Data Driven User Experience Research
L’analisi sistematica ed evoluta di dati complessi apre nuove possibilità per aumentare la potenza di analisi della UX Research
I sistemi di Machine Learning e la Data Analysis sono strumenti potenti a servizio di quelle organizzazioni e di quelle professioni che sono in grado di servirsene con intelligenza. Possono aiutare ad assottigliare il divario tra opinioni e fatti, analizzando una mole imponente di questi ultimi, trovando similitudini, svelando connessioni, facendo emergere evidenze altrimenti nascoste.
Anche l’industria del design ha saputo cogliere le opportunità di queste nuove tecnologie cominciando ad applicarle alla produzione di prodotti e servizi. Autodesk è stato un pioniere del design generativo, utilizzando la potenza inferenziale del machine learning e delle AI per automatizzare la generazione di soluzioni progettuali e poterle poi valutare criticamente. Airbnb ha invece negli anni dimostrato come l’analisi visiva potesse essere utilizzata per trasformare automaticamente schizzi e bozzetti in interfacce e prototipi funzionanti, mostrandoci cosa potrebbe essere parte dell’evoluzione dello UI design nei prossimi decenni.
Ma cosa succederebbe se applicassimo queste stesse tecniche all’analisi dell’esperienza e del customer journey, spostando di fatto il fuoco dalla progettazione alla ricerca con gli utenti?
Le esperienze che le persone possono fare lungo i Customer Journey sono molteplici. L’uso dei touchpoint, la sequenza di step, le motivazioni e i bisogni che le sostengono sono plurimi, non infiniti certo, ma di certo tanti. Non c’è bisogno di scomodare Amleto per sapere che ce ne sono molti di più di quanti ne possiamo concepire a priori. Spesso vengono trascurati o ignorati — perché non vengono osservati — molti dei percorsi di relazione esistenti tra i consumatori e l’azienda.
Difficilmente le aziende, ma anche gli stessi designer e i ricercatori, sono consapevoli di questa complessità, e tantomeno degli impatti che questa può avere sulle performance di business o sugli output di design.
Da un paio d’anni abbiamo avviato una sperimentazione in tal senso e stiamo usando le data science per potenziare la profondità euristica delle attività di ricerca con gli utenti: l’idea è di utilizzarli estensivamente sull’intero set di Journey dei clienti per mappare il maggior numero di fenomeni legati all’interazione con i touchpoint aziendali.
L’obiettivo è la pervasività della misurazione: tutti i principali eventi di interazione tra i singoli clienti e i touchpoint dell’azienda devono essere tracciati e analizzati per poter disporre di una mappa completa del comportamento della popolazione e per poter realizzare delle valutazioni anche rispetto ai KPI di interesse per il business. La mappatura è ovviamente tanto più accurata, precisa e valida quanto più ricca è la disponibilità di dati, comportamentali e di diversa natura, di qualità e dalla realizzabilità di un motore di calcolo in grado di elaborare tali informazioni in maniera dinamica, flessibile e completa.
Stiamo testando queste pratiche con alcuni clienti e ne abbiamo tratto un po’ di considerazioni interessanti.
Ottenere dei veri behavioural cluster e tipologie di esperienze
Gli strumenti del Machine Learning ad oggi disponibili sono in grado di raggruppare le storie degli utenti per somiglianza, effettuando un “clustering comportamentale” sulle catene di eventi che caratterizzano la sequenza di interazioni tra utenti e azienda, definendo così gruppi omogenei di interazioni e rilevando i modelli comportamentali direttamente dai dati.
Una serie di algoritmi calcola una misura di “somiglianza” tra le esperienze — le “tracce” che il cliente lascia sui sistemi operativi quando interagisce con un touchpoint — considerando le singole azioni svolte, la rilevanza di ogni evento e la loro sequenza all’interno della Storia degli utenti, i canali di interazione, e altre valutazioni sulle caratteristiche della Storia (es. la durata temporale della sequenza di azioni, …).
In breve, è possibile rilevare dei gruppi di utenti che si comportano in maniera simile e interagiscono con i touchpoint aziendali in maniera analoga (es. chiedono le stesse tipologie di informazione, attraverso canali simili): dei veri e propri behavioural cluster legati a tipologie di esperienze.
Ci possono essere delle belle sorprese. In quanti modi gli utenti percorrono un journey? Le aziende solitamente se ne immaginano un numero discreto, intorno alle decina. In un progetto fatto con un distributore di energia ne abbiamo scoperti più di novecento. Per poter maneggiare questa complessità è necessario intervenire però con strumenti qualitativi: raggruppando, cercando le cause di quei comportamenti, cercando correlazioni con altri fattori.
