Prima avevo un ruolo e una carriera. E adesso? — Parte III

“Prima avevo un ruolo e una carriera, e adesso?” è una domanda che ci pongono sempre più spesso nell’ambito delle trasformazioni Agile o durante i cambiamenti organizzativi. È una classica domanda “da manuale” Agile? Assolutamente no. Dobbiamo iniziare a trovare risposte, assieme? Assolutamente sì.

Davide Tarasconi
Nobilita
6 min readMay 28, 2018

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Questo è il terzo e ultimo articolo di una serie che io e Luca abbiamo presentato al Reloaded Camp del 21 Marzo. Nella prima parte abbiamo visto come i ruoli siano una realtà più complessa e sfumata di quello che abbiamo creduto per diverso tempo. Nella seconda parte abbiamo iniziato a considerare su quali basi progettare un percorso di carriera alternativo. In quest’ultima parte cerchiamo di rispondere alla domanda “Tutto molto bello, ma da cosa inizio?”.

Di solito si inizia cercando di capire cosa hanno fatto gli altri, molto spesso copiando. Non c’è nulla di male, se non fosse che le descrizioni di modelli organizzativi e di sviluppo carriera vengono presentati molto stesso in in questa maniera:

“In one high-technology company with a lattice career model, lateral moves are common and the company works hard to value contributions regardless of which rung on the ladder an employee occupies. But the CEO only sends out recognition communications to celebrate vertical promotions rather than a mix of promotions and significant accomplishments.”

Quindi? Che significa? Nulla, probabilmente, oppure, sforzandosi molto, significa: “Ha funzionato per loro, ma non vi spiegheremo mai come e soprattutto non vi diremo cosa non ha funzionato”.

Se cercate online trovate modelli di sviluppo di carriera descritti in maniera più o meno accurata, ma tutti hanno la tendenza a nascondere le complessità.

La maggior parte delle descrizioni di modelli organizzativi e di sviluppo di carriera che troverete online seguono questo pattern: viene mostrato un modello (il disegno sulla scatola), viene mostrato il risultato finale, identico al disegno sulla scatola, con un disclaimer più o meno dichiarato: “Ha funzionato per loro”.

Di quello che è successo nel mezzo non v’è traccia, compreso degli eventuali errori o aspetti che sono stati da rivedere in quanto non efficaci. Magari voi avete solo mattoncini verdi. O volete costruire un aereo, non un treno.

L’unica documentazione di un processo di questo tipo in cui si presentano anche le criticità e gli errori in cui si può incappare, proviene da Spotify (“Things we learned creating technology career steps”). È importante tenere a mente che azioni di ri-organizzazione aziendale e revisioni dello sviluppo dei ruoli e della carriera presentano degli antipattern.

Un antipattern è un modello o un comportamento messo in atto per migliorare le cose ma che nella realtà le rende peggiori.

Gli antipattern di Spotify ruotano attorno a questi temi:

  • Compensi
  • Comportamenti vs. Obiettivi
  • Individual contributor vs. Team member
  • Opportunità di “avanzamento” limitate
  • Prima autovalutazione
  • Comunicazione

Vediamone alcuni, in quanto queste informazioni sono contenute tutti in questo lungo articolo.

Compensi: tasto dolente, soprattutto su un mercato del lavoro come quello italiano, in cui la stragrande maggioranza delle disparità sui compensi (e non solo) è causata dalla completa negoziabilità di qualsiasi proposta.

Spotify ha fatto partire il proprio nuovo programma di sviluppo di carriera senza aver prima rivisto le sue politiche retributive. Ciò ha naturalmente causato non poca confusione in parecchie persone.

Aggirate questo possibile scoglio rimandando la revisione delle vostre politiche retributive, che in ogni caso ci metterebbero più di due anni per essere aggiornate: il primo anno partire senza nuove regole, all’inizio del secondo anno potrete presentare alcuni parametri, alla fine del secondo anno avrete riscontro sui risultati di quanto testato sul campo.

