The Outer Worlds: lezioni di turbocapitalismo fantascientifico

Il gioco preferito di Diego Fusaro.

Fabrizio "Bix" Salis
Frequenza Critica
9 min readDec 4, 2019

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Dopo i contestatissimi Fallout 4 e Fallout 76, molti fan dei giochi di ruolo si sono convinti della definitiva morte della saga creata oltre 20 anni fa da Black Isle Studios e Interplay. Eppure l’eredità ancora persiste, ed è toccato a Obsidian Entertainment portarla avanti ancora una volta, dopo aver collaborato con Bethesda nella realizzazione del tanto sfortunato quanto ottimo Fallout: New Vegas. The Outer Worlds, ultima produzione dello studio californiano prima del definitivo passaggio nella scuderia Microsoft, nasce quindi almeno in parte con lo scopo di trasferire quello che gli appassionati amano di Fallout in una nuova proprietà intellettuale.

The Outer Worlds è ambientato in un futuro ucronico, dove le grandi corporazioni hanno preso il totale sopravvento e imposto un capitalismo e un consumismo totalmente fuori controllo. Siamo ad Alcione, un sistema stellare letteralmente acquistato da un gruppo di corporazioni, riunite nel Consiglio, per essere colonizzato e sfruttato economicamente. Due sono le navi inviate dalla Terra per occupare Alcione: la Pioniera e la Speranza. Laddove la prima è arrivata a destinazione, la seconda è invece stata considerata, almeno ufficialmente, dispersa per 70 anni. Il nostro o la nostra protagonista è proprio un colono di questa astronave fantasma, risvegliato dal sonno criogenico da Phineas Welles, uno scienziato un po’ fuori di testa e strenuo oppositore del Consiglio e delle sue politiche, da molti considerato un terrorista. Eccoci quindi ai comandi della nostra personale nave, l’Inaffidabile, pronti a fare qualunque cosa per liberare anche gli altri coloni dal lungo sonno criogenico. O per rafforzare il potere del Consiglio. Oppure potremmo semplicemente farci gli affaracci nostri.

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Una modifica doverosa.

Come ogni gioco di ruolo che si rispetti, The Outer Worlds garantisce al giocatore una larghissima libertà d’azione su come sviluppare il personaggio e la sua storia, pur senza raggiungere mai la complessità delle ramificazioni di New Vegas: i finali sono solo due e il sistema di fazioni, pur presente, è meno incisivo di quello che ci si potrebbe aspettare. In generale, rispetto al precedente lavoro di Obsidian, The Outer Worlds è un titolo più compatto e focalizzato, che preferisce mettere da parte le velleità da open world in favore di una struttura a mappe singole di dimensioni medio-piccole, con tanto di caricamenti a separarle.

Anche a livello di longevità non c’è assolutamente paragone: una trentina di ore è più che sufficiente per completare una singola partita. Ovviamente niente ci impedisce di iniziarne una nuova per fare scelte diverse. È quasi una ventata d’aria fresca dopo gli innumerevoli giochi, gdr o meno, che durano centinaia di ore e finiscono per venire a noia molto prima dei titoli di coda.
Ne so qualcosa, visto che negli ultimi mesi ho giocato ad Assassin’s Creed: Odyssey.

A livello narrativo, The Outer Worlds presenta una buona trama con un twist ben pensato, seppur non del tutto imprevedibile. Certo, forse la main quest sarebbe potuta essere un po’ più lunga, ma le diverse missioni secondarie non sono assolutamente di qualità inferiore, anzi. Quello che spicca è senza dubbio la vena ironica e sarcastica che permea l’intera opera, a partire dai dialoghi fino ad arrivare al mondo di gioco, ai personaggi e alla natura delle situazioni in cui ci veniamo a trovare. Mi viene in mente più di una missione che non sfigurerebbe affatto tra le folli secondarie degli Yakuza. I temi affrontati non sono necessariamente scontati o superficiali, e non mancano momenti un po’ più seriosi, però in generale l’intento è palesemente satirico, quasi ci trovassimo in un ottimo episodio di Futurama. Il futuro ipotizzato Obsidian è potenzialmente tremendo, col suo capitalismo alienante e totalmente menefreghista nei confronti della vita umana; eppure è anche dannatamente divertente da vivere.

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Cartolina da Terrarium 2.

