#1 Introduzione

The Lancet ha dedicato alcuni articoli ai “disturbi della personalità”.
Il problema è stato sempre considerato al di fuori della sfera di interesse della pediatria. Qualche ragionevole dubbio viene sollevato già nell’editoriale introduttivo:

Despite the disorder often first manifesting in childhood or adolescence, the existing criteria do not allow diagnosis before the age of 18 years. This prevents health professionals from identifying and helping children and adolescents with the disorder at the time when such interventions could have the greatest effect (1)

Oltre l’editoriale (1) gli articoli da leggere sono tre, il primo (2) dedicato agli aspetti diagnostici, il secondo (3) “all’evoluzione” nel corso della vita dello spettro dei disturbi della personalità con una interessante puntualizzazione “sull’evoluzione della personalità” nelle varie età e l’ultimo (4) agli aspetti terapeutici.

La lettura degli articoli è piacevole, nonostante le obiettive difficoltà dell’argomento trattato per chi ha una formazione non specialistica e nonostante l’obiettivo primario rivolto a una “nuova classificazione”: gli autori appartengono tutti al gruppo di lavoro WHO che si sta occupando della classificazione ICD 11 dei disturbi psichiatrici.

Di seguito cercherò di tracciare una guida più che per semplificarne la lettura per incuriosire il lettore. Ogni pediatra si è dovuto confrontare con “adolescenti difficili” e un approfondimento conoscitivo sui disturbi della personalità è davvero utile.

(…) Nobody doubts the existence of personality, but what constitutes its disordered form is difficult to specify. (2)

People with personality disorder have difficulty interpreting the world, themselves, and the people around them. This condition manifests as problems with cognition, emotions, and behaviour, which often affect the ability to form interpersonal relationships. It is probably the most common psychiatric disorder, and almost certainly the most underdiagnosed. (1)

#2 Diagnosi

Le classificazioni dei disturbi della personalità ancora oggi in uso si basano su “categorie” che risentono molto dello sviluppo della psichiatria tradizionale e non tengono conto delle teorie della personalità in cui “normalità” e “devianza” non vengono più considerati fenomeni del tutto distinti. Un paio di citazioni permettono subito di capire lo stretto legame tra una visione “datata” della psichiatria e le categorie del DSM IV e dell’ICD 10

Personality disorder was not properly regarded as a diagnosis until the 19th century, although Galen in 192 AD had much earlier linked the Hippocratic four humours to personality in his description of sanguine, phlegmatic, choleric, and melancholic types, with only the sanguine one not having personality pathology. (2)

Formal classification of personality disorder did not begin to take shape until Kurt Schneider described a group of what he termed, rather confusingly in view of the subsequent use of the term, psychopathic personalities in 1923. The central phrase Schneider used to describe people with personality disorder was that “those with personality disorders suffer because of their disorders and also cause society to suffer.” Although this phrase is rather ambiguous (many mental illnesses could be included under this rubric), it nonetheless encapsulated an essential core of personality disorder: the inability to form and sustain satisfactory interpersonal relationships. (2)

In contrapposizione a questa visione quello che propongono gli autori è <a core diagnosis> basato sulla gravità (quanto è compromessa la vita quotidiana per effetto dell’incapacità di mantenere relazioni interpersonali soddisfacenti) e un <secondary set of traits> che punta a descrivere il comportamento all’interno delle “cinque dimensioni della personalità”. L’obiettivo dichiarato è quello di rendere finalmente possibile (in un futuro sperabilmente non troppo lontano) una più facile valutazione degli interventi terapeutici.

a core diagnosis based on severity (2)
Secondary traits describing the patient’s behaviour(2)

#3 Come cambia la personalità durante la vita?

Esagerato parlare di personalità sin dai primi anni di vita?

That personality develops from birth to adulthood seems obvious: individual differences in personality traits are recognised from birth and these differences are understood to arise from genetic endowment, changing with maturation and environmental factors until adulthood. (3)

Meta-analytic data (..) show that personality across the normal–abnormal range is moderately stable during childhood, increases in stability from adolescence to emerging adulthood, and then changes more slowly from age 30 years. Specifically, the Big Five dimensions of personality already show substantial stability across community and clinical samples of children and adolescents. (3)

Come cambiano le Big Five dimensions of personality durante la vita?

The Big Five dimensions of personality (3)

#4 Come cambiano i disturbi della personalità durante la vita?

  • Young people

Despite the scientific evidence for the validity of personality disorder in childhood and adolescence, the diagnosis remains taboo in these age groups. The evidence presented in this Series paper suggests that such views are no longer justified. Many clinicians avoid the diagnosis on the grounds that they are protecting patients from the stigma associated with the label. Notably, this stigma is common and is reinforced by some health professionals. Crucially, however, in view of present knowledge, clinicians should be provided with information that will help them to make clinically appropriate diagnoses of personality disorder without fear of stigmatising patients, because failure to recognise or diagnose the disorder curtails appropriate intervention and risks inappropriate or harmful intervention.

(…)

#5 Quale terapia?

L’articolo dedicato alla terapia (4) è certamente il più difficile da leggere, anche perché mantiene (per necessità) molti riferimenti al sistema di classificazione vigente piuttosto che alla nuova classificazione. Inoltre il riferimento costante alla diffusa co-morbosità psichiatrica obbliga ad alcune conoscenze di base; per una lettura proficua è indispensabile una conoscenza di base su “axis I and axis II comorbid disorder”

Gli autori sottolineano subito che l’efficacia della terapia (sia psicoterapeutica che farmacologica) è davvero dubbia in moltissime situazioni, ma ci tengono ad aggiungere che:

Despite all (…) caveats, reasons for optimism in personality disorder treatment remain. The old notion that these disorders are necessarily long term, stable over time, and associated with poor outcomes can no longer be sustained (…) The serious epiphenomena, such as suicide attempts (…) and aggressive outbursts improve markedly with treatment. These improvements are substantial in view of the cost of these behaviours for the individual, health services, and society (4)

Tuttavia l’impianto generale proposto negli altri articoli è poco visibile nella definizione dei “Cluster” clinici proposti e nelle analisi di efficacia terapeutica fatte. Insomma di tutti l’articolo più difficile, ma anche il meno interessante (a parte le sottolineature sull’efficacia dell’intervento psico-educativo, di cui esiste davvero poco nell’esperienza italiana) e per forza di cose il meno innovativo: ci vorranno ancora molti anni prima che la nuova proposta possa essere visibile nelle analisi di efficacia terapeutica.

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