SIGNALSPECTRUM | Incertezza per il futuro: perché abbiamo così paura di ciò che non conosciamo (ancora)?

di Francesca Fattorini

Alla fine dell’articolo sul fenomeno del Kidulting, trend legato al desiderio degli adulti di impegnarsi in attività ludiche per lo più destinate a un pubblico più giovane, ci eravamo lasciati con la promessa di indagare il contesto nel quale il Kidulting si sta sviluppando. Lo faremo attraverso due filoni principali che sono alla base di questo trend: nostalgia del passato e incertezza per il futuro. Iniziamo proprio da quest’ultimo.

Chi sono i “giovani”? Se dovessimo attenerci soltanto al parametro dell’età, secondo i requisiti per l’assunzione con un contratto di apprendistato in Italia, dovremmo ritenere giovani soltanto coloro che rientrano nel range che va dai 18 ai 29 anni. Dovrebbe essere questo infatti l’intervallo ideale in cui un individuo si forma perché ha poche esperienze alle spalle, ma grandi prospettive per il futuro. Ma in un Paese in cui, secondo gli ultimi dati EUROSTAT, si esce mediamente dalla propria famiglia di origine a 30 anni, si può affermare di essere adulti dopo i 30?

Un’altra domanda potrebbe essere: fino a quando manteniamo lo “stigma” di giovani?

Secondo la XIV edizione dell’Osservatorio europeo curato da Demos per la Fondazione Unipolis, la risposta varia di Paese in Paese e noi italiani siamo i più “generosi” quando si tratta di considerare qualcuno “giovane” (la media è di 51 anni, con la vecchiaia che comincia a 74 anni). Questa percezione è figlia dell’“incertezza biografica, [che] non appare più come una condizione transitoria, legata ad una particolare fase di passaggio, ma si propone come un aspetto permanente dell’esperienza individuale associandosi all’idea che la costruzione del proprio divenire sia un processo che continua per tutto l’arco della vita” [Rampazi, M., Storie di normale incertezza. Le sfide dell’identità nella società del rischio, 2009].

Per raccontare la realtà complessa dei giovani, oltre agli indicatori demografici che mostrano uno squilibrio nel rapporto tra giovani e anziani in Italia, possiamo prendere in considerazione anche i “riti di passaggio”, ossia quegli eventi che segnano la transizione all’età adulta (conclusione del percorso di studi, entrata nel mondo del lavoro…[1]). Per farla breve, la dilatazione dei tempi dei “riti di passaggio” genera la conseguente posticipazione delle esperienze — che generalmente la società avrebbe associato a specifiche fasi della vita — producendo in questa fascia di popolazione un inevitabile senso di disorientamento.

Riprendendo quindi i dati Demos, restiamo giovani più a lungo, non grazie a qualche miracolosa crema anti-rughe, bensì per il fatto che il percorso di crescita e di formazione è sempre un processo continuo, il quale blocca l’individuo in uno stallo: finché non si ha un lavoro che offra concrete opportunità di sviluppo professionale (ed economico), non si può seriamente pensare né di acquistare una casa né di avere dei figli.

Ecco due esempi tratti da TikTok:

  • 30enni in crisi di identità

Il video “POV: you’re a millennial in their 30’s trying to choose a personality”, che con alcuni elementi visivi ricorda un videogioco di guerra, ci propone una gamma di possibilità per costruire la nostra personalità. Così come si scelgono le armi e gli oggetti di equipaggiamento per il proprio avatar-soldato, in questo POV (per i profani: si tratta dell’acronimo Point of View, una modalità di esprimere se stessi e condividere la propria vita con tutti gli altri utenti attraverso un preciso punto di vista) occorre “scegliere saggiamente” una personalità tra: alcolista, divoratore di libri, viaggiatore o collezionista di carte.

Chi si prenderà cura di te?

Parte tutto da qui: giovani e denatalità. Ogni anno ISTAT scatta un’istantanea sulla situazione italiana, dove ci sono sempre meno nascite (con una età sempre più avanzata della donna alla nascita del primo figlio). Se da un lato la popolazione invecchia, dall’altro lato i giovani molto probabilmente stanno sviluppando aspirazioni diverse rispetto a quelle dei loro genitori. Certo, si ritarda il momento di costruirsi una famiglia, ma subentra comunque l’esigenza di avere compagnia. E chi meglio di un cane o un gatto può farla? (Ne avevamo parlato qui). Ma sorge spontanea la domanda: chi si prenderà cura di noi quando saremo anziani?

E se Cenerentola dovesse tardare il “momento pappa”?

[1] Se volete saperne di più, vi invito a leggere il mio saggio in “Moltiplicare i futuri. Teorie, prassi e finzioni”, Sossella Editore, 2023.

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