Sensazioni sulla centralità delle cure primarie attraverso gli occhi di una lezione Coursera

Health for all through Primary Health Care by H Perry

salvo fedele
Chi più sa… meno crede

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Le tre diapositive che ho messo nel fine settimana sono tratte da una lezione di Coursera dedicata esclusivamente al futuro delle cure primarie. In realtà alla storia delle cure primarie. E alle ragioni della sconfitta su scala globale dell’idea dell’importanza delle cure primarie.

https://twitter.com/salvo_fedele/status/429371878038196224

Non ho voglia di sintetizzarla qui in poche parole, è una storia che conoscevo abbastanza bene, ma la ricchezza di informazioni offerta dal corso (che è appena alla prima settimana) mi ha fatto venire i brividi.

Mi limito a consigliarne l’ascolto, almeno della prima conferenza.
Link

E’ una storia per me emotivamente molto coinvolgente perché è anche la storia della mia vita professionale dal 1977 ad oggi. La storia quindi delle mie sconfitte, non solo di quell’idea.

Nel 1977 infatti io ero uno studente che partecipava già da qualche anno alle attività del comitato di base della facoltà di medicina e lì quello che stava succedendo nel mondo (nel disinteresse assoluto delle facoltà di medicina) entrava nei nostri dibattiti.

Entrava attraverso l’ideologia politica per i più, ma anche attraverso gli scritti di Maccacaro e del gruppo di Sapere che andavano coagulando le idee di Medicina Democratica.

Idee fortemente influenzate proprio dalla preparazione della dichiarazione di Alma Ata prima che dal dibattito politico italiano.

Allora una vignetta che è finita nelle mani di mio figlio in questi giorni mi raffigurava piccolo piccolo ai piedi del preside della facoltà, mentre mi apprestavo a “stenderlo” con… una bomba.

Una bomba che nelle intenzioni del vignettista (il mio amico Emilio La Guardia) esprimeva le idee e l’ironia che portavamo avanti per deridere le scelte anacronostiche della facoltà (tornerò più avanti ad analizzare il sorriso con cui è raffigurato il preside)

Nulla a che vedere con la stagione delle bombe dell’autonomia che di lì a poco si sarebbe realizzata.

Già nel 1977 infatti registravo subito la prima sconfitta: solo per una minoranza di noi l’interesse per le idee di Maccacaro era prevalentemente scientifico, culturale, politico in senso lato e non ideologico e per nulla ispirato alla “forza politica” dominante tra gli studenti “rivoltosi” a quei tempi.

Per capire il significato del termine politico quando si parla di Medicina, l’ascolto della lezione di Perry è fondamentale.

Su scala globale succedeva qualcosa di molto diverso da quello che stava succedendo all’interno di quel nucleo ristretto di studenti che dette origine alle “rivolte” del 1977 nella mia facoltà: le cure primarie erano al centro dell’attenzione e le parti erano divise tra i fautori dei progetti orizzontali e i fautori dei progetti verticali.

Su scala locale invece c’era una contrapposizione tra un nucleo ideologico influenzato dall’ideologia politica dominante e un nucleo che si ispirava a concrete possibilità di dar vita a una medicina diversa da quella baronale, la cui impronta era “intensa” particolarmente nel nostro territorio sebbene ben presente anche in tutto il resto d’Italia.

Nei fatti il nucleo ideologico si occupava di cose molto diverse, tollerava i nostri interessi, ma senza accalorarsi troppo. Il nucleo pragmatico analizzava le scelte concrete e la possibilità di intervenire nella realtà medica. A quell’epoca, per darvi un’idea della gravità della situazione, il policlinico non era dotato di un servizio di accettazione pubblica.

Per la precisione il policlinico di Palermo era l’unica struttura italiana (per la verità insieme a Messina) ad essere privo persino di un pronto soccorso e l’accesso era regolato esclusivamente dal passaggio negli studi professionali dei baroni universitari che rappresentavano “il filtro di base” all’accesso alla struttura.

