Guida per capire (e amare) Undertale — Vol. VI

Di memorabili brutti momenti.

Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica
11 min readFeb 19, 2020

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SPOILER perniciosissimi per chi non ha mai giocato Undertale; il lettore sprovveduto è avvisato.

Nel corso dei precedenti cinque appuntamenti con questa “guida alla comprensione”, c’è un personaggio che ho scientemente evitato di mettere in luce (e che ho malapena citato, nel primo volume). Non è certamente per la minore importanza che riveste nell’economia della storia o nella considerazione di Undertale. Del resto, è lo stesso Sans a tenersi sullo sfondo, nel corso di ciascuna delle tre run.

Ricaviamo come prima impressione quella di un personaggio scostante, indolente, trincerantesi dietro un’armatura di ironia e cinismo, incline alla burla: vuole bene e tutela l’ingenuo ed esuberante fratello, Papyrus, ma non adotta mai un atteggiamento proattivo, come se fosse intimamente convinto che nulla conti davvero. In due occasioni in particolare abbiamo modo di parlare con lui, momenti quasi di “parentesi” dall’incedere nel gioco: in entrambi, Sans ci offre un po’ di ristoro e qualche chiacchiera. Durante questi break, apprendiamo qualcosa in più sul suo rapporto con l’Underground e con altri personaggi (in particolare, una certa promessa a Toriel…); e soprattutto ci meravigliamo di un certo fare indagatorio nei nostri confronti. Evidentemente, Sans è qualcuno che sa e nasconde ben più di quello che palesa.

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Eccoci, dunque, alla fine della Genocide Run. Prima di uccidere Asgore, prima di fare i conti con Chara — come visto nello scorso volume — c’è un ultimo grande ostacolo congegnato da Toby Fox prima che il giocatore concluda il più sacrilego degli atti. Sans ci attende nell‘ultimo corridoio, ponendosi come estremo baluardo dell’integrità di Undertale: ci troveremo di fronte a una delle battaglie più difficili che un videogiocatore possa mai provare nella propria “carriera”. Fox opera in due direzioni attraverso questa difficoltà. Da una parte, comunicando di nuovo fra le righe, ci dà un’ultima scusa (meglio ancora, pretesto) per mollare questa via della dannazione che abbiamo intrapreso — in altre parole, l’autore ci tende una mano a “non peccare”; dall’altra ci fa intendere che, qualora avessimo serie intenzioni di “chiudere” una Genocide, questo è l’obolo da pagare sulle soglie dell’inferno: dobbiamo volerlo, con il sudore della fronte e il dolore dei polpastrelli. Solo così avvertiremo ancora meglio, alla fine, l’enorme irreparabilità di ciò che abbiamo compiuto.

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Sans è il personaggio più neutrale e disinteressato del gioco, limitandosi a giudicare le nostre azioni alla fine di ogni run. Perlomeno finché non tentiamo una Genocide…

Ecco, allora, una cronistoria di una delle migliori boss fight della storia del videogioco — a parere di chi scrive, la miglior boss fight della storia del videogioco. Così conosciuta, osannata e temuta (anche da coloro che mai hanno giocato Undertale), da essere stata “estrapolata” per chiunque volesse provarla: Bad Time Simulator.

