Il Giornalino di Gian Burrasca: la borghesia non paga il conto

Il classico di Vamba ride delle ipocrisie dei grandi ma è intriso di classismo

Giulia Blasi
The Book Girls
Published in
3 min readDec 22, 2015

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L a narrativa (per ragazzi e non) è costellata di diari. Quello assolutamente sincero di un indiano part-time. Quello di Adrian Mole. Quello scritto da Cassandra Mortmain nel castello diroccato. E ovviamente il giornalino di Giannino Stoppani, ricevuto in dono per il compleanno e riempito giorno dopo giorno delle sue riflessioni e delle sue avventure ai limiti del rompicollo, illustrate dallo stesso Giannino con straordinaria dovizia di dettagli. L’abbiamo letto tutti, assorbendone i toscanismi e le ingenuità, ridendo e piangendo e scuotendo la testa davanti alle ipocrisie che racconta, e che sono il vero bersaglio di Vamba.

L’avvocato Maralli, mangiapreti in pubblico e sposo cattolico in privato, e che si tiene in casa un vecchio zio ricchissimo per ereditarne la fortuna; i direttori del collegio Pierpaoli, che incassano le rette dei collegiali ma risparmiano sul cibo; il Tyrynnanzy, che si è cambiato le i del nome in tanti ipsilonni per essere più inglese; il dottor Collalto, che pratica innovativi (e probabilmente inefficaci) “bagni di luce” per curare i suoi pazienti. E ovviamente le sorelle di Giannino, il cui unico destino è sposarsi, e quando non ci riescono (come la povera Ada) non possono che piangere la propria sorte: quello del Giornalino è un ritratto spietato della società italiana all’inizio del ventesimo secolo, a pochi decenni dall’unità e ben prima della Repubblica, una società vitalissima che comincia a fare i conti con il mondo e le innovazioni scientifiche, ma rimane provinciale nel midollo.

Lo scherzo al dottor Collalto

Da narratore inaffidabile quale può essere solo un bambino di nove anni, Giannino registra solo una parte di queste ipocrisie e conserva una certa innocenza rispetto ai disastri che combina: quando si tinge labbra e guance con un belletto trovato in camera della sorella non sa di metterla in imbarazzo insinuando che si tinga la faccia (peccato gravissimo, per una brava ragazza: agli inizi del ‘900 solo le poco di buono usavano di questi trucchi).

L’innocenza di Giannino, tuttavia, è venata di un classismo tanto inconsapevole quanto radicato. Quando si schianta in auto insieme a Cecchino Bellucci, che rimane zoppo, Giannino si commuove ma non ci pensa più: Cecchino è talmente più in basso di lui nella scala sociale che il suo destino — probabilmente segnato per sempre dalla sconsideratezza di Gian Burrasca — non importa a nessuno. Come non importa a nessuno di che fine farà Tito Barozzo, quando scappa dal collegio di notte per andarsene verso il suo destino di orfano spiantato.

Giannino piange per la gamba di Cecchino e piange per la fuga del Barozzo, ma ritorna presto alla sua vita di ogni giorno, la vita di un ragazzino agiato che non deve preoccuparsi di nulla (e anzi, ha pure ereditato una piccola somma dal signor Venanzio, unica voce della verità), tantomeno dei disastri che combina. Il privilegio di Giannino è innegabile, inesplorato e irrisolto.

Il Giornalino di Gian Burrasca, di Vamba (Giunti Junior)

Nota a margine, ma forse neanche tanto: in questi giorni avrete forse seguito il dibattito sulla questione di genere in letteratura. Una cosa che non sapevo e che ho scoperto da poco è che Il Giornalino di Gian Burrasca è una parziale traduzione-adattamento di A Bad Boy’s Diary di Metta Victoria Fuller Victor: Vamba ne utilizzò le prime cinquanta pagine come base della storia di Giannino. Aggiungetela alla vostra lista di scrittrici delle quali non sapevate nulla, e non per colpa loro.

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Giulia Blasi
The Book Girls

Writer, teacher, public speaker, in that order. Nerd when it wasn’t cool. Bookworm.