L’unico effetto di levare i soldi da piatto è che ci si concentra su tutto il resto. “Tutto il resto” è, molto spesso, portatore di parecchie motivazioni intrinseche.

Poche alternative: nonostante Spotify abbia documentato estensivamente il suo modello, compreso cosa significhino i diversi comportamenti attesi in termini di autonomia, influenza, impatto e capacità, c’è stato comunque chi ha detto “Non ci sono abbastanza alternative”.

Non abbiate paura di semplificare. La semplificazione porta all’ambiguità, il che ci porta spesso a voler elaborare modelli molto complessi per dimostrare di avere una risposta a tutto. Accettate l’ambiguità che deriva dalla semplificazione, anzi, rendete ovvie le incongruenze e i punti ciechi del vostro modello, permettete alle persone di aiutarvi.

Come dicevo prima, quanto presentate per la prima volta alle persone un modello aggiornato di sviluppo di carriera, chiarite subito che si tratta del “cosa” volete cambiare, e che il “come” non è scolpito nel marmo.

Mancanza di supporto per l’iniziativa: pur con tutte le risorse e la cultura a sua disposizione anche Spotify ha ampiamente sottovalutato il fabbisogno a livello di comunicazione e informazione necessaria per supportare l’iniziativa.

Il paio di mesi in cui pensavano di sbrigare la primissima fase di autovalutazione, sono diventati presto sei, allungando a cascata un processo che è poi durato più di un anno e mezzo.

Uno degli aspetti culturali più difficili da superare è la paura di sbagliare: siccome stiamo “giocando” con le carriere delle persone, ci sentiamo in dovere di non sbagliare nulla, molto spesso progettando soluzioni sovra-ingegnerizzate.

Fate capire alle persone che l’azienda sta decidendo “cosa” è importante: il “come” lo si costruisce inevitabilmente assieme ai diretti interessati.

C’è una ricetta per lo sviluppo della carriera? Non proprio, ci sono però degli ingredienti importanti da considerare.

La ricetta, come ogni ricetta:

  • Anche se la seguite pedissequamente, non verrà come speravate
  • Potrebbe non piacere a qualcuno
  • Potreste non avere tutti gli ingredienti
  • Non riuscirà bene al primo tentativo

Questi sono alcuni degli ingredienti da tenere a mente:

  • Eliminare le ambiguità sui ruoli (o renderle esplicite)
  • Togliere i soldi dal piatto (al primo giro)
  • Premiare i comportamenti virtuosi (senza dimenticare chi ha bisogno di obiettivi numerici)
  • Trasformare gli obiettivi individuali in obiettivi di squadra
  • Prevedere alternative (non troppe, non tutte, non subito)
  • Promuovere competenze di relazione (non chiamiamole “soft skills”)
  • “Favorire atti di leadership ad ogni livello dell’organizzazione” (questa non è mia: è un ben noto principio di base di Kanban)
  • Semplificate, e comunicate

“Da dove inizio?” è la domanda che a questo punto ci viene posta più frequentemente.

Una sfida: iniziate da una persona.

Un esperimento: la prossima volta che dovete assumere qualcuno e avete l’annuncio di lavoro pronto, condividetelo all’interno della vostra azienda.

Non per chiedere alle persone di condividerlo e raccomandarvi persone (magari alcuni di voi hanno anche programmi di referral, che però forniscono una motivazione estrinseca), ma vi chiedo di fare un passo ulteriore: permettete alle persone che già lavorano per voi di candidarsi.

Esplicitate che quell’annuncio di lavoro è aperto a tutto, indipendentemente da anzianità, ruolo, esperienza e background professionale: la prima persona che vi risponderà vi obbligherà a considerare almeno uno degli ingredienti di cui vi ho scritto sopra.

Iniziate da una persona, e magari fateci sapere com’è andata.

“Prima avevo un ruolo e una carriera. E adesso?” è una serie in tre parti tratta da una presentazione che io e Luca abbiamo fatto al Reloaded Camp, evento per i clienti di Agile Reloaded che si è tenuto lo scorso 21 Marzo.

La prima e la seconda parte sono qui:

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