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  • Appena giunti nella Judgement Room, Sans ci accoglie domandandosi se “anche la peggiore delle persone possa cambiare, se ci prova”. Senza nemmeno degnarlo di una risposta, Chara (ormai quasi del tutto scollatosi dal nostro controllo, come ho già scritto) fa un passo verso di lui, senza che il giocatore pigi un tasto: ormai distruggere è l’unico desiderio. Sans, per nulla intimorito, risponde con l’ormai iconica frase “Do you wanna have a bad time?”. Un altro passo e, Sans ci avvisa, non gradiremo quello che succederà: mai parole furono più profetiche. Chara, il passo, lo fa.
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Sans aveva promesso a Toriel di proteggere quel bambino, Chara. Promessa che dovrà infrangere.
  • Transizione, e un Sans immerso in uno spazio nero ci accoglie, con in sottofondo suoni dolci e primaverili, cinguettii di uccelli. “It’s a beautiful day outside. Birds are singing. Flowers are blooming…On days like these, kids like you…SHOULD BE BURNING IN HELL”. Improvvisamente, e per la prima e unica volta nel corso di tutte le run, il nostro avversario ci attacca ancor prima che appaia la schermata classica di battaglia. Ecco che, allora, questa intro acquisisce tutto un significato proprio: non solo questo inizio pacato ha proprio la funzione di smorzare la tensione combattiva del giocatore prima dell’attacco a sorpresa, ma sottolinea, implicitamente, proprio l’armonia e la bellezza che con le nostre azioni vogliamo distruggere. La contrapposizione fra noi e tutto ciò è netta, e le stesse parole di Sans la ricalcano.
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Instant classic.
  • Un attacco velocissimo, pieno di combinazioni, di cospicua durata, investe il giocatore totalmente preso alla sprovvista. Non è inusuale che il videogiocatore qui muoia immediatamente: non è solo la potenza dell’attacco a sbaragliare, ma è l’assoluta impreparazione. Abbiamo qui, subito, l’avvisaglie di quello che sarà un tratto distintivo di questo scontro: non ci sono più regole (né ludiche né extra-ludiche, prestate attenzione a cosa significhi ciò, ci ritornerò più avanti), non ci sono più riguardi o safe spot. La nostra tracotanza nel voler terminare una Genocide merita misure estreme.
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Il primo attacco a sorpresa di Sans.
  • Poniamo che il videogiocatore muoia subito. Si ritorna da Sans mediante il caricamento della partita (ergo, usando la determination), il quale ha ben voglia di dire che Chara “sembra frustrato per qualcosa”. Comincia subito a innescarsi quel processo mediante il quale il giocatore è spinto a riprovarci non solo per quell’etica da videogiocatore — la quale lo porta a superare una sfida — ma anche per l’antagonismo che gli sberleffi di Sans suscitano. Vedremo come tutto questo contribuirà a rafforzare una certa comunicazione che Toby Fox vuole veicolare con questo scontro. Inoltre, queste parole di Sans suggeriscono anche una certa verità, la quale diverrà più chiara fra qualche minuto…
  • Stavolta il videogiocatore sopravvive all’attacco iniziale. E Sans commenta con una frase che rispecchia totalmente il personaggio (e Undertale, opera della decostruzione per eccellenza): “Mi sono sempre chiesto perché la gente non usi mai il suo attacco migliore come primo”. Ma ora inizia la vera battaglia, “You feel like you’re going to have a bad time”. Compare la schermata che abbiamo ormai imparato a conoscere.
  • Inizia Megalovania.
Megalovania fa chiaro riferimento a noi (e non al nostro nemico, come era vero invece per ogni altro mostro), dei megalomani violenti e senza scrupoli. Abbiamo sottolineato più e più volte come l’organicità di Undertale si esplichi anche attraverso le sue musiche, e non è un caso che questa non abbia correlato alcun leitmotiv, in quanto è la nostra colonna sonora, di un essere che con questo mondo non ha niente a che fare. Abbiamo rifiutato ogni amicizia, ogni chance di entrare in sintonia con questo universo, autoescludendoci da esso. È quindi innegabile che ci sia una percepibile inversione dei ruoli, anche se ovviamente ricopriamo ancora una posizione centrale. Siamo sempre noi a ricaricare il salvataggio se veniamo sconfitti, dopotutto.” — Alessio La Greca.
  • I turni d’attacco di Sans sono devastanti. Schivarli è arduo, funestano il giocatore con la loro frequenza, e fanno danni assurdi. Ma c’è qualcosa di strano: selezionando il check, ci viene detto come Sans sia “il più debole dei nemici”, “atk 1 def 1”, “fa solo 1 di danno”. E, in realtà, è proprio così: ogni volta che veniamo sfiorati da un suo attacco il danno effettivo è “1”. Solo che, a differenza di tutti gli altri nemici, non abbiamo invincibility frame da un suo danno: Sans sopperisce alla forza con la frequenza e l’accumulazione del “danno nel tempo” (il KR che leggiamo sta per karma…). Il risultato è che, quasi sempre, sbagliare anche solo una schivata equivale a prosciugare tutti i propri hp. E se provassimo ad attaccare una creatura con difesa 1? La shottiamo, no? No, ancora una volta Sans, perfetta rappresentazione di Undertale, sovverte le regole.