Uno degli aspetti dove The Outer Worlds assomiglia maggiormente ai Fallout è il sistema di gestione del personaggio. Una volta iniziata una nuova partita, avremo la possibilità di personalizzare sesso e aspetto del personaggio (funzione abbastanza inutile, dato che il gioco è esclusivamente in prima persona) e le sue caratteristiche. Si parte con i classici attributi, come forza destrezza e intelligenza, che a loro volta influenzano le abilità. Queste hanno valori da 0 a 100 e sono raggruppate in diverse categorie; per esempio la categoria Comunicazione comprende Persuasione, Menzogna e Intimidazione. A ogni nuovo livello ci vengono dati dei punti da spendere nelle abilità, ma, finché non raggiungiamo il livello 50 di una di esse, possiamo far avanzare solo la categoria nel suo complesso, quindi tutte le abilità in essa comprese allo stesso tempo.

Ci sono anche i vantaggi, bonus per lo più passivi alle statistiche che vengono ottenuti ogni 2 livelli. Esiste in realtà pure un modo più originale per ottenere vantaggi: attraverso i difetti. Subendo con una certa frequenza danni di un certo tipo o da parte di una specifica tipologia di nemici ci viene infatti data la possibilità di ottenere dei malus in questi ambiti in cambio di un punto da spendere nei vantaggi. In teoria possiamo anche scegliere la storia del nostro colono prima di arrivare ad Alcione, ma non aspettiamoci conseguenze concrete come quelle di Dragon Age: Origins, dato che si risolve tutto in un aumento marginale di qualche statistica.

Questo sistema è alla base dell’enorme libertà che The Outer Worlds garantisce: non sono praticamente contemplate le classiche fetch quest e tutte le missioni offrono grandissima libertà di approccio. Volete fare un personaggio poco intelligente (sì, ha pure delle opzioni di dialogo aggiuntive) che risolve i problemi prendendo a mazzate in faccia tutto quello che gli si para davanti con una grossa arma a due mani? Perché no. Preferite infiltrarvi senza essere visti e sfruttare l’hacking (per fortuna niente minigiochi orribili)? Nessuno ve lo impedisce. Il vostro protagonista ha una buona parlantina? Potete uscire da molte situazioni scomode sfruttandola. Addirittura è possibile completare una partita senza far male a una mosca, a patto di essere un po’ ingegnosi.

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La risposta è sì, potete comprare questo elmetto. Oppure prenderlo dal suo cadavere.

Ovviamente a livello di singole componenti ci sono dei limiti abbastanza evidenti, seppur non estremi. In questo senso sono abbastanza indicative le sparatorie: non siamo ai livelli di New Vegas, ma certamente neanche di Destiny. Gli effetti dei colpi sono sufficienti e la varietà di avversari è discreta, ma l’arsenale non brilla certo per diversificazione o originalità, tra fucili d’assalto, revolver e armi laser. Discorso a parte per le armi scientifiche, strumenti abbastanza difficili da trovare dotati di funzionalità molto particolari; una delle prime su cui si mettono le mani permette per esempio di rimpicciolire i nemici. Sono purtroppo molto poche, mentre le normali armi “uniche” non sono altro che armi normali con statistiche leggermente potenziate, senza neanche differenze estetiche. Da questo punto di vista si poteva fare qualcosa di più.

Le armi si possono pure potenziare, per esempio aggiungendo mirini e silenziatori o modificando il tipo di danno; in questi casi le modifiche hanno effetti anche estetici, ma non sono comunque tantissime. Stesso discorso per le armature, che tra l’altro occupano solo due slot, uno per il corpo e uno per la testa. I maniaci della personalizzazione estrema potrebbero perciò restare con un po’ di amaro in bocca. Manca invece un sistema di crafting, che comunque sarebbe stato poco coerente col mondo dipinto dagli sviluppatori.

In apparenza Obsidian ha introdotto pure un sistema di rallentamento del tempo durante i combattimenti equiparabile al V.A.T.S. di Fallout. Il realtà il suo ruolo nell’economia del gioco è decisamente minore, tanto che è possibile andare avanti ignorandolo quasi completamente. Serve più che altro per ottenere qualche informazione aggiuntiva sulle statistiche dei nostri avversari e sui loro punti deboli prima di iniziare una battaglia; una volta sparato il primo colpo, la barra della manipolazione del tempo si consuma con estrema rapidità e impiega tempo a ricaricarsi, costringendo il giocatore a combattere in tempo reale.

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Quello è stato il mio cappello durante la maggior parte del gioco.

