicurare la resilienza degli ecosistemi agricoli e forestali per garantire la permanenza del carbonio stoccato e preservare la capacità di assorbimento di CO2 di questi sistemi. Ad esempio attività di rimboschimento dovrebbero essere associate a misure di protezione dagli incendi boschivi in aree ad alto rischio.

- Esistono molte strategie efficaci di gestione del territorio a basso/medio costo, che coinvolgono la gestione della filiera alimentare e la gestione del rischio, e allo stesso tempo contrastano il cambiamento climatico, il degrado del suolo e promuovono la sicurezza alimentare.

- La maggior parte di queste strategie può essere applicata senza incorrere nel rischio di aumentare la competizione per l’uso della terra, offrendo potenzialmente molteplici vantaggi. Ad esempio, il cambiamento della dieta alimentare, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari possono ridurre la pressione sulle risorse, contribuendo allo sradicamento della povertà e al miglioramento delle condizioni di salute e igiene con un potenziale di mitigazione di 0.7–8,0 GtCO2-eq anno-1 per il cambiamento a diete a basso consumo di carne, mentre la riduzione dei rifiuti alimentari e agricoli può ridurre le emissioni di 0,8–4,5 CO2-eq anno-1

- La gestione del territorio presenta numerose sfide che toccano diversi ambiti fondamentali per la vita umana e dell’ambiente in cui viviamo. Le azioni di mitigazione e adattamento devono considerare le condizioni locali, la varietà di interessi contrastanti e i limiti fisici ambientali. Pacchetti di misure e politiche integrate e coerenti per la gestione climatica e del territorio supportati, ad esempio, da approcci partecipativi e strumenti di valutazione delle prestazioni, presentano un notevole potenziale per un uso efficiente delle risorse, amplificando la resilienza sociale, il restauro ecologico e l’impegno sul territorio delle parti interessate.

- La protezione delle foreste e la riduzione del degrado forestale è l’opzione di mitigazione che ha il potenziale più elevato anche in termini di benefici ambientali e sociali (0.4–5.8 GtCO2-eq yr-1).

- Il potenziale totale di mitigazione delle attività agricole e zootecniche è stimato in 1,5–4,0 GtCO2eq all’anno entro il 2030 a prezzi che vanno da 20–100 USD / tCO2eq, attuando misure con notevoli sinergie tra adattamento e mitigazione. L’aumento della sostanza organica dei suoli aumenta la capacità di stoccaggio di CO2 atmosferica (mitigazione), migliorando la capacità di ritenzione idrica dei suoli (adattamento).

- Molti modelli climatici fanno affidamento ad azioni di mitigazione che prevedono rimboschimenti e diffusione di colture bioenergetiche su larga scala, associate a sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio (BECCS). L’attuazione di queste misure su larga scala, può aumentare il rischio di competizione per l’uso della terra con altri usi (es. Produzione agricola). Aumentare l’estensione e l’intensità della produzione di biomassa attraverso, ad esempio, l’aumento dell’uso di fertilizzanti, dell’irrigazione o dell’utilizzo di monocolture, può provocare impatti negativi come il degrado ambientale. D’altra parte, quando vengono attuate rispettando i criteri di sostenibilità ambientale e sociale, le produzioni di bioenergia su scala locale, come anche le attività di rimboschimento di aree degradate, possono portare notevoli benefici per il ripristino e restauro ambientale di zone marginali.

Di fronte a tutto questo è necessario e urgente un lavoro politico che parta dallo studio attento della più grave emergenza planetaria, e punti alla creazione di una forza politica in grado di far sì che la battaglia per la salvezza dell’ecosistema sia una battaglia rivoluzionaria e planetaria, per la creazione della nuova società post-capitalista.

Non basta un movimento ma occorre una vera e propria forza politica che sia di massa, su ciascun territorio statale, e che abbia le masse — e non le nicchie già politicizzate — come proprio referente immediato.

E per avere il consenso delle masse — e il respiro internazionale — bisogna avere ben chiaro il proprio progetto politico (e già su questo, quantomeno in Italia, abbiamo evidenti problemi tutt’altro che risolti) ma poi bisogna anche saper lavorare molto bene sulla comunicazione:

  1. evidenziando sempre quanto sia appunto il modello consumistico capitalista ad aver creato il problema emergenziale e a renderne terribilmente difficile la soluzione;
  2. riuscendo a creare contenuti virali, potenziali e concreti, in grado di raggiungere chiunque abbia una connessione internet attiva e l’accesso ai principali social media.

Su questo specifico punto, la tecnica del meme politico è efficacissima e molto usata nelle campagne made in USA & UK, in particolar modo.

In tal senso, riprendendo e sviluppando conclusivamente lo spunto citato in apertura, un paio di esempi concreti possono essere utili a ben comprendere potenzialità e rischi dell’utilizzo di questo strumento (e perché quindi sarebbe opportuno implementarlo col ricorso a materiale divulgativo adeguato e ben strutturato su più livelli).

Sul versante della questione ambientale il messaggio base è abbastanza immediato e di facile e pronta comunicazione, in effetti: «ABBATTI IL FOTTUTO CAPITALISMO — SALVA IL PIANETA!».

https://www.facebook.com/poterealliperstizione/photos/a.262160921149334/393241811374577/?type=3&theater

E tuttavia, anche qui, una serie di brevi video e brevi testi — accompagnati anche a eventuali testi di ulteriore e maggiore approfondimento — in grado di chiarire molto bene il ruolo che il sistema economico capitalista e il suo modello consumista hanno avuto (e stanno avendo) nella degradazione delle condizioni di vita sul pianeta sarebbero utilissimi e preziosi per radicare e motivare il convincimento ben espresso nello slogan, e rafforzato dalle immagini scelte per veicolarlo.