Facile quindi da capire l’obiettivo che la minoranza non ideologica portava avanti, cambiare quella situazione in nome della necessità di realizzare anche a Palermo un obiettivo minimo: l’uguaglianza dell’accesso alle cure per quel Policlinico, “area di formazione di tutti i medici”, che invece quell’accesso negava già sul piano dei principi, figurarsi nella pratica (come talvolta succede anche oggi).

In realtà per molti di noi, consapevoli delle difficoltà di raggiungere quegli obiettivi (vi ricordate il sorriso del preside nella vignetta? “non mi sfiori neppure” ) quello era solo un pretesto per immergersi nelle idee che si andavano sviluppando proprio intorno alla centralità delle cure primarie e nel piccolo gruppo ci scambiavamo articoli e conoscenze che venivano da un mondo molto lontano da quello che avevamo frequentato, mentre nell’idea più tradizionale l’aggregazione politica doveva occuparsi di modalità di costituire cortei o organizzare assemblee spesso fini a sé stesse.

Allora non lo sapevamo, ma chiedevamo soltanto una Università degna di tale nome.

In quegli anni non era facile vedere le differenze, distinguere tra alleati e antagonisti politici. Per me gli autonomi erano degli avversari non diversamente dalla casta insopportabile dei baroni, non diversamente da quelli che allora consideravo i “peggiori” tra i miei colleghi, quelli che non volevano sentire ragione, che erano disinteressati all’organizzazione pratica del policlinico, quelli che avevano già la strada tracciata dalle famiglie di appartenenza. Era una visione un po’ troppo semplicistica.

In realtà la stragrande maggioranza dei colleghi “disinteressati” erano soltanto insofferenti verso i riti della politica che vedevano riprodursi anche al nostro interno e più tardi ritrovai lungo il mio cammino molti di loro, più motivati di altri “politicamente orientati” e più disponibili a cambiamenti professionali reali.

Perché è importante ascoltare questa lezione coursera?
Solo per rileggere la sconfitta di una idea?

C’è una ragione per cui l’invito vale la pena di essere seguito, la necessità di ragionare sulle modalità con cui possiamo dedicare gli ultimi giorni, mesi o anni della nostra vita a far vivere un’idea e a trasmetterla a un futuro migliore. Forse per trasmetterla a una generazione di medici, quella che esce dalle nostre università in questi giorni, del tutto digiuna di queste conoscenze.

Quel che è in gioco è molto per il nostro paese e il futuro delle nostre cure primarie.

§2

I primi 30 minuti della lezione vi permetteranno di capire l’origine di una contrapposizione “politica” vera tra due anime contrapposte dell’idea di cure primarie:
- l’approccio verticale che nasce nel 1979 grazie a James Grant
- l’approccio orizzontale che era all’origine di Alma Ata (ispirato proprio dal padre di James)

Un dibattito tra due idee “vere” e non un semplice dibattito di potere come siamo abituati a vedere nella vita quotidiana e non solo nel dibattito politico.

Quello che avrete difficoltà a capire senza aver vissuto direttamente questa storia sono le implicazioni fuori dal contesto internazionale, in particolare nel nostro paese.

In molti casi senza piena consapevolezza nascevano anche nel nostro paese esperienze di cure primarie importanti, per esempio l’esperienza di porto Marghera (ed ebbi la fortuna di conoscere la straordinaria umanità degli operai che componevano quel nucleo).
In molti quartieri degradati nascevano esperienze di cure primarie, a volte come semplici ambulatori di primo livello a volte come tentativi ispirati proprio dal contesto internazionale e finalizzati a restituire alla popolazione “dignità” nella ricerca di salute.

