Champagne through a vending machine.

Verso uno store liquido

Un modello “bits & mortar” ibrido e distribuito per il retail del prossimo futuro.

Erika Guerra
Nulla di personale
Published in
7 min readMay 22, 2019

--

Nota: Questo è il secondo contributo in una serie che esplora le conseguenze della crisi delle customer journey lineari. Il liquid store rappresenta un esempio concreto di ecosistema flessibile, permeabile e integrato, che risponde ai comportamenti intent-driven degli shopper contemporanei.

Spesso si parla di come il digitale sia inevitabilmente destinato ad uccidere le nostre esperienze di acquisto fisiche, soprattutto a discapito dei piccoli brand, troppo deboli per far fronte a questa travolgente rivoluzione. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

Dati Google mostrano che il 61% dei consumatori preferisce affidarsi a un brand che ha anche un negozio fisico oltre a quello online, e ben l’80% si affida al canale fisico quando deve comprare qualcosa che serve subito. Dall’analisi di queste nuove abitudini d’acquisto emerge una grande opportunità per il mondo retail: diventare dei veri e propri experience hub.

Ormai è vero che le vendite non si concludono necessariamente nel canale fisico, per questo non ci si dovrebbe fermare ad analizzare i dati di vendita dei singoli store, ma concepire le esperienze online e offline come un unico flusso, percorribile da ogni cliente secondo la propria personale direzione. Il negozio quindi non è più fisso, isolato, rigido. Pur restando un punto di contatto fondamentale per stabilire una relazione diretta con la propria audience, è solo uno dei tanti possibili in un percorso ibrido e interconnesso, in grado di attraversare le barriere tra fisico e digitale.

Per questo noi in Enhancers stiamo lavorando già da tempo su un nuovo concetto di negozio, che abbiamo definito liquid store.

Il liquid store è un’esperienza di acquisto distribuita, ibrida e interconnessa, che attraversa la barriera tra fisico e digitale.

In questo modello, il negozio può assumere funzioni differenti dalla mera generazione di vendite diventando, a seconda dei casi e delle strategie messe in campo, spazio espositivo, luogo in cui offrire servizi esclusivi, centro di esperienze innovative di conoscenza del brand. Grazie al digitale, inoltre, è possibile tracciare e profilare gli utenti in ogni fase della loro journey, in modo da riuscire a ricostruire l’intero percorso che li ha portati all’acquisto, anche se la vendita non viene materialmente effettuata in negozio. Allo stesso tempo, è possibile individuare puntualmente i momenti più problematici della journey, rispondendo rapidamente alle esigenze dei clienti.

Solo teoria? Il liquid store è già realtà

Per i retailer, questo concetto si traduce in un approccio semplice, ma rivoluzionario: dare ai consumatori un motivo per venire in negozio, offrendo loro ciò che un’esperienza puramente online — o offline — non può fornire.

Può sembrare una prospettiva lontana, ma sul mercato orientale, sempre più rapido nel recepire e concretizzare i trend emergenti, è già realtà. In Cina il New Retail ha tra i suoi principali sponsor proprio un gigante dell’e-commerce, Alibaba, che ha riconosciuto che gli store fisici sono tutt’altro che destinati a morire, vanno solo reinventati.

Da questa idea sono già nati servizi come Freshippo, una catena di supermercati in cui è possibile selezionare i prodotti e acquistarli direttamente da app, sia a casa sia mentre si è già in store. A migliorare l’esperienza, la possibilità di scegliere in store il pesce fresco, decidendo se farselo consegnare a domicilio, portarlo via subito o farlo cuocere sul momento per consumarlo sul posto o a casa.

La consegna robotizzata dei piatti già cotti in uno dei supermercati della catena cinese.

Si potrebbe pensare che questo modello sia destinato soprattutto ai grandi brand, con maggiori risorse economiche e tecnologiche. In realtà, anche i piccoli store possono beneficiare da questo cambiamento. Rendendo disponibile il catalogo di prodotti online e permettendo di selezionare e prenotare gli articoli che il cliente vuole ritirare in store (un esperimento che avevamo già ideato qualche anno fa con la startup winkle), è possibile non solo riuscire a gestire l’inventario in modo più efficiente, ma anche raccogliere importanti dati sulle preferenze reali dei clienti, in modo da ripartire gli ordini in base agli articoli più richiesti.

Diverse aziende del settore fashion, come il retailer canadese Ssense, stanno già sperimentando questi modelli di business ibridi. Andando sul sito, è possibile visualizzare tutta la collezione, scegliere i capi che si intende provare e trovare uno showroom personalizzato in store il giorno dopo, in cui provare tutta la selezione.

Ssense porta in store solo i capi selezionati dai clienti.