Ma è sul versante del nuovo e diverso modello di organizzazione del lavoro che il materiale a carattere divulgativo — e quello per gli eventuali approfondimenti — appare (ed è) letteralmente indispensabile.

L’idea che il progresso tecnologico possa tradursi in una diversa e meno gravosa organizzazione dei tempi e dei modi di lavoro ha un illustre e noto sostenitore in John Maynard Keynes.

Keynes nel suo saggio “Economic Possibilities for our Grandchildren” (1930), immaginava addirittura una società con turni giornalieri di 3 (tre) ore per complessive 15 (quindici) ore di lavoro settimanale.

In Italia, nel 1998, ci fu una crisi di governo perché un governo di centrosinistra (il Prodi I) considerava impraticabile una legge che riducesse l’orario di lavoro settimanale a 35 ore.

Oggi esistono persone che lavorano anche 12 ore al giorno per complessive 60 ore settimanali.

Qualche giorno fa io ho condiviso nelle mie reti social questo meme sulla liberazione dal lavoro:

https://www.facebook.com/poterealliperstizione/photos/a.262160921149334/390396394992452/?type=3&theater

L’immagine col testo di accompagnamento è stata immediatamente capita e apprezzata da diversi contatti d’area, che già condividono la battaglia per la liberazione del tempo di vita, invero nemmeno più tanto di nicchia («Vivere per lavorare / O lavorare per vivere» - Lo Stato Sociale, Sanremo 2018).

Nondimeno, questo stesso meme è stato clamorosamente male interpretato da una persona che ha automaticamente tradotto e proiettato “un mondo senza lavoro” in una condizione soggettiva di disoccupazione — e quindi di disagio esistenziale e materiale — ovvero in ciò che tipicamente accade, secondo le regole del capitalismo, in un’economia di mercato senza intervento pubblico equilibratore e senza adeguate norme di protezione sociale a carattere universalistico.

In quest’ambito, soprattutto in Italia, il lavoro da fare sia sul piano dell’elaborazione politica ( = progettualità di breve, medio e lungo periodo), sia su quello della comunicazione è pertanto letteralmente proibitivo.

https://www.facebook.com/poterealliperstizione/photos/a.262160921149334/393621418003283/?type=3&theater

Vanno smontati e ricomposti, pezzo dopo pezzo, con sapiente lavoro teorico e divulgativo, gli strumenti concettuali di ciascun lavoratore, esposto a circa quattro decenni di propaganda padronale sostanzialmente a senso unico.

Si tratta di un lavoro che va fatto alla radice, partendo proprio dall’ABC dei fondamenti di un modello economico e sociale che è storicamente dato, che è frutto di una esperienza umana che valorizza la competizione e le leggi di mercato, nella misura in cui questo sistema permette ad un certo gruppo sociale (largamente minoritario) di avere ricchezza e potere, imponendo condizioni di vita e di lavoro debilitanti a larga parte della popolazione, lasciando nella miseria più nera fette sempre più consistenti di individui e gruppi umani e, come abbiamo già visto, devastando al contempo l’ecosistema fino al punto di arrivare a minacciare l’esistenza stessa della vita umana sul pianeta per gli anni a venire.

Nulla vieta di organizzare le attività produttive e i servizi con turni di lavoro sul modello preconizzato da Keynes: se ciascun individuo lavora per 3 ore al giorno, e per complessive 15 ore settimanali, cambia semplicemente il modo in cui si distribuisce il lavoro e, laddove prima si impiegava una persona, ora se ne devono impiegare tre.

In tal senso nemmeno il progresso tecnologico e la progressiva automazione diventano una minaccia: le macchine non ti rubano il lavoro; semplicemente ti possono permettere di lavorare meno ed avere più tempo libero per fare tutto ciò che più ti aggrada e ti fa stare bene.

Se le macchine ti tolgono il lavoro è perché, nel capitalismo, ci sono due classi: quella composta da individui che si arricchiscono usando il lavoro degli altri; e quella composta dalle persone che vengono sfruttate da questa minoranza, per garantire il loro processo di accumulazione ed arricchimento.

In questo modello, coloro che sfruttano il lavoro altrui hanno interesse a estrarre maggior lavoro da ogni singolo lavoratore a loro sottoposto (e quando un macchinario rende meglio della persona, quest’ultima diverrà inutile e verrà immediatamente scartata e sostituita).

In un modello economico e sociale a natura cooperativa, dove le attività produttive e i servizi vengono gestiti e assegnati nell’ottica del benessere individuale e collettivo, gli orari di lavoro e i turni possono essere via via ridotti per garantire che ciascun lavoratore possa rendere al meglio ed avere sufficiente tempo libero per il riposo e lo svago.

In un sistema del genere la produzione non andrà a ridurre i costi, tagliando i processi necessari perché questa sia eco-sostenibile ed eco-compatibile.

A questa nuova società, naturalmente non ci si potrà arrivare senza una lunga stagione di lotte politiche fatte su larga scala e coordinate, quindi, secondo la logica del vecchio e prezioso slogan movimentista “think global, act local”.

Presenza sui territori, coordinamento e comunicazione via web, organizzazioni politiche operative in tutte le articolazioni statali ad ogni livello e sul piano internazionale.

Il campo di gioco è il pianeta tutto.

Le forze in gioco sono potenti e organizzate.

Tocca averne consapevolezza e organizzarsi, tenendo sempre bene a mente che chi lotta può perdere e chi non lotta ha già perso.

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Giuseppe D'Elia
Lavoro, lavori e coscienza di classe

Giornalista e avvocato. Segue da oltre vent’anni le tematiche politiche legate ai diritti dei lavoratori. Musicista nel poco tempo che resta