Ci siamo resi conto che i dati che riguardano le interfacce fisiche del servizio sono poverissimi: non ne abbiamo abbastanza e spesso sono tracciati malamente. Questo distorce la mappatura, o meglio apre dei buchi anche di comprensione nelle sue maglie. Molti dei comportamenti tracciati così non hanno un senso riconoscibile e, di nuovo, la ricerca qualitativa sopperisce alla conoscenza mancante.
Comprendere il contesto generale
Non solo comportamenti e gruppi, è possibile utilizzare gli strumenti di data analysis e machine learning anche per studiare comprendere il contesto in cui avvengono gli eventi che si intende conoscere e su cui si vuole intervenire.
Si conosce l’intero universo dei fenomeni: i percorsi, le azioni, i segmenti della customer base ed è quindi possibile fare delle inferenze e delle ipotesi sulle motivazioni che generano certi comportamenti o anche sui contesti che li ospitano: demografia, utilizzo di certi strumenti per gruppi di persone, nodi problematici…
Si possono usare strumenti evoluti anche per conoscere i segnali deboli, anticipare i trend emergenti e quindi indirizzare con più sicurezza le azioni progettuali, senza affidarsi solo alle sensibilità individuali dei progettisti e dei ricercatori coinvolti.
Creare personas a partire dai dati
I segmenti della customer base individuati possono la base fattuale per la costruzione delle Customer Personas della UX Research tradizionale: rappresentazioni archetipiche di bisogni, aspirazioni e comportamenti di un particolare segmento di utenti reali. A differenza di quelle costruite con il solo impiego delle tecniche di ricerca tradizionale, queste riposano su una mole di dati imponente, e, per di più, con queste tecniche è possibile arrivare a costruire tutte le personas, legando ciascuna a un particolare segmento della customer base così come emerso dalle attività di mappatura.
Le personas così costruite possono essere la base per ulteriori attività di indagine condotte con metodi qualitativi così da esplorare la dimensione delle motivazioni, dei valori e la sfera emotiva legata alla valutazione dell’esperienza.
C’è anche un altro elemento rilevante: i comportamenti sono trasversali alle personas. O meglio comportamenti identici possono essere agiti da tipologie di persone diverse per demografia o tipologia di spesa.
Abbiamo imparato che fare una correlazione uno a uno tra personas e behavioural cluster è erroneo, ed è quindi necessaria una tipizzazione di secondo livello, condotta con sensibilità della ricerca qualitativa tradizionale.
Per esempio il behavioural cluster che abbiamo denominato come “I Reclamosi” per il loro incessante ricorrere ai servizio reclami di un nostro cliente conteneva in sé una molteplicità di persone animate da motivazioni molto diverse. Se li avessimo ricondotti a una unica persona tipo “Pietro — il Reclamoso” avremmo perso una quantità imponente di informazione.
Big data + fast data + small data = un nuovo approccio alla user research.
L’approccio quali-quantitativo tradizionale permette di valutare la qualità dell’esperienza offerta da un brand ai propri clienti finali e interpretare il comportamento e le motivazioni di questi ultimi, ma — e ripetiamo, è il suo grande limite -, riesce a farlo solo su alcuni dei Customer Journey tra tutti quelli che accadono. Le tecniche avanzate di data analysis applicate alla Customer Experience ci permettono di scoprirli e mapparli tutti — ma non a valutarli -, e quindi di prenderli in considerazione nella loro concretezza. Ma tutti i processi di interazione cliente-azienda hanno dei punti ciechi che i dati non possono rilevare: questo è il limite del metodo data-driven.
L’innovazione dell’approccio combinato tra ricerca tradizionale che si occupa di small data e indagine data-driven su big e fast data consente di superare le limitazioni di entrambi gli approcci, permettendo di monitorare un elevato numero di persone e consentendo di verticalizzare le indagini su ambiti circoscritti e limitati. La ricerca è guidata sugli aspetti che i dati suggeriscono di approfondire, quelli di maggior valore per il business o quelli che i dati non riescono a descrivere. A partire da questi è possibile costruire successivamente KPI operativi più complessi e istituirne un processo di monitoraggio e controllo completo. Dai KPI operativi si passa infine a inferire la correlazione o addirittura la causalità con i principali KPI di interesse per il business.
I KPI identificati da questo nuovo metodo ibrido di analisi permettono di saggiare a ciclo continuo la qualità dell’esperienza, ma anche di individuare e attuare iniziative di miglioramento mirate, misurabili ed efficaci.
Unire questi due approcci di analisi ci permette di prendere il meglio di entrambi: avere piena consapevolezza di tutti i Customer Journey, eliminare la dimensione di arbitrarietà legata ai metodi qualitativi, e permetterci quindi di intervenire solo ed esclusivamente su percorsi reali, ben mappati in tutti i loro punti, e quindi sviluppare azioni progettuali a partire da una base fattuale.