La schivata di Sans è una delle rotture della “regola interna” di un videogioco più dirompenti che si ricordi.
  • Attacco fortissimo, impossibilità di procurargli danno. E quindi che si fa? Nel frattempo il giocatore perisce di nuovo. Ancora una volta torniamo da lui, rinizia la battaglia: “…outside. Birds are singin-”. Incredibilmente, Sans taglia la propria frase e ci attacca prima che la concluda. E il giocatore muore di nuovo. Torno a quanto detto sopra: Sans, simbolo eletto di Undertale, piega le regole della prassi e distrugge la “correttezza” che è alla base del gioco in genere. Sans sa chi siamo, sa che potere abbiamo (la determinazione), sa che le regole tipiche del videogioco a cui sottostanno tutti gli altri boss non hanno senso: lui è consapevole che si debba andare oltre le regole per batterci. Sans non è Undyne, e il suo modo di combattere (e dunque, da ultimo, il gameplay) ce lo fa capire. Noi non meritiamo trattamenti di riguardo e Sans, ancora una volta, ci prepara ad aspettarci di tutto: le sorprese si susseguono senza sosta. Intanto, Sans ci canzona di nuovo.
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Sans, a ogni nostra resurrezione, non perderà occasione di canzonarci per l’ennesima morte, enumerandole (fino alla decima) e rivolgendoci ogni volta una diversa battuta provocatoria.
  • Mai come con Sans, Undertale palesa che gli scontri con i mostri sono “dialoghi”. Se è vero che Sans schiva ogni nostro attacco, è anche evidente che a ogni schivata lui sembri un po’ più stanco, e parallelamente lo stesso svolge un discorso: vediamo un po’ più da vicino cosa dice.
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  • Finalmente comprendiamo la malinconia di questo personaggio: lui è uno dei pochi, insieme ad Asriel, ad avvertire le fluttuazione dello spazio-tempo provocate dal giocatore. Lui assiste, impotente, alla creazione e al disfacimento continuo del mondo intorno a lui, così come dei suoi affetti. In altri termini, lui sa come tutto quello che accade intorno a lui sia vano. La sua è la situazione più orrenda che ci possa essere, in quanto più di tutti patisce il potere del giocatore, la sua determinazione.
  • A un certo punto, Sans si ferma: è troppo stanco. E dice “…da qualche parte lì dentro. Lo posso sentire. C’è un barlume di una brava persona dentro di te, la memoria di qualcuno che una volta voleva fare la cosa giusta”. Sans si sta rivolgendo a Chara, ma, come abbiamo già detto, si sta rivolgendo prima di tutto al giocatore: se quest’ultimo sta facendo una genocide, vuol dire che molto probabilmente prima ha fatto run pacifiche, quindi “avevamo fatto la cosa giusta”. Sans vuole che lo risparmiamo. Fa appello alle nostre vecchie amicizie (in altre partite), fa appello a quella scintilla di bontà che lui, come Papyrus prima di morire, ha intravisto. E noi cediamo a quel sentimento, selezionando “spare”.
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Il meccanismo attraverso il quale possiamo risparmiare Sans si basa su un sottile sottinteso psicologico: in quei momenti è in lotta “l’etica da videogiocatore”, la quale ci porta a portare a termine ciò che abbiamo iniziato, con l’empatia che la storia, il trascorso e la figura di Sans hanno suscitato in noi. In quei momenti battagliano le opposte pulsioni che hanno contrassegnato la summa etica di Undertale.
  • Di nuovo un saggio della perizia comunicativa di Toby Fox. Sans, una volta risparmiato, ci dice “So quanto possa essere stato difficile…fare quella scelta. Vanificare tutto quello per cui s’è lavorato.” Sans si sta chiaramente riferendo a cosa occorra per arrivare a quel punto della Genocide, tutta la fatica, il tedio e le difficoltà incontrate: gettare al vento tutte quelle è una scelta difficile. Ecco dunque che il percorso faticoso ordito da Fox diventa un mettere alla prova la bontà del giocatore: è disposto a vanificare tutto quel tempo e sudore, a favore di un rigurgito di bontà per quel vecchio amico? Se sì, il giocatore è redento. Sennonché…
geeettttttt dunked on!!!
  • L’abbiamo detto, siamo fuori dal gioco. E ora Sans, ovvero il gioco, ovvero il software gioca noi, punisce noi. Non c’è fairplay quando a essere messo a repentaglio è il mondo intero. Non c’è redenzione per un mostro che non comprende la responsabilità delle proprie azioni. E se il giocatore torna, Sans ha avuto ragione. Se il giocatore torna, vuol dire che ha prevalso l’etica distorta da videogiocatore, che ha prevalso il senso di sfida che sin dall’inizio Sans ha cagionato nel nemico. E ora, se torna, le cose si fanno serie.
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Ne riparliamo nell’ultimo volume di queste parole.
