Rappresentazione artistica del disco di gas e polveri che circonda una nana bruna in formazione. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/M. Kornmesser (ESO)

7/10. L’istruttiva storia dei pianeti che non erano pianeti ma raggi cosmici

… O forse questi pianeti non esistono

Michele Diodati
GruppoLocale
5 min readApr 28, 2017

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Ma altre simulazioni fornivano indicazioni differenti. In un articolo pubblicato nel 2001 su Astronomy & Astrophysics, Carlos e Raúl de la Fuente Marcos, due astronomi della Universidad Complutense di Madrid, discussero i risultati, sia pure ancora parziali, di una simulazione eseguita con software e parametri differenti da quelli utilizzati da Hurley e Shara nello studio appena esaminato.

I de la Fuente Marcos trovarono che, al centro di un ammasso globulare, per via del fenomeno della segregazione di massa e delle frequenti interazioni gravitazionali con le stelle vicine, solo i pianeti con orbite molto ristrette possono sopravvivere a lungo imperturbati, mentre quelli più esterni finiscono abbastanza rapidamente espulsi dal proprio sistema d’origine e, avendo alte velocità di fuga, anche dall’ammasso globulare.

La conseguenza di ciò è che è molto improbabile che i sei eventi osservati da Sahu e colleghi fossero microlenti originate da pianeti nella regione centrale di M22. Infatti, se ad agire da lente fossero stati pianeti ancora in orbita intorno alla propria stella madre nel cuore dell’ammasso, sarebbe stata un’orbita molto ravvicinata e sarebbe così apparso nelle curve di luce anche il contributo, invece assente, di una massa stellare.

Se, invece, a fare da lente fossero stati pianeti solitari, questi non si sarebbero trovati più nell’affollata regione centrale di M22, ma nella sua periferia. Ciò rende però non plausibile, da un punto di vista statistico, averne trovati sei tutti insieme, casualmente allineati lungo la nostra linea di vista, in un’area che costituisce una piccola regione dell’alone di M22. Se, infatti, l’espulsione di pianeti dal cuore dell’ammasso è avvenuta isotropicamente, cioè senza una direzione preferenziale, allora quelle sei microlenti richiedono che il numero totale di pianeti espulsi sia assurdamente alto. Il che induce a scartare l’ipotesi che ad aver causato quegli eventi siano stati degli ipotetici pianeti solitari.

C’è però anche un’altra possibilità da considerare, secondo i due autori, cioè che gli oggetti che avevano causato le sei microlenti non fossero pianeti solitari espulsi dal nucleo di M22, ma pianeti distanti dalla propria stella madre, situati all’interno di sistemi planetari nati e sopravvissuti indisturbati nell’alone dell’ammasso:

D’altra parte è anche possibile che gli oggetti rilevati siano proiettati contro il nucleo, ma facciano parte in realtà dell’alone di M22, dove la densità stellare è sufficientemente bassa da consentire la sopravvivenza di sistemi (probabilmente con più pianeti) relativamente primordiali e imperturbati. I nostri risultati suggeriscono che, nell’alone di un tipico ammasso stellare, la percentuale di sistemi planetari disgregati è veramente trascurabile […]. Se questo è il caso, il numero di sistemi multipianeta simili al nostro sistema solare in M22, e forse in altri globulari, potrebbe essere molto più alto di quanto ci si aspettasse.

Molto più alto, sì, ma quanto? Anche in questo caso, bastano delle semplici considerazioni statistiche per giungere a numeri troppo alti per essere plausibili. Gli elementi da considerare sono questi: in un’area di circa 1 parsec di lato si sono osservati, in base ai dati forniti dallo studio del 2001 di Sahu e collaboratori, 1 evento di microlente di origine stellare e 6 di origine planetaria. Inoltre, se questi ultimi sono da ascrivere a pianeti dell’alone invece che del nucleo di M22, va tenuto in conto che il volume dell’alone (entro il quale i pianeti devono essere uniformemente distribuiti) è 1.000 volte maggiore di quello del nucleo, mentre la sua densità stellare è circa 100 volte minore. Tutto ciò si traduce in un rapporto numerico pianeti/stelle semplicemente improponibile:

