L’unità di misura del successo

No, non è l’ennesimo articolo su come trovare la motivazione e diventare il prossimo Steve Jobs.

Alessandro Sorbello
7 min readJan 27, 2018

Negli ultimi mesi ho scritto almeno tre articoli che non ho mai pubblicato.

Ho scritto di Growth Hacking, Startup, Bitcoin.

Non sapete quante volte mi è capito di andare a letto dopo una lunga giornata di lavoro e non riuscire a dormire, a causa di mille pensieri che non ne volevano sapere di restare in testa.

Allora accendevo la luce, buttavo tutto giù per iscritto fino alle 3 del mattino, convinto che il giorno dopo avrei pubblicato, e a quel punto crollavo secco.

“Neanche i bambini dormono così bene”.

Poi li rileggevo la mattina seguente e non mi piacevano più.

Li trovavo pieni di saccenza, polemica, quasi odio.

Sebbene scriverli avesse un effetto quasi terapeutico, il risultato finale non era nulla di cui fossi particolarmente orgoglioso.

Pochi giorni fa ho capito perchè.

Non avevo scritto quelle parole spinto da uno spirito di condivisione, di desiderio di aiutare il prossimo con le proprie riflessioni o comunque di contribuire con le proprie idee a questa invisibile comunità costituita dal nostro network digitale.

No, avevo buttato giù quei pezzi mosso da questo terribilmente moderno senso di competizione e desiderio di notorietà che sta purtroppo massacrando la mia generazione (e non solo).

Sono assolutamente convinto che uno dei più grandi mali della nostra epoca sia l’assoluta sovrabbondanza di informazioni a cui siamo soggetti ogni giorno.

Saranno i social network, sarà internet in senso lato, ma leggiamo e impariamo troppo e troppo in fretta. Siamo sempre immersi in questo costante flusso di notizie che ci bombarda il cervello e ci fa credere di saperne sempre di più degli altri, ci fa sentire sempre più “nani sulle spalle dei giganti”.

Assorbiamo così tante informazioni che a un certo punto ci sentiamo quasi intitolati a sfoderarle, per dimostrare al mondo quanto ne sappiamo su questa o quell’altra materia, tutti in cerca di un personal branding che ci possa trasformare nel prossimo Influenzer di turno.

Perchè in fondo tutti vogliamo ottenere un riconoscimento per ciò che facciamo o sappiamo.

Perchè se è bello ricevere un like, figuriamoci un milione.

Ho capito che tutta questa storia è una cavolata.

L’ho realizzato quando l’altro giorno, durante la pausa pranzo, sono andato a fare un giro in una grossa libreria del centro.

In quel posto vi erano quattro piani interamente pieni di centinaia di libri, che trattavano migliaia di argomenti, scritti da persone che magari avevano speso la loro vita approfondendo un determinato tema, per riversare tutto il loro sapere in un libro che la maggior parte delle persone non leggerà mai.

Ho realizzato un concetto semplice, ovvio, eppure non scontato.

I contenuti, oggi, non valgono più niente.

Internet non è altro che una gigantesca, infinita libreria dove trovare tutte le informazioni del mondo, in tempo reale.

In un mondo del genere ha davvero senso mettersi a scrivere di argomenti che pensiamo di conoscere solo perchè abbiamo letto e riletto contenuti e analisi scritte da altri che ne sanno più di noi, solo per affermare di saperne di più di chi quei testi non li ha letti?

Ok, è un po’ contorto, lo ammetto.

Provo a riassumere in modo diverso.

In un mondo dove l’informazione è gratuita e disponibile a tutti ci illudiamo di essere creatori di contenuti, ma nella maggior parte dei casi siamo solo distributori.

Eppure, spesso non riusciamo a capirlo, e cadiamo vittima della percezione e del contesto.

Rimaniamo affascinati da persone che in realtà hanno realizzato ben poco nella vita (spesso perchè oggettivamente se hai 20 anni non è che puoi avere salvato il mondo…) ma che riescono a creare un grosso seguito di persone che li ammirano e stimano per le loro “presunte” competenze e abilità.

Un video su Facebook, un post su linkedin

pieno

di

banalità

scritto

così

e subito ci sembra di avere a che fare con il nuovo Messia.

Sapete qual è il segreto di molti di questi influenzer della formazione e della comunicazione di tutto il mondo?

La mediocrità.

Non la loro, eh, la nostra.

Purtroppo, per distinguere la reale competenza dalla fuffa, l’oro dalla pirite, ci vuole abilità, un bagaglio di conoscenze o competenze tecniche che spesso non abbiamo.

In un mondo di ignoranza e di fake news i capaci restano nell’ombra, oscurati dai bravi comunicatori.

Da chi ti vende il sogno, nascondendo abilmente la complessità degli sforzi necessari a raggiungerlo.