  • Ecco allora l’ennesima incredibile evoluzione di questo scontro, l’ennesima distruzione delle regole videoludiche: ora Sans attacca anche al di fuori del proprio turno, colpendoci mentre navighiamo nel menu. La battaglia con Sans non solo è il baluardo estremo che ci separa da un’empia impresa, ma deve rappresentare e veicolare lo spossamento — anche fisico oltre che mentale - che portare a termine questo percorso comporta. Non c’è riposo, non c’è respiro: Sans, non molto diversamente dall’altro “giocatore oltre lo schermo” conosce le leggi del videogioco, e pertanto ne altera le meccaniche, al fine di parificare uno scontro altrimenti impari — come, del resto, impari sono tutte le battaglie di un videogioco (il giocatore ha sempre la scialuppa del salvataggio, innanzitutto…).
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Le ossa si spostano regolamente sui pulsanti del menu, costringendoci a uno stressante ondeggiare fra i tasti nella speranza di non subire ulteriore danno. L’ennesima trovata geniale di Toby Fox, che porta lo scontro su un terreno che trascende le “regole interne” proprie di ogni videogioco, senza distruggere, però, come ormai ben sappiamo, la coerenza drammatica, nemmeno questa volta.
  • La seconda parte della battaglia dimostra quanto la prima non fosse che un assaggio: attacchi sempre più incessanti, pochissimo tempo per riflettere, chance quasi nulle di riposare e riordinare le idee. E Sans ci incalza e pungola psicologicamente: sta bluffando o no, annunciando che se continueremo a combatterlo ci riserverà il suo “special attack”?
Una no hit, tramite Bad Time Simulator, del pre-Special Attack.
  • Con enorme fatica il giocatore arriva a questo “attacco speciale”. Una ardua e lunga sessione di bullet hell in cui l’arena di battaglia si distorce e si piega sotto i colpi di Sans, con il giocatore, infine, sballottolato fra le “mura dell’arena”. Ma ancora una volta Sans regala un colpo di scena: non era quello l’attacco speciale.
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  • Esatto, l’attacco speciale di Sans è… niente. Pur di salvare ciò che resta del suo mondo — e pur consapevole dell‘inutilità di tutto ciò che lo circonda — eroicamente decide di tenerci bloccati, all’infinito, nel suo turno: non ci attacca (non ne ha più le forze) ma non ci farà nemmeno attaccare. Inutile che sottolinei quanto brillante e potente sia, sotto ogni aspetto, questa trovata di Fox. Qualora il giocatore si dirigesse verso il bordo sinistro dell’arena, lo stesso verrebbe teletrasportato da Sans al centro; verso qualsiasi altra direzione, nulla potrebbe fare.
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Anche di queste cruciali parole che Sans ci rivolge nei suoi istanti finali parlerò nell’ultimo volume.
  • Che fare? Sans, e Undertale in quanto software che si protegge da un virus impazzito ovvero noi giocatori, ci hanno realmente relegati in una stasi perenne? Data l’inutilità di qualsiasi azione, al giocatore non resta che…non fare niente: deve rimanere immobile. Ed ecco che, lentamente e dopo un po’ di tempo, lo sprite di Sans comincia a cambiare: è troppo stanco per la battaglia, e l’immobilità del giocatore lo sta portando ad appisolarsi. Ancora qualche secondo e si addormenta.
  • Altro capitolo di questa straordinaria boss fight: senza più il controllo di Sans, il giocatore è pur sempre rinchiuso nel suo turno, ma ora può dirigersi verso il margine sinistro dell’arena e spostarla. Ma verso dove? E a che pro? Beh, ovvio: verso il fight. Chara non conosce altra risposta che la sopraffazione violenta, e dunque, un passo alla volta, sposta l’arena sopra il tasto di attacco (capite la concettualità che sottende tutto questo processo?). Arrivatovi sopra, il giocatore può selezionare l’attacco; Sans incredibilmente si sveglia e schiva di nuovo, ma Chara riattacca subito (senza alcun nostro input). Stavolta Sans non ha scampo, e con “1 a difesa” non può che essere shottato.
  • Con uno squarcio sul ventre e il sangue che a rivoli copiosi scorre da bocca e pancia, Sans morente rivolge un ultimo pensiero a Papyrus, allontanandosi dallo schermo e spirando (cosa che capiamo dal suono tipico dei mostri che si vaporizzano). Pur sempre orgoglioso e ostentante sicurezza, il nostro avversario non ha permesso che il giocatore, spregevole essere, si beasse della sua morte, tanto sudata.

Cade così l’ultimo ostacolo. Sans rappresenta la reale materializzazione di Undertale come gioco. Non solo è posto come il censore del comportamento del giocatore nella sua partita, ma altresì, restando fedele alla poetica foxiana che permea tutta l’opera, con la sua titanica boss fight accartoccia le consuetudini assimilate dal videogiocatore, rivoltandole contro lo stesso, al fine di coinvolgerlo, sorprenderlo e comunicare come poche altre cose mai viste in un monitor, in un tripudio di colpi: di genio, di scena e al cuore.

Ma siamo, dunque, alla fine. È arrivato il momento di tirare le fila.

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Lorenzo “GOV” Sabatino
Frequenza Critica

Ci sono poche cose che meritano di esser dette e spesso manca anche la voglia.