Durante le nostre avventure creeremo un vero e proprio equipaggio per l’Inaffidabile, e qui si sente l’influenza della saga Mass Effect. I personaggi che ci possono accompagnare sono sei, a cui va aggiunta ADA, la spassosissima intelligenza artificiale della nave, che per ovvie ragioni non possiamo portarci dietro. Solo uno di questi è necessario per la storia, mentre possiamo fare a meno di reclutare gli altri. Sarebbe però un peccato, dato che i coprotagonisti sono tutti ben scritti e le loro missioni personali sono probabilmente le migliori del gioco. La nave funge da hub dove parlare coi nostri compagni di viaggio e vederli interagire tra loro; purtroppo le varie scene non sono tantissime e hanno la brutta abitudine di ripetersi. Non possiamo intraprendere relazioni sentimentali come nei titoli Bioware, ma, senza fare spoiler, posso anticiparvi che c’è comunque spazio per il romanticismo, anche “non convenzionale”. Non nel senso che pensate voi, però. Forse.

Durante gli scontri possiamo dare alcuni semplici ordini ai due alleati che ci accompagnano, indicando loro dove andare, chi attaccare e quando usare le loro abilità speciali. Il resto lo faranno da soli, e devo ammettere che sono anche piuttosto efficaci. Possiamo decidere il loro equipaggiamento, mentre a livello di statistiche ci si limita a scegliere i vantaggi, diversi dei quali sono purtroppo uguali tra i vari personaggi.

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Un po’ di alcolici e una mitragliatrice pesante bastano per far felice Nyoka.

Pur senza brillare tecnicamente, a livello artistico The Outer Worlds è assolutamente encomiabile, offre paesaggi alieni e belli da vedere, perfetti come sfondi per il desktop (manca una modalità fotografica però). Anche le aree abitate sono generalmente ben realizzate, raggiungendo dei picchi non indifferenti con Bisanzio, centro politico ed economico di Alcione. Ci sono però alcuni problemi: il primo è la troppa sporcizia a livello grafico, in particolare per via di un utilizzo francamente eccessivo dell’aberrazione cromatica, che per fortuna su PC può essere disattivata modificando i file di gioco. Inoltre le ambientazioni soffrono spesso di una certa carenza di varietà al loro interno; un problema non troppo grave nelle mappe piccole, ma che si fa notare nella zona dove è ambientata una buona parte del gioco, la luna di Monarca. Infine, pur essendo presente un ciclo giorno-notte, le aree abitate rimangono un po’ troppo statiche, coi vari png sempre fermi al loro posto. Un pizzico di dinamicità in più avrebbe sicuramente giovato al coinvolgimento.

Impostando il livello di difficoltà a livello normale, quello consigliato dagli sviluppatori, The Outer Worlds offre una sfida molto bassa, nonostante la presenza di un level cap impedisca di pompare al massimo tutte le statistiche del nostro personaggio. Fin da subito, anche senza dedicarci all’arte del furto, troveremo una grandissima quantità di armi, armature, munizioni e consumabili, e i combattimenti finiranno spesso per diventare una mera formalità. A proposito di consumabili, qui Obsidian ha davvero voluto strafare: ce n’è una quantità davvero eccessiva e molti non sono neanche particolarmente utili.

Sorprendentemente, The Outer Worlds è arrivato sul mercato senza valanghe di bug o contenuti palesemente tagliati, segno che forse avere obiettivi più modesti permette a Obsidian di lavorare meglio. Non tutto è perfetto comunque: oltre a una grafica non esattamente al passo coi tempi, il gioco si porta dietro alcune magagne tipiche dell’Unreal Engine, in particolare per quanto riguarda il caricamento degli elementi a schermo nelle zone più grandi. Non posso poi non segnalare la presenza di sistematici crash quando si entra in una stanza nell’ultima missione. Per fortuna, pur con qualche ritardo di troppo, questa problematica è stata risolta.

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Di certo sulla Pioniera non risparmiano sulle insegne.

The Outer Worlds è un titolo derivativo, ma questo non è necessariamente un difetto: prende tanti elementi da titoli diversi e li mischia nel modo giusto in un’ambientazione sicuramente diversa dal solito. Non vuole essere un gioco innovativo, solca strade già tracciate e non ha la storia e i personaggi più memorabili di sempre; eppure resta un’esperienza solida e divertente dall’inizio alla fine.

Senza dubbio un’ottima aggiunta alla libreria del Game Pass, oltre che un buon auspicio per i futuri lavori di Obsidian pubblicati da Microsoft.

Ovviamente Grounded è solo un brutto sogno.

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