Sconfitto all’interno della facoltà cercai esperienze diverse in cui immergermi e capire, una di queste fu quella condotta da Donatella Natoli nel quartiere Albergheria di Palermo. Donatella era stata mio docente di Microbiologia, espulsa nei fatti dall’Università grazie a un semplice avviso (“non diventerai mai ordinario e la tua presenza ostacola la nomina di nuovi ordinari”). Io l’adoravo come un tempo si adoravano gli eroi di guerra, e la seguivo nelle sue proposte con passione: aveva conquistato uno spazio di intervento in quel quartiere e si dedicava anima e corpo a portare avanti proprio una di quelle esperienze di progetto orizzontale di cui si parla nella lezione di Perry.

Avevo concluso da poco la mia specialità in pediatria. La scelta non poteva essere diversa: tutti i progetti internazionali più interessanti sulle cure primarie riguardavano in qualche modo quest’area. E dopo una davvero breve esperienza all’Università: un solo giorno (concluso con una risposta secca a uno dei soliti suggerimenti che erano soliti formulare gli universitari) la ricerca di collaborazioni per la definizione di progetti di cure primarie divenne attraverso il mio lavoro di pediatra di base la mia reale passione, principalmente attraverso le attività di formazione in piccolo gruppo.

Quelle attività mi permisero subito di capire che fuori dai paesi in via di sviluppo le cure primarie avevano bisogno per la loro organizzazione di progetti verticali, ma c’era una importante distinzione su cui riflettere: i progetti verticali non potevano essere imposti dall’alto, dovevano essere condivisi con gli operatori e quest’opera di condivisione doveva comprendere l’attività di ideazione, pena l’insuccesso di qualsiasi attività.

Per farvi leggere l’importanza di questa distinzione (progetti verticali imposti dall’alto e progetti verticali ideati dal basso) debbo rapidamente scorrere la mia vita fino all’impegno nella associazione culturale pediatri (ACP) e allo scontro di cui fui protagonista con il nucleo dirigente storico di questa organizzazione.

Sentivo la necessità di lasciare luoghi in cui l’impegno “politico” era considerato nei fatti prioritario rispetto all’impegno scientifico e una società come L’ACP mi sembrò il luogo ideale dove immergermi.

L’ACP attraverso alcune storie personali era fortemente impegnata nella progettazione verticale e tendeva a replicare nel contesto italiano quel modello senza alcun cenno consapevole (almeno tra i soci) del dibattito che ormai da anni si stava consumando a livello internazionale tra le diverse anime che ispiravano la centralità delle cure primarie.

I progetti che si portavano avanti erano sempre dei progetti verticali ideati dall’alto, ma i soci facevano fatica ad interpretare il loro ruolo in contesto gerarchico, come quello derivato da queste proposte.

Fate attenzione in particolare ai minuti compresi tra il 30' e il 35' della lezione di Perry per leggere queste differenze.

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Quello che allora mi portò allo scontro con il gruppo dirigente (e che la riflessione degli anni successivi mi ha permesso di rivedere con occhi diversi) era che in questo “nuovo luogo” il dibattito culturale/scientifico non era realmente possibile.

Non c’era una visibile contrapposizione tra approcci diversi, ma (così mi sembrava) le scelte venivano fatte solo sulla base della credibilità “di appartenenza” e in particolare alla fedeltà al gruppo dirigente storico.

Nulla di strano. Si trattava di meccanismi di conservazione del tutto fisiologici nei piccoli gruppi (e il nucleo dirigente dell’ACP era davvero piccolissimo).

Per fare un esempio, uno degli scontri personali più grossi che ebbi con uno dei dirigenti storici dell’organizzazione fu sul progetto “nati per leggere” (un classico progetto verticale con obiettivi di salute ben definiti).
Io sostenevo la necessità di documentare l’efficacia del progetto,
lui mi rispose con una frase dispregiativa che suonava più o meno così:
“non ci vogliono certo evidenze scientifiche per documentare l’efficacia di una carezza”

Più tardi quando quel progetto fu saldamente nelle mani del braccio operativo giusto quel dirigente riprese lo studio pilota che stavamo conducendo a Palermo e lo concluse con un reclutamento più ampio.