… se, come suggerito dalle osservazioni, la proporzione pianeti/stelle disponibili per creare microlenti è di 6 a 1, allora il numero medio di compagni di dimensione planetaria per stella dell’alone potrebbe arrivare fino a 20.000 se consideriamo oggetti sub-saturniani o a circa 2.000.000 se le lenti sono di dimensioni terrestri. In ogni caso, il risultato di questa analisi quantitativa rende difficile attribuire gli eventi osservati a oggetti planetari in M22, a meno di non ammettere che negli ammassi globulari (o nell’universo primordiale, per quel che conta) i pianeti si siano formati in modo fondamentalmente diverso dai pianeti nel disco galattico.

Tutto ciò considerato, la conclusione più probabile, secondo i de la Fuente Marcos, è che i sei brevi eventi di illuminazione registrati nella direzione di M22 non furono causati da microlenti gravitazionali.

Se, tuttavia, si vuol continuare a dar credito all’interpretazione della microlente, occorre trovare altri oggetti responsabili del fenomeno, diversi dagli ipotetici pianeti di M22. I due astronomi li indicarono in possibili ammassi di oggetti oscuri (dark clusters), situati lungo la nostra linea di vista verso il centro galattico, davanti o forse dietro a M22:

Se essi [i sei eventi di microlente] sono davvero dovuti a oggetti substellari di campo [cioè esterni a M22], questi devono trovarsi raggruppati; e una stima di massima suggerisce che la popolazione dell’ammasso oscuro deve essere almeno 100 volte più numerosa di quella nel nucleo di M22, avendo lo stesso diametro apparente. Ciò vuol dire che l’ammasso oscuro potrebbe comprendere tra 10 e 100 milioni di membri con una massa totale tra diecimila e centomila masse solari. In linea di principio, l’oggetto potrebbe trovarsi sia davanti sia dietro M22. Per una medesima durata (il cui limite superiore è 0,8 giorni), la lente è più massiccia se l’ammasso oscuro è vicino al nucleo galattico e se la sua velocità trasversale relativa alla linea di vista osservatore-sorgente è maggiore. In ogni caso gli oggetti sono ben al di sotto di 13 masse gioviane.

13 masse gioviane è il limite di separazione che distingue, piuttosto arbitrariamente, i corpi planetari dalle nane brune, cioè le stelle fallite. Al di là della massa, la differenza principale tra pianeti e nane brune è il processo di formazione: i pianeti nascono, secondo la teoria più accreditata, dai residui del disco protoplanetario sopravvissuto alla formazione della stella madre, mentre le nane brune si formano per condensazione di una nube molecolare, analogamente alle normali stelle, anche se poi non raggiungono una massa sufficiente a creare le condizioni per l’innesco delle reazioni di fusione termonucleare.

Non esistono prove conclusive a favore o contro l’esistenza di ammassi di oggetti oscuri nel disco o nell’alone galattico del tipo di quelli ipotizzati da i de la Fuente Marcos. Tuttavia diversi studi sono stati condotti finora per cercare le loro tracce, nell’ambito di programmi di ricerca come MACHO e RAMBO, il cui scopo era determinare se la materia oscura è normale materia barionica che semplicemente non vediamo oppure qualcosa di completamente diverso ed estraneo. Quel che è certo è che quei sei brevi picchi di luce iniziarono a condurre gli astronomi molto lontano dal nucleo di M22…

Sulla stessa lunghezza d’onda dei due de la Fuente Marcos sono le conclusioni di un articolo del 2002 di B. Scott Gaudi:

… la sola spiegazione per l’origine degli eventi di picco che sia coerente con tutte le osservazioni disponibili e la teoria è una oscura, massiccia struttura composta da oggetti compatti leggeri (all’incirca minori di 1 massa gioviana), disposti accidentalmente lungo la nostra linea di vista verso M22. Una spiegazione che, nel migliore dei casi, pare ad hoc. L’alternativa più semplice è che questi eventi non siano stati causati da microlenti.

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Michele Diodati
GruppoLocale

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.