Queste non sono strategie ideate per venire incontro alle esigenze dei consumatori meno tecnologici, ma una risposta a ciò che i consumatori cercano davvero. Recenti ricerche, infatti, mostrano che gli utenti non utilizzano i canali digitali come un completo sostituto dell’esperienza in store, ancora vista come un importante momento di contatto con il prodotto.

In sintesi

Con questa rivoluzione alle porte, ecco le tendenze a cui i retailer dovrebbero prestare maggior attenzione, per iniziare (ci auguriamo) ad avventurarsi nella creazione dello store del futuro:

1. Progettare un’esperienza priva di frizioni, in cui gli utenti possono muoversi dall’online all’offline e viceversa

In una realtà in cui le possibili customer journey sono infinite e il marketing funnel è ormai ben lontano dalla sua forma originaria (come abbiamo approfondito in questo nostro articolo), è evidente che per vincere sulla concorrenza i brand devono essere in grado di presidiare ognuno dei possibili percorsi degli utenti, offrendo in ogni fase informazioni e servizi che permettano di ridurre i tempi di ricerca e acquisto e siano in grado di catturare l’attenzione di consumatori sempre più distratti.

2. Adottare nuove metriche, passando dalla misurazione di “sales per square foot” a “experience per square foot”

A causa dei cambiamenti descritti in precedenza, misurare il successo di uno store solo in base alle vendite generate può essere fuorviante. La progressiva diffusione del nuovo modello di retail “bits & mortar”, cioè la commistione di canali digitali e offline, renderà sempre più necessario l’utilizzo della tecnologia (beacon, sensori, AI…) per analizzare in profondità i comportamenti di consumo e, incrociando i dati relativi all’online e all’offline, agire in tempo reale (ad esempio con offerte dinamiche sui prodotti a cui sono interessati).

Un pop up store virtuale a New York.

Dall’altro lato, questo cambio di prospettiva apre a una nuova concezione degli spazi e della gestione delle attività, in cui il negozio diventa uno showroom in cui vedere la collezione e ordinare gli articoli da ricevere direttamente a casa. Con l’ausilio del digitale, è possibile ridurre la metratura degli store, con delle pareti virtuali in cui i clienti possono scorrere tutti i prodotti disponibili e, se già profilati, vedere una selezione già pronta di quelli più vicini ai loro gusti. Oltre a fornire un’esperienza stimolante e smart, uno store così concepito presenta diversi vantaggi anche per i retailer che, virtualizzando l’acquisto, possono ridurre il magazzino e l’invenduto al minimo.

3. Utilizzare la tecnologia per costruire esperienze e interazioni più umane

Diverse ricerche hanno rilevato che i consumatori preferiscono l’interazione umana a una comunicazione interamente gestita da un’intelligenza artificiale, per quanto accurata e veloce nella risposta. Il 35% dei consumatori intervistati da PwC, infatti, ha dichiarato che la più grande preoccupazione riguardo la diffusione dell’intelligenza artificiale è la perdita di contatto umano. Dall’altro lato, desiderano ricevere le informazioni in modo immediato, risparmiando tempo.

La tecnologia, quindi, non è un sostituto dell’assistenza umana, ma un supporto: lo staff, impiegato per gestire richieste e problemi più complessi, con l’ausilio della tecnologia può arrivare a conoscere i gusti personali dei clienti, dettagli di prodotto e offrire un’assistenza non solo di elevata qualità, ma anche più personale.

4. Aggiungere un layer di entertainment in store

Gli spazi fisici, liberati dall’unico obiettivo di concludere una vendita, possono diventare un luogo in cui i clienti hanno la possibilità di vivere un’esperienza unica — e, perché no, divertente — di contatto con il brand e il prodotto, oltre a essere un momento in cui sperimentare nuove forme di acquisto.

Il magic mirror di Tmall in un centro commerciale ad Hangzhou, Cina.

In Cina, Alibaba sta già sperimentando l’installazione di magic mirror nelle toilette di alcuni centri commerciali, tramite cui è possibile provare virtualmente diversi prodotti make up e scattare una foto del risultato per condividere l’esperienza. È possibile anche acquistare subito il prodotto, utilizzando il distributore automatico collegato. Nike permette, in alcuni dei suoi flagship store, di testare le scarpe su diversi circuiti e percorsi, come su un vero e proprio campo da gioco. In questo senso, lo store diventa un luogo in cui provare prodotti in modo innovativo e divertente.

Se vuoi approfondire i temi legati alla trasformazione del retail e al ruolo del digitale nella costruzione di customer experience più coinvolgenti ed efficaci contattaci!

Erika Guerra è Associate Content Designer in Enhancers. Si occupa di UX writing, service design e social media. È diplomata al master di Marketing e Comunicazione dello IED di Torino.

--

--