Ma non era questo l’unico esempio: una proposta era inutile e dispendiosa se proposto da un gruppo diverso dal tuo, diventava utile e meritevole di appoggio se il comando operativo passava nelle mani giuste.

Potrei fare tanti esempi di questo genere che permetterebbero di suffragare questa lettura. In fondo era una variante della legge che avevo già scoperto: tutto buono quel che proponi, tutto inutile quello che ti viene proposto.
Un giorno si scopriranno forse i meccanismi epigenetici che determinano una scarsa propensione all’ascolto della nostra gente.

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Quel che su cui andavo riflettendo era la necessità di rimodulare la visione verticale che inevitabilmente in un paese come il nostro e con l’organizzazione parcellizzata che caratterizza i servizi dedicati alle cure primarie non poteva portare a reali cambiamenti. Mi interessava esplorare come l’idea della centralità delle cure primarie potesse realizzare sbocchi operativi concreti.

Per realizzare quel cambiamento mi sembrava utile un reale coinvolgimento degli operatori che dovevano diventare protagonisti e non semplici soldati nelle mani di teste pensanti, soldati votati a raggiungere obiettivi (reali o supposti) di salute.

La mia idea era che nel contesto italiano difficilmente l’innovazione poteva nascere da progetti orizzontali puri, così come erano stati definiti dai padri fondatori della centralità delle cure primarie, ma da progetti verticali che si originassero a livello locale per quanto, e se possibile, integrati a livello nazionale.

Mi dedicai a tentare di definire le modalità con cui attraverso il confronto periferico gli operatori potessero definire i progetti giusti da portare avanti nel proprio territorio attraverso lo schema unificante della formazione in piccolo gruppo e delle evidenze scientifiche.

Non ci riuscii e la proposta fu risucchiata nelle solite beghe per il comando con cui nulla aveva a che fare. Con altri responsabili e snaturata nella sostanza fu portata avanti da altri ed io mi allontanai definitivamente dall’ACP

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Mi limitavo a registrare ancora una volta una sconfitta.

C’è una diapositiva nella lezione che esprime bene tutto questo e che riesce a decifrare la ragione delle mie scelte oltre che ad unificare come un ponte le visioni contrastanti dei progetti verticali e di quelli orizzontali.
L‘idea di una regia orizzontale contro un gruppo dirigente che si rifaceva esclusivamente all’idea di progetti verticali e centralizzati?
Forse quest’ultima definizione è una sintesi accettabile.

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La comprensione della realtà è un processo lento e purtroppo non è facile in certi contesti esser capaci di interpretare il ruolo cui siamo chiamati.

Sono passati molti anni da allora e forse soltanto da pochi mesi ho chiaro le modalità con cui avrei dovuto agire per contribuire nel modo giusto a un dibattito importante e vitale per il futuro della nostra professione.

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Ma anche negli anni successivi a questo distacco la realtà delle cose continuava a farmi leggere sempre allo stesso modo le difficoltà della progettazione. Per esempio, nel corso della pandemia di influenza la stragrande maggioranza degli operatori di cure primarie, ma anche il Gotha degli “operatori illuminati” si schierò contro le raccomandazioni dell’OMS e noi cercammo di fare la nostra parte per contrastare la “linea” dominante.

Lo schema di lettura dei fatti che avevo imparato nell’esperienza in ACP mi sembrava utile per capire ancora una volta le insensatezze delle posizioni: gli “operatori illuminati” riescono a vedere il lato positivo di un progetto solo quando ne sono protagonisti. In quei giorni pur con le ovvie differenze di stile le posizioni di Garattini, quelle di Veronesi facevano fatica a distinguersi dagli attacchi all’OMS che si leggevano su Libero o il Giornale.