E una volta realizzato tutto questo, mi sono chiesto: è davvero lì che vogliamo arrivare? E’ questo il tipo di personal branding che vogliamo costruire?

No.

Certo, a modo nostro tutti noi vogliamo “essere famosi”.

Essere famosi è bello. Essere famosi é utile.

I riconoscimenti e gli apprezzamenti stimolano la produzione di dopamina nel nostro corpo, inducendo una sensazione temporanea di felicità.

Avere un grande numero di persone che ci seguono ci aiuta anche nel momento in cui dobbiamo vendere il nostro prodotto o servizio. Ci sono intere aziende basate sul personal branding e lo storytelling intorno al loro fondatore, basti pensare a Tesla ed Elon Musk.

Ma il vero punto è: su cosa vogliamo costruire questa fama?

Su semplici parole (magari riciclate) o con i fatti?

Ed è qui la vera chiave di volta, a mio parere.

I numeri duri e puri, nel mondo di oggi, non hanno più alcun significato.

I numeri non rappresentano più un’indicatore significativo del nostro successo.

Ad esempio, restiamo in campo professionale.

Potremmo realizzare imprese epiche, dare lavoro a centinaia di persone, salvare aziende altrui dal tracollo, eppure avremmo probabilmente meno “seguito” di chi spende la maggior parte del proprio tempo a esaltare presunte conoscenze su un blog, scrivendo libri o davanti a una telecamera in casa propria.

Perchè vendere se stessi è un lavoro a tempo pieno, e il web non ha fatto altro che offrire maggiori strumenti per amplificare il proprio potere di persuasione sugli altri, maggiori armi per deviare la percezione, approfittando della nostra incapacità di distinguere.

Distinguere l’arte di comunicare dall’arte di saper fare.

Un’incapacità che porta a fenomeni assurdi da sempre, come chi diventa ricco vendendo libri che insegnano a diventare ricchi, persone che accrescono la propria community proponendo il segreto per creare community, oppure sedicenti esperti che vendono sotto forma di “segrete e mirabolanti tecniche di marketing” strategie ideate da qualcuno dall’altra parte del mondo in un’altra lingua (e già antiquate).

E non pensate che parli solo dell’Italia, eh tutto il mondo è Paese. Un parrucchino biondo ce lo ricorda ogni giorno.

Una possibile soluzione?

Guardare ai fatti oltre che le parole.

Proprio perchè il contenuto non vale più niente, bisogna analizzare cosa ha realizzato chi propone quel contenuto.

Il suo background e i risultati reali e misurabili, numeri alla mano.

Perchè come ricordava il buon Robin Williams in quel capolavoro di Will Hunting, è davvero facile ostentare conoscenza, forti dei nostri bei libri ed articoli del web, ma parlare per esperienza è tutto un altro paio di maniche.

Morale della favola

E quindi?

Ok, carte a terra.

Il mondo è caos, lo abbiamo capito.

L’ignoranza (in buona o in mala feda) regna suprema, i furbi prosperano e il merito viene troppo spesso bistrattato.

Perciò dobbiamo anche noi saltare sul carro e approfittarne per arrivare al successo e alla ricchezza?

Sinceramente, io non mi permetto di darvi consigli.

Ognuno è libero di fare la propria scelta etica.

Ho osservato abbastanza il mondo da poter affermare che le scorciatoie effettivamente esistono.

Non ho dubbi sul fatto che se invece di lavorare duramente per un modesto stipendio mettessi su un sistema per vendere pillole magiche dimagranti a persone disperate potrei diventare ricco in fretta.

Perchè non lo faccio?

Perchè sono fermamente convinto che il successo non si misuri in euro, dollari o bitcoin.

Che il nostro successo non sia rappresentato dal numero di like, di follower, di complimenti o applausi fintamente meritati.

Il successo si misura nell’impatto positivo che le nostre azioni hanno sulle persone a noi più vicine.

Il successo é lavorare fino alle 10 di sera per rendere onore ad un impegno preso con un cliente, con un capo o un collega, senza che lo sappia nessuno.

Il successo è spendere dieci, venti o trent’anni della propria vita a padroneggiare un mestiere ed utilizzare quelle competenze un giorno per creare lavoro per altri, senza aspettarsi nulla in cambio.

Il successo è essere percepiti come leader senza doverlo affermare con un titolo nero su bianco.

Il successo è riuscire a mantenere per sempre relazioni sincere basate sulla fiducia e il rispetto con le persone che se li sono sempre meritati.

Il successo è rimanere se stessi nonostante tutto e trovare sempre il tempo di prendere una birra con un vecchio amico.

Il successo è tutto questo.

E il premio è la felicità e la gratificazione che ne derivano.

Un abbraccio,

Alessandro

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