5. Biennale d’Arte 2019 Venezia

Dal nostro inviato Claudio Barna

Mnamon
4 min readJan 30, 2020
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Dopo aver sottolineato alcune difficoltà di rapporto tra artista e spettatore, non certo a favore di quest’ultimo, veniamo invece ad un padiglione che, a nostro avviso, raggiunge lo scopo prima di incuriosire, poi. di procurare benessere.

È il padiglione israeliano, il cui titolo “Ospedale da campo”, promette e mantiene. Vale a dire che promette di sanare le ferite non solo del corpo, ma anche dell’anima, come vedremo.

All’entrata si prende un numero, come in una normale attesa d’ospedale, poi ci si siede, attendendo che il proprio numero sia chiamato. Nell’attesa del turno si assiste a dei video, in cui si cerca di informare il paziente con dei consigli e delle istruzioni, su come, per esempio, urlare in maniera liberatoria, senza nemmeno disturbare.

Finalmente un padiglione dove si pensa a curare, non a ferire; perché ci sono padiglioni in cui si mirava proprio a far star male lo spettatore, e qualcuno l’abbiamo già visto. Si può invocare il diritto, per l’artista, a fare delle provocazioni, ma ci si lasci il diritto a provare del benessere, come si diceva. Anche perché, se la provocazione mira a far star male, il confine è oltrepassato.

Guarire, quindi. Sensazione piacevole e, ci si lasci dire, un ospedale ci voleva, dopo tante ferite inferte da questa Biennale.

Il titolo è “Field Hospital X”, 2019. il video No body di Ben Ron

Il breve articolo del catalogo coglie nel segno: l’arte che reagisce. Con questa sola parola viene condensato un potere che viene dato all’arte per reagire di fronte al male, o almeno per agire. Ecco uno scopo o destino dell’arte. Veramente L’Ospedale da Campo raggiunge questo obiettivo ed è eccezionale che in lui conti l’idea.

Si potrebbe dire che un ospedale sia “naturale” come esposizione in Israele. Ma non è la nostra vita, metaforicamente, una lotta? Anzi, solo una lotta, in cui le forze del bene e del male lottano per essere la detentrice della nostra vita, cioè dell’anima?

Ospedale da Campo. Ecco l’invenzione geniale di cui avevamo bisogno. Perché l’opera d’arte può essere, forse deve essere, utile. Cosa consigliava Orazio, nella sua Ars Poetica? Miscere utile dulci: mescolare l’utile al dolce. E cosa è più dolce di sentirsi in relax, dopo il climax dello sfogo, necessario alla liberazione, il grido, la raggiunta epicità in una lotta senza soste, ma risolta qui, perché guarita. Qui risolto il problema dell’attualità, come si è visto, perché l’opera è proponibile per il corpo e per lo spirito; ambedue necessitano di cure, sia quando si trovano in territori ad alto rischio, come appunto Israele, esposti a possibilità di attacchi continui. Sia quando ci si trovi in società illusorie come la nostra, dove viene continuamente proposta una pseudo pace basata sul kitsch televisivo, come si è visto nella scorsa puntata. Una pseudo pace, perché non mette al riparo dalle malattie, dai conflitti interiori e dai drammi che il mondo deve sopportare, e che scarica sulle coste.

Una volta papa Francesco ebbe a dire: “La Chiesa deve essere un ospedale da campo”. Anche se il suo progetto non si attuò, quanto di profetico in queste parole. Ora, dopo l’esposizione di “Field Hospital X”, dobbiamo dire, di estetico. È il bello infatti che caratterizza un’idea come questa, giustamente rappresentata all’interno di una mostra d’arte.

Chiaramente non è un vero ospedale, ma è meno, o forse più, di una rappresentazione immediata e bruta. C’è un qualcosa di forte e potente, l’idea che l’arte possa addirittura salvare. Questa idea era stata sommersa sotto maree di risate ciniche, fino a poco tempo fa; che questa la sentiamo arte, perché proviamo piacere di fronte a un Raffaello, e sentiamo l’eterno precetto risuonare negli orecchi: mescolare l’utile al dolce. Come, appunto, in “Field Hospital X”!

Claudio Barna

Nato nel 1958 a Domodossola (VB), si è laureato in lettere classiche.
Ha insegnato all’Università di Kaunas (Lituania).
Collabora con l’Università degli Studi di Milano.
Parla Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo e Lituano.
È single e non ha figli.
Ha una forte passione per la musica.
Ha pubblicato 11 volumi di poesie e un romanzo.

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