Ancora una volta in quest’ultimo esempio lo scontro, così mi sembrava, era tra uno schieramento che cercava di analizzare i fatti e uno che comprendeva come al solito gli ideologicamente “schierati” e che unificava destra e sinistra (contrari perché l’OMS era rimasto quello di Alma Ata o contrari perché l’OMS era una organizzazione venduta allo strapotere dell’industria farmaceutica) ma anche operatori da sempre schierati sull’importanza di raggiungere ben definiti obiettivi di salute.

Contrari per quale ragione? Probabilmente una lettura meno superficiale dei dati: un minimo di background di conoscenze avrebbe permesso di evitare questa insensata omogeneità di posizioni “contro”.

Proprio in questi giorni ho avuto occasione di riflettere sull’insesatezza di certe posizioni a proposito di quella esperienza. Ho ripensato alla arroganza con cui il direttore di Medico & Bambino la dichiarava “chiusa” (riprendendo le parole del ministro dell’epoca) proprio poche ore fa quando ho raccolto la testimonianza di un genitore terrorizzato dal contatto del figlio con un amico ricoverato in rianimazione per influenza H1N1. Un esempio della lunga coda di casi “particolarmente gravi” nell’interessamento polmonare primitivo che accompagna ogni pandemia fin dal 1918, epoca in cui non era ancora conosciuto il virus influenzale.

Insomma in Italia il dibattito sulle cure primarie, sulla priorità degli obiettivi da raggiungere, sulla necessità di certi progetti verticali e sull’opportunità di dar vita a piccoli progetti orizzontali in grado di produrre risultati concreti è difficile da realizzare: gli schieramenti sono sempre pronti a dichiararsi “contro” e nessuno è realmente disponibile a leggere i fatti senza schemi precostituiti.

§8

Se voi pensate che i due principali protagonisti delle due visioni di cure primarie sono i Grant (padre e figlio) uno fautore della visione orizzontale (totale) e l’altro fautore dei “piccoli” progetti che restituiscono salute (la reidratazione orale) vedrete con i vostri occhi come due idee nobili e contrapposte possano sfociare in incomprensioni e beghe di potere.

Vero è che non tutti hanno la statura morale dei Grant e per questo è necessario ogni tanto rileggere la storia in modo d’interpretare al meglio il ruolo cui siamo chiamati.

Ma forse è proprio questo il messaggio principale della lezione di Perry.
Le due visioni delle cure primarie (quella totale e quella verticale) a volte possono essere contrapposte, in realtà sono due straordinari punti di vista che meritano di essere conosciuti in ogni momento della nostra professione e che a seconda della situazione storica vanno sposati con tutte le nostre energie.

§9

Tornando a noi e a quello che possiamo fare.
Forse è troppo tardi ma non c’è una vera alternativa.

Progettare e sperimentare è l’unico modo di tenere in vita l’idea della centralità delle cure primarie: cambia la nostra professione e la nostra professionalità, in attesa che questa centralità torni di interesse, perché (e sarà inevitabile scoprirlo) non ha vere alternative.

Con quali obiettivi? Piccoli e concreti risultati di salute, anche se poco paragonabili alla efficacia della divulgazione della reidratazione orale proposta da Grant.

Ciò che nasce da una discussione comune, ci cambia dentro e ci rende disponibili a realizzare un esempio concreto di utilità della nostra funzione e della necessità delle cure primarie. Progetti di questo tipo possono essere decine, ma facciamo fatica a portarli avanti. Poco? Molto poco, ma davvero molto per tenere viva una idea. Un modo di interpretare quello che Perry chiama: siamo tutti “diagonalist” (minuto 35')

Nota finale

Gli appunti che avete letto sono uno dei tanti draft medium che scrivo e normalmente non pubblico. Questi sono stati scritti nel Gennaio 2014. Ho deciso di renderli pubblici solo nel novembre 2014.

Questo è uno dei post del
<Blog [dis]perso #NOECM>

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pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)